Il Senato respinge la decadenza di Minzolini
Voto di scambio? È la politica bellezza
La
politica è questione di forma o di contenuto?
Impedire la decadenza di un
senatore condannato in via definitiva per peculato è questione di forma o di
contenuto?
Dipende
da chi sia il senatore. E soprattutto
dalle ragioni politiche che sono dietro la scelta. Nel
caso di Minzolini, dietro il voto
che ieri ha salvato il senatore di Forza Italia dalla decadenza, c’è il comune
desiderio del Pd e di Fi di evitare, in ultima istanza, qualsiasi crisi che possa portare alle
elezioni anticipate, alle quali i due partiti si considerano, per ora, impreparati. Quindi, voto di scambio?
Sì.
Però,
ecco il punto, si tratta di una ragione squisitamente politica, perché le
elezioni rinviano alla lotta per il potere; potere che non può essere
“agguantato”, se non si è grado di
vincere le elezioni. Di qui, quelle
situazioni armistiziali, di pura opportunità, che gli stessi elettori, ignari
della dinamica profonda del ciclo elettorale nelle democrazie stentano a
capire. Un tempo si chiamavano arcana
imperii… Noi, più modernamente, come il lettore ben sa, parliamo di “regolarità” metapolitiche, forme
di comportamento e aggregazione che
si ripetono nel tempo e che contraddistinguono la politica come lotta per il
potere.
Insomma,
la morale in politica è una risorsa come
un’altra. Inutile scandalizzarsi. Per
fare solo un altro esempio, la stessa tempesta giudiziaria, abbattutasi di recente sulla “sindaca” di Roma, Virginia Raggi, in precedenza condusse alle dimissioni del
sindaco Ignazio Marino. Perché la
Raggi si è salvata, Marino, no? Per ragioni di opportunità
politica. Allora le elezioni comunali non erano invise a
nessun partito, oggi invece sono temute da
tutte le forze politiche presenti in Campidoglio.
Quindi, per ora - ecco lo scambio di favori tra forze politiche ufficialmente
in contrasto - la “sindaca” Raggi rimarrà al suo
posto.
Naturalmente,
sul piano retorico, le scelte secondo opportunità
politica vengono nascoste sotto l’evocazione ufficiale dei grandi
valori. Il che però è un’arma a doppio taglio, perché per un verso
incoraggia l’elettore comune a credere che la morale, anzi il moralismo (come vedremo), venga prima della politica, per l’altro rende
inspiegabile, se non nei termini di un tradimento dei grandi ideali, la lotta per il
potere, che invece come insegna che la politica, in quanto riflesso carnivoro degli organismi politici, viene sempre prima degli ideali morali.
Di conseguenza, le democrazie, legate appunto al ciclo elettorale che a sua volta poggia sul principio di legittimità del popolo sovrano, subiscono questa discrasia tra ideali e realtà in misura maggiore di altre forme
di regime politico. Ci spieghiamo subito.
Il parlamentare deve
farsi rieleggere, e per riuscirvi deve persuadere, e per persuadere deve promettere, e per promettere è necessario
avere qualcosa da offrire sul piano materiale e morale. Pertanto il solo
promettere rinvia al mantenimento di una promessa che porta con sé il perseguimento dell’ autorevolezza morale nei termini di uno
“specchiato” comportamento politico e sociale. Sicché la morale, necessariamente “esternalizzata” mediante il
comportamento pubblico, tende a trasformarsi in risorsa come un’altra e quindi a dover fare i
conti con la lotta politica. E quindi con il moralismo dell'apparire che conta più dell'essere e con il meccanismo double face trave-pagliuzza-occhio. Insomma, una volta
accettata la sfida sociale (ecco qual è
la differenza tra il filosofo morale e il politico ), diventa assai breve il passo verso la strumentalizzazione moralistica della morale
Allora, se la morale rischia inevitabilmente di trasformarsi in strumento di lotta politica (da usare
contro l’avversario) per conquistare il potere, non restano che due
possibilità: o il tacito accordo tra tutte le forze politiche, per un parco uso
di essa, o l’uso strumentale della
morale nel contesto di una lotta politica, di tutti contro tutti, sulle basi di
una visione impolitica. In realtà però, esiste
anche una terza possibilità: quella del partito che si erge a difensore della
morale, o meglio, per così dire, di una moralistica onestà. E che su questa difesa impernia la sua politica dell’antipolitica.
Andando oltre la stessa impoliticità.
In
Italia, la Prima Repubblica , fu distinta da un uso politico, misurato e convenzionale, della morale, la Seconda , dalla guerra morale, impolitica, di tutti contro
tutti; la Terza ,
o presunta tale, dalla nascita di un partito dell’antipolitica che si dichiara il partito dei soli onesti, quindi maestro di morale.
Però, come abbiamo visto, la politica si vendica. La forma dipende sempre dal contenuto. Il potere, anzi la lotta per il potere, esige sempre la sua libbra di carne. Anche da Beppe Grillo.
Però, come abbiamo visto, la politica si vendica. La forma dipende sempre dal contenuto. Il potere, anzi la lotta per il potere, esige sempre la sua libbra di carne. Anche da Beppe Grillo.
Carlo
Gambescia