Il neoconfessionalismo anti-ludico
Il gioco d’azzardo e i suoi nemici
Un
paese di ipocriti, ecco il primo aggettivo che ci viene in mente. Oggi sul
Corrierone, padre Gian Antonio Stella, sermoneggia, sciabolando, su una perizia di Paolo Crepet, dove si
afferma che,
«non vi sono dati statistici completi ed esaurienti», che è
impossibile «stabilire un serio e probativo rapporto di causa/effetto tra il
gioco (quale? per quanto tempo?) e gli effetti psicopatologici (quali?)», che i
Comuni danno dati imprecisi e insomma che la situazione d’insieme è così
complessa e i giocatori così coinvolti in altri problemi che è «difficile sia
capire qual è la patologia di partenza sia qual è la prevalente»
Padre
Stella, anzi cinquestelle, nel suo sermone fa ricorso all’argumentum ad hominem, perché, come si legge, il giudizio periziale di Crepet sarebbe di
parte, in quanto commissionato da Lottomatica. E perciò rivolto a contrastare davanti ai giudici le misure restrittive introdotte
dal Comune di Bergamo, il cui sindaco è l’
ex manager televisivo, Giorgio Gori, oggi uomo politico, tutto d'un pezzo, Law & Order. Insomma, secondo il priore di via Solferino, di regola, lo scienziato-perito, smette di essere scienziato, per indossare l'uniforme del perito e fare il gioco del committente... Che dire? Purissima scuola del sospetto, falsa coscienza a gogò: viva Marx, abbasso Max Weber. Continuiamo a farci del male.
Don Stella, infine, da buon agit-prop pentastellato (per dirla all'antica), ricorda ai fedeli (lettori) la proposta legislativa grillina di vietare la pubblicità, misura veramente illuminata, purtroppo, “bloccata da quasi due anni”. Amen.
Don Stella, infine, da buon agit-prop pentastellato (per dirla all'antica), ricorda ai fedeli (lettori) la proposta legislativa grillina di vietare la pubblicità, misura veramente illuminata, purtroppo, “bloccata da quasi due anni”. Amen.
Non
è di un mezzo prete pentastellato che oggi desideriamo parlare, bensì di un'Italia, dove fino a quando si dicono cose
mainstream, come il Crepet Televisivo, si è celebrati, o comunque invitati, appena però si prova a dire qualcosa controcorrente, anche se scientificamente giustificato, come il Crepet Lottomatica, si viene trasformati in nemici del popolo. E questa è la prima osservazione.
La
seconda, per dirla con il grande
Bartali, è che il dibattito pubblico sul gioco d’azzardo è tutto sbagliato,
tutto da rifare. Perché i proibizionisti difendono una visione paternalistica,
dal sostrato culturale cattolico
trasmigrato armi e bagagli nel socialismo,
che considera l’individuo un
peccatore che deve essere salvato da se stesso. Se ci si passa l’espressione: il giocatore è un pollo da redimere.
E gli antiproibizionisti? In Italia, semplicemente, non esistono. C’è lo stato che vuole regolamentare, per ragioni fiscali. Quindi guadagnarci sopra. Regolamentare però non è liberalizzare: significa tollerare e tassare. Perciò il giocatore è un pollo da spennare, due volte. Una di troppo diciamo: da parte dello stato biscazziere.
E in mezzo a questa battaglia tra missionari, assistenti sociali, agenti delle tasse, finisce per essere stritolato non tanto il Crepet Lottomatica, dalle sette vite dei gatti televisivi, quando il libero agire individuale. Perché il vero problema, fatti salvi i gravi reati penali, rimane quello di lasciare l’individuo libero di fare ciò che desidera della propria vita. E poiché la società, nel bene e nel male, si fonda sui meccanismi emulativi, occorre che, se e quando ritenuto nocivo, il giocatore d'azzardo sia messo ai margini, spontaneamente, dalla società stessa. E come? Attraverso gli effetti selettivi, se e quando si registreranno, degli esempi negativi e cumulativi.
