Unione Europea della Spesa Pubblica
“Ammazza, ammazza, sono tutti d’una razza”…
Chi
ha vinto? Bah… Diciamo che ha perso
l’idea di un’Europa liberale. Di un’
Unione capace di rinunciare al
mito della spesa pubblica, difeso dai
“mediterranei” che porta con sé l’altro mito, evocato dai “frugali”, dei
bilanci in ordine.
Sono cose di cui non si parla molto in giro. Proprio per questo desideriamo offrire una chiave di lettura diversa da quella che
si può ritrovare questa mattina sfogliando
i giornali: divisi su fondi e
bilanci, ma uniti, come moltissimi politici europei, dalla comune
condivisione della religione della spesa pubblica e del deficit
controllato.
Un
punto non deve mai sfuggire: quando si
parla di bilanci in ordine, cosa in sé non sbagliata, si ragiona sempre in termini di deficit da gestire in base ai volumi di spesa pubblica
da investire nel mitico quadro di salvifiche politiche del disavanzo ragionato: l'uno richiama inevitabilmente l'altra.
A
tale proposito negli anni si è generato un gigantesco equivoco collegando
erroneamente le politiche di
bilancio al “liberismo selvaggio”. In realtà,
la “frugalità”, come la si chiama
ora, non è che il portato ideologico delle politiche anticicliche di stampo
keynesiano o postkeynesiano rivolte ad alternare in termini di stop and go, spesa pubblica e tagli: sono politiche
economiche di sinistra, altro che scelte
liberali, o addirittura liberiste… Di selvaggio c’è solo la spesa
pubblica, che oltre una certa soglia
inevitabilmente implica dei rientri. Che, rimandano perciò
non alla visione liberale dell’economia
basata sull’autoregolazione del mercato, ma a un approccio di pensante ingerenza pubblica di stampo liberal-socialista o catto-socialista. Altro che il liberalismo di Hayek e Mises…
La
riprova di un’ Unione Europea, tuttora
prigioniera del welfarismo, è ben
rappresentata dall’idea, anch’essa condivisa (da “frugali” come “mediterranei”) del rigorismo
fiscale. Della tassazione come
inderogabile strumento di finanziamento della spesa pubblica. Si noti un fatto: i membri dell’UE discutono di politiche
fiscali e soprattutto della necessità di
uniformare la tassazione europea. Ma in
che chiave? Il lettore se lo è mai chiesto? Semplicissimo: di potenziamento dei controlli sui cittadini,
potendo giovarsi dello strumento fiscale unico, nonché di crescita degli
introiti per finanziare in prospettiva il fiore all'occhiello di liberali di sinistra, socialisti e verdi: il welfare europeo.
Che poi, Olanda e
Italia, per fare un esempio, si scontrino sulla spartizione del bottino dei finanziamenti pubblici non significa che non siano d’accordo, se ci
si passa l’espressione, su come spennare
meglio i cittadini europei in nome della pomposa idea di Europa Sociale.
Le “guerre” tra Olanda e Italia, che tanto piacciono ai sovranisti, sono guerre socialiste… Max Weber e il protestantesimo non c’entrano
nulla. Insomma, se ci si perdona la caduta di stile, “ammazza, ammazza, sono tutti d’ una razza”…
Quindi,
concludendo, chi ha vinto? Nessuno. Di sicuro però hanno perso i contribuenti. Un punto, quest’ultimo, sul quale di solito fa leva la protesta populista e sovranista, a
destra come a sinistra. Che però, attenzione,
è altrettanto keynesiana, ma sul piano
nazionale, in microscala. Insomma, la “zuppa” , nazionalista o meno, resta sempre la stessa.
Servirebbe
invece un passo indietro. Quale? Uscire non dall'Europa, ma dallo stop and go, socialistoide, spesa pubblica-tagli, permettendo alle imprese europee di tornare ad essere competitive. Come? Tasse minime e zero
spesa sociale. Altro che transizione ecologica, il nuovo cavallo di battaglia -
attenzione - condiviso da “frugali”
e “mediterranei”. Che tutto sono, ripetiamo, eccetto che liberali…
Carlo Gambescia