Ok del Senato. Arriva il reddito di
inclusione
La povertà e i suoi amici
Fonte foto: http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-03-07/delega-anti-povertapiu-professionisti-settore-servizi-sociali-145744.shtml?uuid=AEPp1Tj, |
E' in arrivo l' ennesimo provvedimento "per contrastare la povertà". Il Senato ha dato
via libera, per un certo numero di famiglie al di sotto della soglia di povertà assoluta, al reddito di
inclusione (Rei). Inutile insistere sui
particolari, che il lettore potrà scoprire da solo (*).
Il
punto concettuale è che oggi la povertà è diventata una risorsa politica e un’idea
forza, cavalcata dai partiti di sinistra, in particolare dai post-comunisti, pentiti o meno. Ma non solo. La stessa destra, sulla scia di Papa Francesco (che però fa il suo mestiere), si erge a
protettrice “degli ultimi”. Per non
parlare dei populisti per i quali la lotta contro la povertà si è trasformata, da risorsa utilizzabile o
meno, a seconda delle circostanze, in potentissima rendita politica ed elettorale.
Oggi, l’idea di contrastare e addirittura sconfiggere la
povertà si è talmente radicata, da venire meno qualsiasi remora cognitiva. Trionfa la più vieta retorica mediatica. Oltre all’antica distinzione che vigeva
all’interno del pauperismo cristiano tra
povertà involontaria (frutto del
caso sulla quale l’indigente, pur abile
al lavoro, si “adagiava” ) e povertà
volontaria (come scelta personale per avvicinarsi al Signore), sembra siano scomparse anche due visioni otto-novecentesche (la prima metà), in versione, come dire, secolarizzata: sia la reinterpretazione della povertà involontaria, vista come frutto di una disoccupazione inintenzionale causata dal sistema economico
capitalistico, sia quella della disoccupazione volontaria, giudicata come esito di una disoccupazione volontaria, a prolungamento della cattiva volontà di trovarsi un lavoro, se non addirittura come
forma di protesta contro il sistema.
Perché? Con
lo sviluppo del welfare state e la conseguente riconversione della sociologia ad ancella dell’assistenza sociale,
la povertà si è trasformata in strumento di consenso e di occupazione
per burocrazie ed esperti. Quindi in rendite politiche. Oggi si parla solo,
su basi statistiche pseudo-reddituali, di povertà assoluta e relativa. Le cause sono tabù. Qualsiasi ragionamento sulla natura
volontaria e involontaria della povertà è totalmente bandito. Il povero è sempre innocente mentre il ricco è sempre colpevole, ecco la tesi. Siamo dinanzi, come detto, a un cristianesimo antico, evangelico, rivisto e corretto alla luce
del socialismo amministrativo dei moderni. Un umanitarismo dolciastro, dietro il quale si nascondono calcoli politici - come del resto è naturale che sia - vincolati a
ragioni di consenso elettorale. Di regola, come provano gli studi sul ciclo
elettorale, la spesa pubblica e la
retorica della lotta alla povertà, sorvolando sul colore politico, crescono prima delle elezioni (in genere nei
due ultimi anni del mandato), per decrescere subito dopo ( i primi due o tre anni).
Quante risorse si sprecano in questa inutile guerra alla povertà ? Dal momento che,
come mostrano le statistiche sociali, il dilatarsi assoluto del ceto
medio (a prescindere dalle oscillazioni relative e geopolitiche) è il meraviglioso frutto, un tempo proibito, dello sviluppo della economia di mercato? L’unico
strumento che ha trasformato la secolare piramide sociale in una modernissima trottola dalla
“pancia” enorme? E che di riflesso, ripetiamo, ha favorito, l'unica vera decrescita felice, quella della quantità assoluta di poveri? E non solo in Occidente?
Pertanto
quel che occorre, non sono assistenti sociali e burocrati che vivono alle spalle del
mercato, ma più mercato, più
sviluppo economico, e per
ricaduta, sviluppo sociale e culturale. Culturale: come crescita della deferenza verso se stessi. Il
che significa che la cultura della povertà va sostituita con una cultura del
mercato e della responsabilità individuale. E qui, purtroppo, cominciano i guai, perché la
povertà, e la stessa cultura della povertà, sono giudicate una risorsa (se non rendita) politica, quindi qualcosa di collettivo, che cade graziosamente all'alto e che finisce per sospingere l'individuo a ritenere che la colpa sia sempre di qualcun altro. Insomma, né socialismo, né cristianesimo, ma solo cultura dell'assistenza per l'assistenza. La fonte, non propriamente meravigliosa, alla quale attinge certo incosciente individualismo protetto (dallo stato).
Perciò
i poveri “servono”. A chi? Per dirla con una brutta metafora, ma crediamo efficace, di
natura medica: la povertà, "è stata" cronicizzata, statisticamente
cronicizzata. Come il sociologo serio sa bene, basta spostare la lancetta reddituale, anche di poco, per far
crescere o diminuire il numero dei
poveri. Sotto questo
profilo il dibattito sul libro di Piketty (**) risulta essere molto istruttivo. La
differenza, tra le tesi del sociologo francese sulla bontà dell' assistenza per l'assistenza, e i suoi critici, giudicati invece dai mass media compiacenti, come "nemici del popolo", rinvia alla diversa lettura politica dei dati statistici. Però, ecco il punto, i suoi
detrattori, per così dire, agganciano correttamente la diminuzione della povertà
alla crescita economica, cosa, nei fatti, largamente provata soprattutto per l' ultimo secolo. Piketty, invece, sostiene l’esatto contrario, forzando i dati . E soprattutto, altro punto importantissimo, l'economista francese non accetta un fatto, che può piacere o meno, ma che è nella natura stessa delle cose umane,
anzi ne è il motore stesso: che esistono vincitori e vinti. Se non fosse così, non
ci sarebbe alcuna partita.
Anche noi siamo tra i "nemici del popolo, tra quelli che ritengono che la povertà sia diminuita. E non per merito dei medici, bensì della medicina-mercato, una specie di auto-cura. Però i medici, devono pur vivere. E allora a crescere è solo la retorica. Dei Piketty.
Anche noi siamo tra i "nemici del popolo, tra quelli che ritengono che la povertà sia diminuita. E non per merito dei medici, bensì della medicina-mercato, una specie di auto-cura. Però i medici, devono pur vivere. E allora a crescere è solo la retorica. Dei Piketty.
Carlo Gambescia
(**) T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2014. Ne parliamo, se ci si perdona l'autocitazione, nel nostro Passeggiare tra le rovine. Sociologia della decadenza, Edizioni il Foglio, 2106, capitolo I.