Si chiama "lasciar fare lasciar passare". In fondo, è un gioco anche questo, ma terribilmente serio. La società è un meccanismo ludico con vincitori e vinti. Sicché, la stima è sempre sociale, cioè sono gli altri ad attribuirla, sanzionando collettivamente la natura di perdente o vincente di ogni singolo. Perciò se esclusione ci deve essere, che il “verdetto” sia sociale ex post, sulle reazioni selettive, non ex ante, pre-selettivo e per giunta di tipo moralistico. La società è di tutti i giocatori “della vita” e, piaccia o meno, comanda a se stessa ed emette il verdetto. Ex post, così funzionano le cose, sociologicamente parlando. Le "cappe" morali, quando e se necessarie, è la società stessa a stabilirle, concretamente, in modo autonomo (interno), non il "legislatore" socialista, cattolico, welfarista, eccetera, sulle basi di astratte ed eteronome (esterne) necessità sociali fissate da questo quel codice ideologico.
Si dirà: ma dilapidando, il giocatore coinvolge altre persone, mogli, figli, amici, eccetera. È la libertà, bellezza. C’è sempre un prezzo da pagare. La libertà individuale non mai è gratis. Del resto, qual è l’alternativa? Vietare tutto ciò che può essere pericoloso secondo il prete, l’assistente sociale, il medico? Cioè ex ante? Magari ricorrendo al braccio secolare dello stato? E che vita sarebbe, una vita regolata dal confessionalismo anti- ludico?
E gli antiproibizionisti? In Italia, semplicemente, non esistono. C’è lo stato che vuole regolamentare, per ragioni fiscali. Quindi guadagnarci sopra. Regolamentare però non è liberalizzare: significa tollerare e tassare. Perciò il giocatore è un pollo da spennare, due volte. Una di troppo diciamo: da parte dello stato biscazziere.
E in mezzo a questa battaglia tra missionari, assistenti sociali, agenti delle tasse, finisce per essere stritolato non tanto il Crepet Lottomatica, dalle sette vite dei gatti televisivi, quando il libero agire individuale. Perché il vero problema, fatti salvi i gravi reati penali, rimane quello di lasciare l’individuo libero di fare ciò che desidera della propria vita. E poiché la società, nel bene e nel male, si fonda sui meccanismi emulativi, occorre che, se e quando ritenuto nocivo, il giocatore d'azzardo sia messo ai margini, spontaneamente, dalla società stessa. E come? Attraverso gli effetti selettivi, se e quando si registreranno, degli esempi negativi e cumulativi.
Si chiama "lasciar fare lasciar passare". In fondo, è un gioco anche questo, ma terribilmente serio. La società è un meccanismo ludico con vincitori e vinti. Sicché, la stima è sempre sociale, cioè sono gli altri ad attribuirla, sanzionando collettivamente la natura di perdente o vincente di ogni singolo. Perciò se esclusione ci deve essere, che il “verdetto” sia sociale ex post, sulle reazioni selettive, non ex ante, pre-selettivo e per giunta di tipo moralistico. La società è di tutti i giocatori “della vita” e, piaccia o meno, comanda a se stessa ed emette il verdetto. Ex post, così funzionano le cose, sociologicamente parlando. Le "cappe" morali, quando e se necessarie, è la società stessa a stabilirle, concretamente, in modo autonomo (interno), non il "legislatore" socialista, cattolico, welfarista, eccetera, sulle basi di astratte ed eteronome (esterne) necessità sociali fissate da questo quel codice ideologico.
Si dirà: ma dilapidando, il giocatore coinvolge altre persone, mogli, figli, amici, eccetera. È la libertà, bellezza. C’è sempre un prezzo da pagare. La libertà individuale non mai è gratis. Del resto, qual è l’alternativa? Vietare tutto ciò che può essere pericoloso secondo il prete, l’assistente sociale, il medico? Cioè ex ante? Magari ricorrendo al braccio secolare dello stato? E che vita sarebbe, una vita regolata dal confessionalismo anti- ludico?
Carlo Gambescia