La riflessione
Il pomeriggio dell’Occidente
Fisica
della guerra
di Antonio Dentice d’Accadia
1. Sulla
semplicità dell’approccio
Ciò di cui spesso si sente la mancanza è la
simultaneità percettiva di fatti anche opposti. Buona e legittima è
l’intenzionalità di una sintesi, o di una super-sintesi tra assunti
abbondantemente elaborati e verificati. Tuttavia tale sintesi dovrà innanzitutto
riconoscere la contemporanea validità (magari parziale, perché storicamente e
geograficamente localizzata) di fatti antipodici.
Un problema idealmente algebrico viene
confuso con un problema aritmetico. Col terrorismo, coll’immigrazione e coi conflitti
medio-orientali vien comodo scivolare in operazioni semplicemente sottrattive o
addizionali (e quando va bene si ricorre alle tabelline). Esse sono le
classiche soluzioni reazionarie o buoniste (politically
correct?), immediatamente impattive o intorpidite nella moda della
negligenza politica. Insomma, tra l’iper-interventismo delle camice nere e
l’atrofizzazione nell’anoressia della concreta responsabilità etica e civile.
Il problema è algebrico perché esistono delle
incognite che solo per un difetto percettivo possono apparire risolvibili
attraverso le operazioni aritmetiche adottabili con un nemico immediatamente
visibile (e anche in quei casi ci sarebbe da dubitare sulla bontà della
semplicità aritmetica!).
E’ la tirannia dell’approccio lineare e
semplicistico che pretende di adattare al proprio difetto cognitivo la
non-linearità della storia reale, che è sempre più forte e incontenibile. Essa
straripa e quando v’è l’impossibilità di costruire una diga realmente arginante
forse bisognerebbe pensare ad una nave capace di contenere ciò che vi è di
prezioso ed essenziale (cosa davvero stiamo difendendo) per navigare sulle
acque che inondano l’immobilità sottostante.
Molti islamici possono cadere nell’accusa
della giornalista saudita Nadine Al-Budair (nella foto), che sostanzialmente osserva la
“negligenza” del semplice dissociarsi dai fatti radicali evitando di
intervenire realmente sul problema.
Tuttavia è anche vero che altri, come il giornalista Brahim Maarad e l’imam Samir Khaldi, tendono ad evidenziare un fatto fondamentale: avere i terroristi in casa è scomodo per gli stessi arabi e non poco. Non ricordo quale altra eccellente giornalista araba qualche anno fa fece un’acutissima osservazione: più le comunità islamiche in Occidente vengono ghettizzate (e colpite) e più potenzialmente forniscono nuove “leve” alle organizzazioni del terrore, trovandosi maggiormente sconnesse dalla cultura europea. Ricordiamoci che ogni “soldato-martire” può arrivare a causare anche centinaia di morti. Questa dinamica non può essere ignorata. L’approssimazione aritmetica dello “sparare sul mucchio” genera indirettamente nuove risorse al vero nemico e in una guerra (perché guerra è) ciò è inaccettabile.
Tuttavia è anche vero che altri, come il giornalista Brahim Maarad e l’imam Samir Khaldi, tendono ad evidenziare un fatto fondamentale: avere i terroristi in casa è scomodo per gli stessi arabi e non poco. Non ricordo quale altra eccellente giornalista araba qualche anno fa fece un’acutissima osservazione: più le comunità islamiche in Occidente vengono ghettizzate (e colpite) e più potenzialmente forniscono nuove “leve” alle organizzazioni del terrore, trovandosi maggiormente sconnesse dalla cultura europea. Ricordiamoci che ogni “soldato-martire” può arrivare a causare anche centinaia di morti. Questa dinamica non può essere ignorata. L’approssimazione aritmetica dello “sparare sul mucchio” genera indirettamente nuove risorse al vero nemico e in una guerra (perché guerra è) ciò è inaccettabile.
2.
Il tesoro dell’Occidente
Torniamo alla nave e a cosa davvero stiamo
difendendo.
Un folto raggruppamento di persone,
associazioni, partiti intenderebbe porre la centralità del conflitto nella
dialettica Islam-Cristianesimo. E’ l’intenzione di cercare e nutrire uno
“Spirito” coesivo adeguatamente percepito e rappresentativo dell’Occidente, da
contrapporre all’escalation islamica.
