Riflessioni
Ipermodernità?
Ieri
discutendo su Fb con l’amico Riccardo De Benedetti, fine saggista e
collaboratore di "Avvenire", si è parlato di “ipermodernità, anzi ne ha parlato lui per primo,
introducendo il termine nella conversazione.
Stando
ai dizionari, il prefisso iper indicherebbe qualcosa di eccessivo, di superiore
alla norma. Quindi, nel caso specifico,
troppa modernità. Rispetto a che cosa
però? Qual è la modernità normale?
L’assenza
di risposte univoche
Sul
punto, non credo esistano risposte univoche. Diciamo però che la modernità fin
dall’inizio ha dovuto subire gli
attacchi esterni di un certo numero di nemici: si pensi all'universo controrivoluzionario, reazionario,
tradizionalista, nelle sue varie sfumature religiose o meno, implacabile avversario della modernità tout court. Molti suoi argomenti sono stati ripresi, ma in difesa di un’
“altra” modernità, dal socialismo scientifico, nonché dalle correnti
ecologiste in nome di uno stato stazionario o addirittura della decrescita, sempre in
chiave anti-capitalista.
Ipermodernità
e modernità
Crediamo
tuttavia che l’ipermodernità, sotto il
profilo sociologico abbia fatto sempre parte della modernità. L’ipermodernità
ha sempre rappresentato, ciclicamente, il lato costruttivista della modernità,
politicamente condensato, pur con
sfumature di gravità differenti, dai giacobini, dai
nazisti, dai comunisti, dai seguaci del welfarismo. Il costruttivismo, come dice la parola stessa,
si propone di costruire, ex novo e dall'alto, una realtà sociale di volta in volta, contraddistinta dalla perfetta repubblica degli eguali; dalla comunità
razziale; dalla società senza classi; dall’individuo protetto dalla culla alla
tomba. C’è un lato oscuro, o comunque inquietante della modernità, rappresentato dai comitati di salute
pubblica, dai partiti unici, dalle burocrazie
rapaci.
Il
lato solare della modernità
E
qual è il lato solare della modernità?
Quello che rinvia alla creatività sociale, frutto di una mano invisibile, che a sua
volta rimanda alle micro-decisioni di
milioni, anzi miliardi di uomini, che
liberamente perseguono, come dire, dal basso, i propri interessi e progetti di vita. All’inizio della modernità il ruolo
della creatività sociale non aveva ancora un nome. In seguito, lo si è sistematizzato. Come? Una volta considerati gli incredibili sviluppi della
società moderna, lo si è ricondotto nell’alveo della libertà di pensiero, della libertà politica, della libertà economica, della possibilità di muoversi liberamente,
fare i propri affari, esprimere le proprie
preferenze culturali, politiche, ideali,
nella sovranità e nel rispetto della legge, espressione, quest’ultima,
di parlamenti e governi, liberamente eletti.
Il
liberalismo
L’opera di “sistematizzazione” teorica e istituzionale, che
ha assunto il nome di liberalismo, non è stata semplice: prima per l' opposizione dei classici nemici della
modernità, poi dei costruttivisti di vario colore ideologico (anche di derivazione liberale, come si vedrà nelle nostre conclusioni).
Ciò
che l’Ottocento chiamò liberalismo era il punto di arrivo di un processo politico, economico, sociale, culturale fondato sul riconoscimento, per la
prima volta nella storia umana, del ruolo istituzionale, sociologicamente
istituzionale, di quella creatività sociale frutto della mano invisibile. In questo senso, il liberalismo, storicamente parlando, è un vero esperimento
sociale, tuttora in corso, perché è al tempo stesso istituzione politica, quindi rivolta al controllo, ma di che cosa? Di una forza sociologicamente incontrollabile: la creatività umana. Quindi il liberalismo, a un tempo, è istituzione e movimento. Una contraddizione vivente, con una parte utopica, che pure, a differenza di tante contraddittorie utopie-utopie, come dire, a tutto tondo, assicura agli uomini concrete forme di libertà. E questo è il suo merito.
La
scienza della modernità
La
sociologia, scienza nata proprio nell’Ottocento, in qualche misura, è la scienza della modernità: della mano invisibile, ne studia le modalità, le forme, le
conseguenze, le reificazioni nei termini
di specifico sociologico. Si potrebbe
dire che la sociologia - ovviamente, la nostra è "una" interpretazione della sociologia - studia la
modernità nei suoi aspetti spontaneisti e costruttivisti, come movimento e
istituzione.
