In 25mila alla marcia di "Libera"
Don Ciotti e i balilla rossi dell’antimafia
Si
può parlare male di don Ciotti? Che sia persona dedita totalmente agli altri è fuori
discussione. Che poi sia un buon prete non sta a noi dirlo. Tuttavia, nella manifestazione, come dire, del
“siamo tutti sbirri” ci sono due cose che stonano.
In
primo luogo, quanto alla sua causa, si è trattato di scritte, apparse sui muri, di Locri,
indubbiamente città simbolo. Certo scritte offensive, ma dove, anche se rozzamente, si
chiede lavoro. Ed è qui che Don Ciotti,
prete operaista, “da sempre dalla parte degli ultimi” (*) si è sicuramente sentito toccato nel profondo.
Il che potrebbe spiegare la contromanifestazione “di massa”, organizzata in meno di 24
ore, all’insegna di un marciare non marcire, molto dannunziano, che curiosamente accomuna il movimentismo di sinistra e destra fin dalla
nascita, benché nel caso, per una
giusta causa.
Cosa
dire? Che, visto che c'erano molti giovani (oltre a sindacalisti, assistenti sociali, insegnanti, eccetera), i balilla rossi dell’antimafia, non ci piacciono. Opinione personale,
ovviamente. Ma le piazze, se fossimo don Ciotti, le lasceremmo, per dirla in modo brutale, ai
sovversivi. Sono comunque prove di forza, se si vuole “manifestazioni di potenza", poco cristiane. Non risulta
infatti che in Galilea, al tempo, fosse di moda protestare in favore di Gesù. Anzi, come è noto, l’unica manifestazione “di massa” si
concluse al grido del “crucifige”.
In secondo luogo, perché inculcare nella mente dei giovani i valori velenosi dell'anti-capitalismo? Ci spieghiamo subito. Don Ciotti, non ama la società di mercato, al massimo la sopporta. Per carità, liberissimo di dirne peste e corna. Fortunatamente, vive in Italia, non a Cuba dove gli oppositori non hanno vita facile come
nelle “società capitaliste”. Il
problema però è che la sua visione della politica è catto-statale:
nel senso di uno stato maestro di
giustizia in terra, capace di appoggiarsi ai
preti e alle organizzazioni sociali pauperisticamente ispirate. Il che probabilmente spinge don Ciotti a coniugare giustizia
sociale e lotta alla mafia. Il suo sillogismo è molto semplice, forse semplicistico: la mafia è frutto dell’ingiustizia
sociale (premessa maggiore), il capitalismo è ingiusto (premessa minore), ogni
capitalista è un mafioso (conclusione).
Sicché,
come si può facilmente intuire, senza il
capitalismo non esisterebbe la mafia. Il sillogismo è devastante, soprattutto per una giovane mente. Inoltre, poiché lo stato, altro punto fondamentale, deve
combattere l’ingiustizia sociale e quindi il capitalismo, si spalancano le porte a una dannosa visione costruttivista della società. Insomma, si celebra uno stato confessionale, giustizialista in senso economico, che deve marciare, e non marcire, con i balilla rossi di don
Ciotti.
Carlo Gambescia
(*) Qui un' intervista biografica: http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/6016