In questo frangente si evidenzia un grosso
problema endogeno. Nel senso che lo Spirito da contrapporre nel processo
dialettico non dovrebbe essere tanto quello cristiano, quanto il principio della
libertà e della centralità dell’Uomo. Tuttavia capita di sovente di confondere
i due discorsi, a volte a causa di un difetto percettivo (pensiamo di non
godere sostanzialmente di alcuna libertà) e altre volte a causa della
sovrapposizione dei valori (“il
cristianesimo è sempre libertà di pensiero”).
) e ben altre situazioni esiste un abisso. Si provi a
protestare nell’Impero Ottomano o dove i popoli si auto-determinano.
Riguardo il primo problema probabilmente a
molti di noi farebbe bene perdere davvero la libertà (e i diritti) per un po’
di tempo, magari con qualche anno all’estero nella giusta e “istruttiva”
disposizione giuridico-geografica. Magari in qualche Paese dalle “stringenti
verifiche” politiche, sessuali, artistiche e filosofiche. L’Occidente e
l’Italia non sono perfetti (come dimostrano gli abomini genovesi del “Diaz”,
per fare un esempio), ma tra la nostra imperfezione (perfettibile) e ben altre situazioni esiste un abisso. Si provi a
protestare nell’Impero Ottomano o dove i popoli si auto-determinano.Invece il problema della sovrapposizione dei valori riguarda il lungo e difficile percorso storico delle religioni cristiane, nel rapporto coll’interpretazione delle scritture (senza dimenticare l’antichità e il contesto della loro origine). Non dimentichiamo quante donne, streghe, eretici e non eretici sono finiti nelle carceri. Alcune religioni lasciate a esse stesse tendono fisiologicamente ad assolutizzare ogni aspetto civile e culturale.
Il Cristianesimo di oggi è quello che è anche
grazie alla dialettica laico-religiosa (con tutte le criticità ancora in
essere). Il Cristianesimo lasciato senza libertà e senza diritti (per tutti,
cristiani e non) ha storicamente dimostrato di non essere migliore del Califfato.
Per “laico” non intendo il laicismo
iper-razionale che pretende di accantonare il “religioso-bambino” in secondo
piano, bensì il vero laico, ciò che tutto preserva universalmente (religioni,
filosofie, politiche). Questo è lo spirito di libertà, questo è il diritto (e
il dovere) dell’Uomo, quel corpus “culturale e normativo” che concede ad ogni
persona di esprimersi nella fedeltà alla propria natura. Il principio laico
deve tutelare anche il Cristianesimo, perché lo scopo non è il vuoto religioso,
morale, o ideale. Anzi! Lo scopo è l’Uomo, così lasciato libero di
spiritualizzarsi secondo il percorso che riconosce adeguato alle proprie
esigenze.
Quindi, cosa stiamo difendendo? L’Uomo. Non
deve esistere la contrapposizione Cristianesimo-Islam, bensì il rapporto
Libertà-Tirannia, che in questo frangente storico adotta (anche) la veste
dell’Islam più radicale (senza interrogarci in questa sede sulla reale
proporzione rispetto alla maggioranza religiosa), che è BEN DIVERSO
dall’affermare: non è un problema religioso! Si badi bene!
Comprendere quale davvero è il nostro tesoro
è il primo passo per riuscire realmente a difenderlo, con tutta la forza
necessaria, finanche alloggiandolo nella nave mentr’essa galleggia sulla
fluidità di nuovi e pericolosi scenari.
3. Il problema delle Crociate
Rifugiarsi nella religione in quanto tale
equivale a connaturarsi col nemico, gente semplice e incapace di un
ragionamento non-lineare e non-immediato (non mi riferisco alla mente politica,
bensì ai quadri intermedi e alle funzioni martiro-operative).
Il nemico vive
(anche) la dicotomia cristiano-islamica e poche cose lo renderebbero felice ed esaltato
come il ridurre anche noi allo stesso metabolismo. Si produrrebbe ancora di più
quell’energia sociale, quella benzina che nutre le peggiori e per noi corrosive
dinamiche (questa volta non indirettamente!).
Egli mette in relazione l’origine storica colle successioni civili, giuridiche e culturali in riferimento alla modernità. Ispirato dalla sua lettura ho concepito un’idea dalla facile verificabilità: rimangano pure fisse le regole religiose, i principi e le dottrine… l’importante è che cambi l’uomo. L’importante è che quest’uomo decida a quali interpretazioni esegetiche e teologiche offrire concretezza (e quali invece relegare dall’antiquario).
