La magistratura e il principio di
infallibilità
I bramini del diritto
Può
apparire incredibile, ma la magistratura è un mondo a parte. Basta
essere entrati per una sola volta nella vita in un’ aula di tribunale per
scoprire come vi si respiri un’aria castale. Ma come è
possibile in una società aperta?
In
realtà, la separatezza non consiste soltanto nell’impossibilità
di essere considerati uomini e donne e non semplici casi giudiziari, quindi in un fattore di natura burocratica (circostanza che pure ha un suo peso), bensì
nella costante distanza, incolmabile,
che regna tra il giudice e colui che viene giudicato.
Giudicare,
già di per sé, è gerarchizzare: chi giudica si eleva cognitivamente - proprio per
giudicare - su colui che viene giudicato. Ma c’è del’altro:
il principio dello status (che cosa sei) e del ruolo ( cosa devi fare),
che governa tutte le società, nell’universo giudiziario diviene l’unico
criterio di distinzione. Nel resto della società si può passare da uno status e
da un ruolo ad altri, mentre in ambito giudiziario difficilmente l’imputato diverrà giudice. Su questa pretesa di
separatezza, dalla rigidità castale, si
costituisce il potere del giudice e dell’intero
apparato che da lui dipende. Si potrebbe parlare di bramini del diritto.
Ovviamente,
esistono altri gruppi sociali dove la separatezza gioca un ruolo importante,
ma non determinante: in ambito medico e militare,
ad esempio, ma un soldato può diventare ufficiale, un malato medico, un imputato invece, ripetiamo, mai
giudice.
Da questa separatezza, presentata come un
fattore filosofico e sociologico di indipendenza (però poi vedremo come), trae tutta la sua forza il potere giudiziario. Di più, dove la nomina di un giudice è
elettiva, la separatezza rasenta l'onnipotenza, giocando - quasi nei termini di un surplus sociologico - sulla credenza di
molti contemporanei circa la sacralità della volontà popolare. Per contro, dove i giudici non sono elettivi, sono i mass media, ovviamente nei casi più
eclatanti, a proclamarne la grande popolarità, quale carismatico prolungamento di una
separatezza che è anche sorgente di alta
moralità e infallibilità, come in tutti i sistemi castali, dove le “razze” al
vertice della gerarchia sono le più pure e virtuose, quindi infallibili.
Su
questi basi castali, diviene molto pericoloso permettere che la magistratura svolga ruoli che non le sono
propri, ad esempio di tipo politico. Dal
momento che al potere per eccellenza fallibile (quello
politico) rischia di sostituirsi un potere ritenuto a priori infallibile
(quello della magistratura).
Naturalmente,
poiché il potere sociale non ammette vuoti, il predominio di un potere può
essere provocato dalla latitanza di un altro, per le ragioni più varie, che qui è inutile indagare. Quel che invece interessa chiarire è che il moralismo giudiziario-politico non è che il punto di arrivo, il momento
patologico, di un percorso sociologico ben preciso che vede la politica abdicare a se stessa, rinunciando alla fisiologia dei ruoli distinti, per finire sotto scacco di un potere giudiziario che si ritiene
infallibile, e non soltanto sul piano del folclore giuridico.
Il
che è di una gravità assoluta, soprattutto quando
accade in una società aperta, dove in linea principio non sono ammessi
poteri infallibili, dal momento che storicamente e filosoficamente la divisioni
dei poteri, si regge sul principio di
fallibilità dei medesimi.
P.S.
Ogni riferimento al caso italiano è
puramente intenzionale.
Carlo Gambescia