giovedì 16 luglio 2020

Benetton e Autostrade, la lezione di Pareto
Capitalismo coraggioso

Chi abbia tempo e  voglia  deve   leggere  le Cronache,  rubrica che Vilfredo Pareto scriveva più di un secolo fa per il “ Giornale degli Economisti”.  Per quale ragione? Per capire meglio il senso del “caso” Benetton e di Autostrade.
Maggioranza e Opposizione si accapigliano in modo ridicolo sulla revoca, tesi  condivisa  a grandi linee da destra a  sinistra. E per quale motivo?  Per compiacere  quelle  masse di imbecilli che come il famigerato  marito autolesionista si illudono, infierendo sui Benetton, di fare un dispetto al capitalismo, la gallina dalle uova d'oro... 
Se si dà uno sguardo ai giornali si parla  erroneamente  di esproprio (ma una concessione può essere revocata, non espropriata), di fantastici guadagni in borsa dei titoli Atlantia (può darsi, ma i Benetton  devono ancora recuperare soldi  per le precedenti cadute…), nonché  di altre amenità, per placare, come scrivevamo ieri, la tersitea bestia populista,  anticapitalista e antiliberale. Tutta "gente"  che alla gallina dalle uova d'oro tirerebbe il collo... 
E qui torniamo alle Cronache di Pareto, in cui il grande economista e sociologo quasi godeva nel prendere in giro certi finti liberali italiani che si proclamavano tali, senza però rinunciare al protezionismo doganale, alle lucrose concessioni pubbliche, eccetera, eccetera. Alle pastette con stato e governo insomma.
Oggi, nella rete polemica  di un Pareto redivivo  non potrebbe non incorrere la famiglia Benetton, che a dire il vero, tanto ha dato all’Italia fin quando ha privilegiato il suo core business, quello tessile.  Dopo di che ha però diversificato, affiancando investimenti in  altre attività, scivolando così sul pericoloso terreno del pubblico-privato, come nel caso delle concessioni autostradali. Comportandosi esattamente  come quei capitalisti fine Ottocento crocifissi da Pareto: pochi (si fa per dire), maledetti (dallo stato) e subito (nel senso di sicuri).  
Difendere la famiglia  Benetton, come scrivevamo alcuni giorni fa, significa però anche difendere i Benetton Atto Primo:  l’eroica e creativa impresa  che ha reso l’Italia economicamente  importante nel mondo.  Sull’Atto Secondo sospendiamo invece il giudizio, anche perché, se è vero, come sostengono i suoi avvocati, che sul crollo del ponte di Genova esistono precise responsabilità dello Stato, è altrettanto vero, che la famiglia Benetton, avrebbe dovuto rifiutare qualsiasi trattativa, per andare fino in fondo  cercando  di  ottenere giustizia.
Accettando la transazione  si è invece arresa al   mondo degli imbrogli ermeneutici (a voler essere buoni)  tra pubblico e privato.  E soprattutto, cosa importantissima, ha perso l’occasione per intraprendere  una sana battaglia liberale   gradita  a  un gigante del pensiero  come  Pareto.  E che tanto farebbe bene all'economia italiana.
Il vero problema è il sistema delle  concessioni, cosa che destra e sinistra -   vero e  indiviso concentrato di   populismo e statalismo -   non vogliono, anzi non possono comprendere. Sicché  la famiglia Benetton, accettando  la transazione  si rende complice - ora sì -  quantomeno moralmente  di un sistema  statalista  corrotto e illiberale.
Quali sono in sintesi  le proposte del Governo e dell’Opposizione?  La gestione pubblica, via Cassa Depositi e Prestiti   o qualche pastetta con altri concessionari privati. Capito? Stato o nuove clausole a gogò,  artatamente confuse quanto le precedenti.  Roba da pazzi.   In  un  sistema liberale si privatizzerebbe  l’intera rete, costi quel che costi,  aprendo se necessario a imprese estere.  E invece sembrano essere tutti d’accordo sulla spartizione delle spoglie, magari lasciando  qualche briciola   ai Benetton Atto Secondo.      
Ciò  che è  peggio è che sono a rischio i soldi degli italiani. Solo per dirne una:  Poste Italiane -  o  detto altrimenti la casa madre dei  depositi degli italiani, dalla nonnina  al commerciante -  possiede una quota di controllo non indifferente della Cassa Depositi e Prestiti.
Di sicuro,  la campagna di stampa contro la famiglia Benetton ha raggiunto livelli inauditi. Il che spiega un nostro precedente articolo in sua difesa.  Che rivendichiamo.
Però, ecco il punto,   a torto o ragione,  quando si è aggrediti con tale veemenza,  ci si deve battere in tribunale fino in fondo. E cosa, fondamentale, cercando di mettere  in luce, politicamente parlando, la natura  giuridicamente imbrogliata  e  cripto-corruttiva del sistema delle concessioni.  
Ecco l’unico vero mea culpa che i Benetton dovrebbero  fare: quello di essersi mescolati alle burocrazie governative  e statali. Insomma,  mai accontentarsi,  fatte le debite proporzioni,  del famigerato  piatto di lenticchie.  Il capitalismo ha necessità, a torto o ragione,  di coraggiosi capitani d’industria, anche a rischio di essere impopolari.
Vendere cara la pelle. Sempre. Il che, ripetiamo, fa bene al liberalismo, alle imprese e al capitalismo.  Pareto docet.     
                                                                                                                   Carlo Gambescia