È
possibile separare la modernità costruttivista da quella spontaneista? Sul piano cognitivo, dei tipi ideali,
certamente. Come del resto abbiamo fin qui fatto. Su quello storico e politico no. O comunque
resta molto difficile, se non addirittura impossibile. Perché ciò che è
ipermodernità per alcuni (gli spontaneisti) è modernità per altri (i
costruttivisti). La “norma” muta. E purtroppo la decisione politica ha bisogno
di “norme” certe. La decisione, insomma, rinvia all'istituzione, sacrificando la creatività.
Ciclicità
Di
qui però, l’inevitabile e ciclico ritorno del costruttivismo, che attinge all’istinto di
conservazione degli individui, spesso portati, come natura sociale, a scegliere il certo per l’incerto, sacrificando la creatività della mano invisibile. Di qui, la prevalenza nelle nostre società di un
individualismo protetto dalla stato, che può essere sintetizzato, nel “diritto
di avere diritti”. Il che implica la gestione pubblica dei diritti, quindi di
costi, tributi, burocrazie e, cosa più grave, di un ripiegamento nella mistica del sociale, che
inevitabilmente sconfina nello statalismo, che è agli antipodi dello spontaneismo della
mano invisibile.
L’individualismo
protetto porta con sé conflitti redistributivi tra gruppi di pressione, ristagno economico, sociale, quindi creativo, perché
l’egoismo redistributivo finisce per prevalere sul bene comune, e di riflesso sulla capacità produttiva (del Pil come di idee nuove). Il che implica la sottovalutazione delle questioni esterne al sistema sociale, a
cominciare dall’individuazione del
nemico. La politica, insomma, rischia di trasformarsi in pura e semplice gestione dell’esistente. La redistribuzione è monotestica, si basa sul ritorno del medesimo. Se ci si passa l'espressione, - per banalizzare - si trasforma nell' assalto di torme di incoscienti a una torta che però si fa sempre più piccola.
Modernità costruttivista
Non parleremmo perciò di ipermodernità, ma di modernità costruttivista: uno dei due
volti della modernità, quello inquietante. Oggi ben incarnato dall’Unione Europea, assai diversa da quella vagheggiata nei Trattati di Roma. Un volto che purtroppo rinvia alla regolarità metapolitica
istituzione-movimento: una dinamica che indica la tensione tra il momento spontaneista e costruttivista della modernità.
Se
la tensione si trasformerà in rottura o sfocerà in nuovi equilibri è materia di giudizio personale. Non possediamo alcuna sfera di cristallo. Diciamo però che le società hanno necessità sia del momento istituzionale,
sia del momento movimentista. Di qui una ciclicità, per contrasti e sintesi, che in realtà non riguarda
solo i moderni, ma ogni dinamica sociale. Dal momento che le società non possono essere riassorbite mai interamente nell'uno come nell'altro momento.
Per non concludere
La rivoluzione moderna puntando sul momento creativo (ecco l'esperimento liberale), ha provocato un contraccolpo costruttivista, anche all'interno del liberalismo stesso. Si pensi al liberalismo macro-archico, welfarista insomma: una specie di liberalismo protetto. Al quale potrebbe succedere, per reazione, una rivoluzione creativa e spontaneista, micro-archica o an-archica. Però, come insegna il liberalismo archico, realista, andrebbe prima individuato e sconfitto il nemico esterno. Che tra l'altro oggi ci minaccia apertamente. Cosa che il costruttivismo redistributivo, macro-archico ripiegato su se stesso non consente, quale carnefice e complice di masse crogiolantesi in un individualismo protetto imbevuto di pacifismo (*).
Per non concludere
La rivoluzione moderna puntando sul momento creativo (ecco l'esperimento liberale), ha provocato un contraccolpo costruttivista, anche all'interno del liberalismo stesso. Si pensi al liberalismo macro-archico, welfarista insomma: una specie di liberalismo protetto. Al quale potrebbe succedere, per reazione, una rivoluzione creativa e spontaneista, micro-archica o an-archica. Però, come insegna il liberalismo archico, realista, andrebbe prima individuato e sconfitto il nemico esterno. Che tra l'altro oggi ci minaccia apertamente. Cosa che il costruttivismo redistributivo, macro-archico ripiegato su se stesso non consente, quale carnefice e complice di masse crogiolantesi in un individualismo protetto imbevuto di pacifismo (*).
E
questo può essere un problema. Di sopravvivenza: della modernità in quando tale. E pure del liberalismo.
Carlo Gambescia
(*) Su questi temi si veda l'ultimo capitolo del nostro Passeggiare tra le rovine. Sociologia della decadenza, Edizioni Il Foglio 2016.