La crisi della democrazia
Dove sono i nuovi Roosevelt, Churchill, de Gaulle?
Gli
analisti seri sanno bene che il principale problema delle democrazie moderne è la difficoltà di formare classi politiche capaci. Sembra incredibile, ma in un sistema, dove la
circolazione delle élites è
favorita in linea di principio e in buona misura anche di fatto, si assiste, a parte qualche eccezione, alla selezione se non proprio dei peggiori, sicuramente dei meno capaci.
Il
punto è che non basta la preparazione tecnica, anch’essa, nonostante tutto, inadeguata, e che comunque, come vedremo, rinvia alla routine burocratica. La "decisione politica" impone finezza, visione, senso del compromesso, ma anche, quando necessario, volontà
di forzare gli eventi, quale capacità di rompere gli schemi.
Ora, che tali doti non possano appartenere a tutti e che la burocrazia debba essere fondata sulla reiterazione è un dato di fatto. Quel che però non può essere accettato, perché pericoloso, è l'estensione, come fosse la norma, del comportamento burocratico a livello politico. Nel senso - precisiamo - di una applicazione routinaria del noto all’ignoto, vincolata alla ripetizione di comportamenti standardizzati, in attesa che il noto, sotto le forme della tempesta politica, passi, permettendo alle acque della vita sociale di tornare calme.
Ora, che tali doti non possano appartenere a tutti e che la burocrazia debba essere fondata sulla reiterazione è un dato di fatto. Quel che però non può essere accettato, perché pericoloso, è l'estensione, come fosse la norma, del comportamento burocratico a livello politico. Nel senso - precisiamo - di una applicazione routinaria del noto all’ignoto, vincolata alla ripetizione di comportamenti standardizzati, in attesa che il noto, sotto le forme della tempesta politica, passi, permettendo alle acque della vita sociale di tornare calme.
Il
burocrate è ripetitivo, il vero
politico, creativo; il burocrate, guarda al passato, il politico al
futuro; il burocrate teme l’ignoto, il politico lo sfida. Ciò non significa che il vero
politico debba perseguire il nuovo per
se stesso e rifiutare la lezione del passato. Tutt'altro, si tratta di individuare il giusto equilibrio, tra i due aspetti: il che
non può non implicare, quando
necessaria, la rottura di vischiose convenzioni. Ecco perché servono visione e senso politico. In qualche misura, il gusto della sfida. Che però impone coraggio, talvolta temerarietà. Dote, quest'ultima, sconosciuta al burocrate.
A
destra, si imputa l' incapacità selettiva della democrazia moderna al
rifiuto della tradizione e del principio di autorità; a sinistra, al
capitalismo e all’antiegualitarismo. Al
centro (per semplificare), invece, si finge di ignorare la crisi della classe politica e,
come dicevamo, si attende, ogni volta, che la tempesta passi da sola. In realtà, è la natura burocratica della
democrazia, che quanto più si sforza di parlare a tutti, e perciò di mantenere
le sue promesse, tanto più necessita di burocrazie, comportamenti
prevedibili, regolamentazioni. In
qualche modo, la democrazia si risolve in un tremendo sforzo di sostituire - quindi non di lottare - l’ignoto con il noto. Lottare,
vuole dire accettare l’ignoto, invece pretendere di sostituirlo, e addirittura per sempre, con il noto, implica, in attesa del “sempre
meglio”, la nascita di burocrazie e di comportamenti burocratici, anche a
livello politico; comportamenti che gestiscono il noto, come del resto avviene in ogni gruppo sociale, per auto-perpetuarsi, abbarbicandosi al potere di cui si dispone. Il che, privilegia, sul piano della circolazione delle élites, semplificando, il burocrate al creativo, oppure, dal punto di vista del carattere sociale l'etero-diretto rispetto all'auto-diretto, per usare una terminologia sociologica classica. Pertanto, riteniamo sia difficile per la democrazia moderna superare l' impasse.
Difficile, non impossibile. Infatti, se si esce dall'ambito della riflessione sociologica, per ripercorrere la storia della democrazia
moderna, si scopre, che nel suo momento di maggior crisi (1914-1945), nonostante
l’inadeguatezza, come dire, “media” delle classi politiche, la democrazia riuscì
a risollevarsi, grazie alla presenza di uomini eccezionali, come Roosevelt,
Churchill, de Gaulle, per fare solo i nomi dei più famosi. La crisi della
democrazia, venne superata, in chiave volontaristica, grazie ad alcune grandi
personalità, due politici di professione e un tecnico di grandissimo valore, che in qualche misura erano
parte, se si vuole prodotte dal sistema stesso. E che seppero circondarsi di persone capaci.
Quindi,
ecco il punto, la democrazia burocratica, può esprimere grandi personalità,
come qualsiasi altro sistema. Ciò però significa che non esiste un miracoloso orologio storico in grado di fissare l’ora precisa di nascita del grande politico. E che
di conseguenza, il “messia” può anche non essere tale. Insomma, che ci si può sbagliare. Del resto non c’è regola precisa per distinguere i
buoni dai cattivi, soprattutto nelle democrazie
dove, confidando nei miracoli (quando e se in buona fede...), ci si appella alle virtù popolo (a parte forse i liberali, neppure tutti, ma questa è un'altra storia... ). In definitiva, l’unico modo, democratico, è quello di far governare il “messia” che si
dichiari tale. Ricetta che tuttavia può
rivelarsi letale per la democrazia. O comunque ad alto rischio.
Così
però va il mondo. Roosevelt, Churchill, de Gaulle, si rivelarono tali, nel confronto politico e bellico con Hitler. Per tornare ad apprezzare la democrazia, pur con
tutti i suoi difetti, l’Europa dovette lanciarsi, suo malgrado, nel cerchio di fuoco della Seconda
guerra mondiale. Oggi potremmo essere sull’orlo di una nuova crisi. Ma ancora non si scorgono i nuovi Roosevelt,
Churchill, de Gaulle. E questo è un problema.
Carlo
Gambescia