4. Fisica della guerra
I nostri valorosi “crociati” e i reazionari-interventisti
del “tutti a casa” avrebbero da assimilare due importanti tasselli del
problema:
a)
Anche se la
soluzione fosse: “tutti a casa!”, o:
“l’Europa cacci gli immigrati e le
comunità islamiche!”, dovremmo prendere atto che ciò è fisiologicamente
impossibile. Non abbiamo i mezzi, le risorse, la forza, né la possibilità
diplomatica di farlo. Una cosa è (giustamente) regolare gli ingressi, un’altra
cosa è il radicale “riordino” della società. Semplicemente, non-è-possibile.
Abbaiare politicamente serve a poco e solitamente peggiora la condizione di chi
già è in svantaggio culturale;
b)
A causa di
problemi geografici e di controllo territoriale non è possibile chiudere
realmente le frontiere italiane. Diventa estremamente complesso contenere i
flussi di persone, pur considerando tutte le criticità dei terroristi
sotto-copertura.
Poi abbiamo il
problema opposto, il buonismo di chi afferma che non è un problema islamico. Il
buonismo della tolleranza a tutto tondo, anche con chi tollerante non è. Magari
a causa di vincoli di partito, di ideologia, pseudo-morali, o magari qualcuno
di loro ci crede realmente. Una cosa sono le affermazioni di un rappresentate
spirituale (il Papa) che ha la responsabilità di tutti i cristiani nel mondo,
un’altra cosa sono le affermazioni dei governanti dei Paesi europei, che
dirigono secondo differenti modalità politiche e che così facendo offrono
nutrimento ai movimenti radicali e nazionalisti cavalcanti l’indignazione sociale.
Sono le due
erronee polarità, quella di chi afferma: “è
tutta colpa dell’Islam, cacciamoli!” (disconoscendo le responsabilità
dell’Occidente) e di chi invece afferma: “non
è un problema religioso!”. I primi
col pericolo di far detonare una bomba sociale che non siamo in grado di
contenere e i secondi col sentimentalismo di una rosea ed ipocrita ingenuità da
commedianti. I primi muovendosi coll’obiettivo d’amplificare la propria
popolarità presso gli ambienti reazionari e i secondi col timore di perdere la
propria popolarità presso tutti gli altri. Intanto mentre si gioca questo poker
di bluff e rilanci colla finalità partitica dell’accrescimento del voto, la
storia e le guerre proseguono il proprio cammino, includendo tutti.
Cerchiamo un
percorso più lucido, utile e razionale: non tutti gli islamici sono terroristi
(quindi non serve farseli tutti nemici, che di nemici ne abbiamo già abbastanza
– con tutti i problemi culturali già in essere), tuttavia questo è ANCHE un
problema religioso, perché una parte molto pericolosa dell’Islam è qualificata
dagli attributi di conquista e conversione (non dimentichiamo che storicamente
anche il Cristianesimo ha dovuto fare i conti colla propria ferocia).
Affermare: “quello non è il vero Islam”, o
affermare: “quello non era il vero
Cristianesimo” non aiuta a risolvere né a riconoscere un problema vivo e
presente nel sottostrato religioso. Comprendere un fatto è gestirlo. Quindi: “questa è una parte dell’Islam” come “quella era una parte della nostra religione” (che emerge parzialmente quando
pensiamo di soffocare un diritto altrui citando la Bibbia invece della
Costituzione).
Di conseguenza
ci auspichiamo: a) che non si cada nel “tranello” religioso; b) che non si cada
in esplosioni nazionaliste con una maggiore ghettizzazione delle comunità
arabe, alimentando maggiormente il nemico; c) che non si cada nel buonismo
politico dell’auto-colpevolizzazione dell’Occidente (che è diverso
dall’affermare l’assenza di colpe); d) che non si cada nel buonismo
intellettuale del non vedere una guerra in atto, con buona pace dei pacifisti
ad oltranza.
Soprattutto
l’ultimo punto implica una seria presa di responsabilità, la guerra c’è e
quindi va combattuta. Come? L’ ”aritmetica dell’impatto” è inutile (sia dentro
che fuori il Paese, per i motivi espressi) e la mollezza politica è un
suicidio.
