Il rischio di una duplice crisi di legittimità
Renzi e Grillo, non solo insulti
Gli
insulti tra Grillo e Renzi, all’insegna del populismo più torvo (Renzi: “Per mio padre, se colpevole, pena doppia”, Grillo: “ Sei capace di rottamare solo tuo padre”), indicano, al di là del teatrino,
che però sta assumendo i toni della tragedia, una
sola cosa: che l’Italia si sta infilando in una crisi che rischia di consegnare
il Paese, dopo una fase di caos, più o meno lunga, a un
movimento politico, rozzo, a
sfondo giacobino, che non è assolutamente in grado di governare
una realtà complessa come la società moderna.
Insomma, il
rischio è di sprofondare in una
duplice crisi di legittimità: 1) di sistema, con un ritorno al protezionismo, al
nazionalismo, all’economia di comando, a un’economia pauperista (il modello
autarchico); 2) della democrazia rappresentativa, sostituita da una specie di
cittadinanza di massa, governata però
dall’alto, da un ristrettissimo numero di commissari politici (il modello
organizzativo cinque stelle).
Nel
Novecento - per la cronaca - le duplici crisi di legittimità hanno condotto alle dittature fascista e nazionalsocialista, oppure a più o meno lunghi periodi di stallo (e caos), come nella IV°
repubblica francese, la cui crisi sfociò nel presidenzialismo autoritario gollista o nella II° Repubblica spagnola, sprofondata nella guerra civile e nella dittatura.
Qui
si scherza con il fuoco. Esistono vie d’uscita?
L’unica,
allo stato dei fatti, potrebbe essere quella di un fronte unico liberale, nei due versanti, progressista
e moderato, capace di opporsi al
populismo di destra e sinistra. Tuttavia, allo stato attuale, i due tronconi ( quel che resta del centrodestra berlusconiano e quel che potrebbe restare del centrosinistra, dopo la possibile nuova caduta di Renzi) non sembrano intenzionati a nessuna
forma di alleanza organica. Né tantomeno - cosa fondamentale - a varare insieme una legge elettorale
in grado di penalizzare le truppe di Grillo. Ad esempio, una legge
maggioritaria a doppio turno, per le due Camere (al senato su base regionale), che però preveda, taciti accordi di desistenza al secondo turno tra le forze anti-populiste (moderate e progressiste), per penalizzare i candidati grillini giunti al ballottaggio e così ridurre a zero la forza parlamentare del M5S. Anche se, va detto, potrebbe essere già tardi, visto che il M5S veleggia intorno al trenta per cento. Ma non del tutto impossibile.
Non va però dimenticata la questione di fondo. Quale? Che alle origini della crisi politica italiana risiede un clivage storico, politico e culturale: l' accettazione mai consapevole, piena, convinta, fin dall'Unità, della democrazia liberale, rifiutata o comunque criticata, più o meno aspramente, via via da cattolici, socialisti, fascisti, comunisti, democristiani di sinistra, neofascisti. Un atteggiamento, nella migliore delle ipotesi, distinto da riserve, che ha inciso sulla formazione collettiva di una cultura politica moderna, come dire, "normale" o se si preferisce consensuale. In qualche misura, la duplice crisi discende da una "proto-crisi", mai superata, della legittimità storica della democrazia liberale in Italia. Una specie di consenso a termine, che, ogni volta, quando la situazione si acutizza, tende a ritrarsi, assumendo, le forme politiche del tempo. Per fare un esempio: ieri fasciste, oggi grilline. Purtroppo, la nostra, finora, ha dato prova di essere una democrazia, per così dire, geneticamente (dalla sua genesi) instabile.
C'è infine un altro aspetto comunicativo, solo in apparenza di minore importanza: quello dell’agenda politica, che oggi viene
fissata da Grillo & Co. in chiave apocalittica, da (finto) cupio dissolvi, complice, ovviamente, la gaia incoscienza dei mass media. Un
vittimismo, ben coltivato (secondo Fabio Cusin, storico, che forse esagerava, almeno dai tempi di Cola di Rienzo), nel quale, stando ai sondaggi, sembrano tuttora crogiolarsi solo gli italiani (*), sempre pronti a scaricare le colpe sugli altri e infatuarsi per gli uomini della provvidenza, salvo poi morderli, regolarmente, una volta caduti in disgrazia.
Un vittimismo, frutto di un immaginario "the day after", assurdamente
coltivato anche dal centrodestra e dal centrosinistra. Pertanto, quanto più si giocherà al rialzo, inseguendo l’estremismo
pentastellato (e accettandone la devastante agenda), tanto più un elettorato, di presunte vittime, che si dichiara deluso da Berlusconi e Renzi, si mostrerà disposto a votare
Grillo. Ciò significa, tra le altre cose, che ogni starnuto mediatizzato delle procure e rilanciato dai garantisti a corrente alternata di destra e sinistra porta automaticamente un voto al M5S.
Sotto
questo profilo, l’attuale politica del centrodestra, e soprattutto di certa estrema destra parolaia, che ricorre alla stessa
retorica grillina, è veramente suicida. Ma lo stesso discorso si può estendere ai nemici interni
dell’ex sindaco di Firenze. E allo stesso Renzi, che
nella polemica di ieri, sembra aver dato il peggio
di se stesso. Cosa che si può perdonare
(per così dire) a Grillo, un comico animato da impulsi distruttivi verso un’Italia che
ha sempre odiato, e non a chi, come Renzi, aveva
preso l’impegno di modernizzare la sinistra. E l’Italia, tentando di andare oltre il "proto" clivage storico-culturale cui abbiamo accennato. Fardello, evidentemente, troppo pesante per le sue spalle.
Questi, piacciano o meno, sono i termini metapolitici della questione. Inutile confessare il nostro pessimismo. Probabilmente l’Italia,
come altre volte nella sua storia, si sta consegnando al carnefice di turno. E cosa più grave, ma è già capitato, non se ne
rende conto.
Carlo Gambescia