sabato 11 luglio 2020

Sulla proroga dello stato d’emergenza
Giuseppe Conte, un professore di diritto che viola lo stato di diritto


Non c’è niente di peggio del professore di diritto, fattosi politico, che mescola e rimescola le carte, imbrogliando i cittadini e  minando i fondamenti dello stato di diritto e in particolare della democrazia rappresentativa. 
Il personaggio in discussione, per dirla senza mezzi termini, è Giuseppe Conte, “ l’Avvocato del Popolo”, che si crede furbissimo.  Cosa che purtroppo gli viene  permessa: in primis, dal Partito Democratico che pure avrebbe una certa cultura liberal-democratica di governo. 
Conte  parla di proroga dello stato di emergenza come se fosse una cosetta  normale,  mascherando  la svolta autoritaria  che risale alla fine di gennaio. Egli si nasconde  dietro la  fumosa  terminologia  di “decisioni collegiali”  prese dal Governo e “di debito confronto con il Parlamento”, aggiungendo, con faccia bronzea che “durante questo periodo”  si sarebbe recato  “spesso”  in Parlamento “ per informare i parlamentari, per aggiornarli, per il debito confronto” e  “che così sarà anche questa volta”.
Che significa “debito confronto”?  Bah... 
Un decreto legge, perché, per le misure attuative  di questo costituzionalmente si parla,  deve essere convertito in legge entro sessanta giorni. L’articolo 77 della Costituzione, prevede  che,  quando e se il Governo adotti, sotto sua responsabilità, provvedimenti  provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarsi per la conversione alle Camere che, anche se sciolte sono appositamente convocate, per riunirsi entro cinque giorni. Lì c’è il confronto con il voto. Tutto il resto è fumo e imbroglio politico. 

Ovviamente, intanto nell’attesa il Governo, perché  questo insegna il passato dell’Esecutivo populista double face di Conte, può fare di tutto, anche chiudere in casa gli italiani, distruggere l'economia, perseguitare i runner, favorire la delazione,  come è avvenuto  a colpi di decreti, stravolgendo  lo stato di diritto.     
Che Conte faccia di finta di ignorare l’articolo 77, inventandosi il valore salvifico per la democrazia parlamentare di  confronti e informative, è veramente vergognoso. Come del resto  è inquietante il silenzio del Presidente Mattarella e dei giuristi  di grido a quattromila   euro a editoriale.
Qual è la verità?  Che alle origini della sistematica distruzione populista  della società italiana  , tuttora in corso, c’è, ripetiamo,   la dichiarazione dello stato di emergenza deliberata in Consiglio dei Ministri   il   31 gennaio 2020, che autorizzava, attraverso il varo di  successivi Decreti- legge e del Presidente del Consiglio, misure in deroga,  seriamente  lesive della libertà politica, economica e civile degli italiani.
Ecco cosa è in gioco  quando si parla di proroga dello stato di emergenza: la nostra libertà.

Ma quale confronto… Ma quali informative…  Serve una parlamentarizzazione  vera,  capace di produrre, se necessario,  un  netto voto contrario delle Opposizioni.  E ancora prima, cosa fondamentale, in sede di Consiglio dei Ministri, occorre  un atto  di resipiscenza politica  da parte del  Partito Democratico nei riguardi di una svolta autoritaria, in precedenza purtroppo avallata. 
Lo stesso Renzi, pur al governo,  che tuttavia in qualche misura rappresenta l’ala libertaria e modernizzante della sinistra, avrebbe  - purtroppo il condizionale è d’obbligo -   il dovere di  insorgere. Di dire no, insomma.
Si rifletta su un punto:  la  necessità e l'  urgenza alla base della proroga  dello stato di emergenza,  sono ricondotte, come osserva l’ineffabile Giuseppe Conte, alla “curva epidemiologica”, a una parola magica,  cioè  a  quanto vi sia  di più arbitrario e misterioso  sul piano della misurazione, come  del resto sostengono, talvolta con modalità sconcertanti,  gli stessi virologi-epidemiologi.
Insomma, la libertà degli italiani sembra dipendere da cifre manipolabili ad uso e consumo della conservazione del potere da parte del  Governo populista retto da  Conte:  un professore di diritto che viola lo stato di diritto.

Carlo Gambescia  
                          

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