Non rimane che
affidarci all’algebra, ad operazioni più complesse, ma anche più efficaci. La
soluzione diventa silenziosa, lenta, graduale e specifica. Occorre evitare
l’esplosione disinnescando l’ordigno, nel contempo senza offrire il fianco,
neutralizzando le risorse del nemico (denaro, finanziamenti, soldati e
territori) e drenando i “potenziali soldati”. Data l’impossibilità di uno
scontro diretto diventa necessario un lucido processo erosivo, a cui non
dovranno mancare tutta la durezza e la determinazione necessarie.
Di certo
queste non sono novità. Di certo sono già in atto e su differenti livelli.
Sarebbe utile però non esasperare oltremisura il clima mentre si prosegue su un
sentiero difficile, forse lungo vari anni e costoso molte vite. Perdere il
controllo comporterà l’allontanarsi dell’epilogo e l’allungarsi del costo in
termini di vite umane.
Si mette da
parte il bastone e si adoperano i bisturi.
Di conseguenza
rilasciare/liberare un soggetto (perché “pentito” e affetto da disturbi
mentali) implicato nel terrorismo (tentativo di unirsi ai gruppi jihadisti
siriani) e trovarselo qualche tempo dopo ad uccidere un sacerdote in Francia è
inaccettabile. E’ la storia del diciannovenne Adel Kermiche, senza contare che
anche il suo complice (Abdel Malik) era sospettato di vicinanza alla propaganda
estremista. Eppure erano liberi di muoversi.
5. Religioso e non
Concludendo,
quello del terrorismo è un problema religioso? “Sì, lo è” e nel contempo “no,
non lo è”. La dicotomia è solo
apparente ed è facilmente risolvibile.
Si ama affermare che il reale motivo della
Jihad (e dell’ISIS) sia politico-economico e non religioso. L’affermazione è
considerabile esatta solo se connessa ai vertici organizzativi del terrorismo
internazionale e alla “dirigenza” dello Stato
Islamico. Nell’area “manageriale” del nemico prevale senz’altro un’anima
soprattutto politica, attenta alle questioni economiche e con tutto l’interesse
del mantenimento di un apparato ampio, costoso e trasversale agli Stati. Una
macchina capace di influire internazionalmente, di espandersi nelle viscere dei
Paesi (soprattutto arabi), di attrarre finanziamenti, traffici d’armi, tratta
degli schiavi e di rafforzarsi con un esercito sempre crescente di martiri e
soldati. Per essere brevi: denaro, potere e sesso (le schiave).
Tuttavia il nemico non è composto
esclusivamente dal “vertice”, come la sola testa non è tutto il corpo.
L’affermazione “non religiosa” pretenderebbe (erroneamente) di identificare gli
obiettivi della dirigenza col senso totale di un fatto assai più ampio e
culturalmente scomodo.
Osserviamo anche il resto del corpo dell’Islam
più distante dai principi Occidentali (fino ad arrivare ai vari livelli delle
organizzazioni terroristiche): la fede e il martirio, lo sfruttamento
femminile, le lapidazioni, gli omosessuali impiccati alle gru, la schiavitù e
le torture. Tale dimensione è ovviamente collegata alla questione
politico-economica dei vertici, ma non vi potrà essere confusa. E’ altro. E’
cultura, è società, è mentalità, è la religione. Tali categorie rientrano
necessariamente nella “questione religiosa”.
Quello
islamico “è e non è” un problema religioso. Il tutto considerando l’ovvia
esistenza di una pluralità di categorie: a) chi è connesso al terrorismo e a
una cultura brutale; b) chi è suggestionato dalla propaganda jihadista; c) chi
è suggestionabile; d) gli islamici che non intendono mischiarsi con certe
bestialità; e) gli islamici che politicamente e intellettualmente prendono
attivamente le distanze dagli estremismi.
Occorre misurare fatti e parole per favorire
le ultime due categorie a spese delle prime. Di conseguenza fatti come il “dare
alle fiamme una moschea in Corsica” come reazione all’attentato nella chiesa a
Rouen non fa che fortificare il nemico, perché tende a far collassare le
“categorie sane” nella forza di gravità delle più pericolose.
Come ci sono stati vari modi di essere cristiani,
ci sono e ci saranno vari modi d’essere musulmani.
Antonio Dentice d’Accadia
Antonio Dentice d'Accadia (Caserta, 25 Luglio
1983) è un saggista, conferenziere ed il principale biografo e studioso
dell'economista Giuseppe Palomba. E' autore di opere di filosofia economica, di
metafisica, di sociologia e di indagine alla poetica nel rapporto tra Weltanschauung e Vision. Ha scritto anche articoli sull'arte figurativa e collabora
in ricerche storiche.