domenica 19 luglio 2020

A proposito della protesta delle “categorie”
Ci sono i gruppi ma non l’ individuo…



I giornali, in particolare quelli vicini all'opposizione della destra populista  informano che ristoratori, commercialisti e altre “categorie” protestano contro il governo populista di sinistra, che a  sua  volta, si appella ai buoni rapporti con i sindacati, che rappresentano altre “categorie” di lavoratori, altrettanto "rappresentative".
La prima cosa fondamentale  che  va osservata  è che  destra e sinistra  difendono  il gruppo e non l’individuo.  Per capirsi,  un commercialista,  pur protestando per l’ “intasamento delle scadenze” non metterà mai in discussione il dovere di pagare le tasse, ne andrebbe del  suo lavoro.  Un ristoratore,  che addirittura spera in un aiuto finanziario del governo, protesta per il ritardo con cui esso viene erogato, senza mettere in discussione la natura immorale dell’aiuto stesso, frutto di un voto di scambio. Un sindacalista,  infine, guarda  esclusivamente ai diritti, giusti o sbagliati che siano, dei suoi iscritti... E così via, con grandi guadagni politici per la destra come per la sinistra, che di volta in volta sposano la causa di questo o di quello.  Insomma, diritti che vengono e diritti che vanno...
Naturalmente la società è stratificata in gruppi,  l’individuo di regola per lavoro e professione non  può che rientrare in questa o quella categoria e di riflesso identificarsi in questo o quell’interesse specifico. Soprattutto nella  società di massa, dove per l'individuo la vita è complicata,  si  tende a  parlare a livello politico più  al gruppo  che all’individuo. Di qui  lo sviluppo societario, quasi obbligato,  del concetto di "categoria":  uno strumento sociale  che consente a livello sistemico (quindi a  vantaggio apparente di  tutti i gruppi) l' uniformazione  e semplificazione del  rapporto tra cittadino e potere. 
La seconda osservazione, altrettanto fondamentale, è invece legata alla constatazione che non viviamo, come molti nemici della società aperta amano ripetere, nell’ età dell’individualismo compiuto, ma in quella  del gruppo sociale realizzato. Certo, non più di tipo strettamente  corporativo, come nel vecchio mondo degli “stati generali” (nobiltà, clero, borghesia), ma di natura professionale e lavorativa.  Il che però significa che più una società è segmentata in gruppi più l’individuo, come entità politica pulsante,  tende a sparire.
In che modo scompare?   Rifiutandosi, talvolta senza neppure saperlo, di rivendicare i propri diritti (di parola, di lavoro, eccetera) in nome dei diritti del gruppo al quale  appartiene, diritti  che possono essere in conflitto con i diritti dell’individuo.  Per tornare al nostro esempio,  il vero  punto non è quando  pagare le tasse ( diritto societario di gruppo) bensì perché  pagarle (diritto naturale dell'individuo).
Ovviamente, quanto più  nella società  è debole la cultura dell’individuo  tanto più la logica  politica del privilegiare il gruppo  è forte. Ad esempio, il decantato individualismo italiano non è altro che una leggenda,  perché poggia storicamente su una cultura che scorge nello stato, non il nemico (come  nell'individualismo anglo-sassone),  ma il terreno di conquista -   più facile quando si è  membri di un gruppo -   dove insediarsi per avere la meglio sui gruppi avversari.  Il che spiega gli aggiustamenti, gli intrighi, le spartizioni tra i diversi gruppi sociali (dalla famiglia alle professioni)  e il gruppo sociale-stato. Non per nulla, le mafie hanno radici italiane.
Tutto ciò  rinvia alla dinamica sociologica, cioè  a qualcosa che rimanda a sua volta alla “storia naturale” o “normale” della società.  Tuttavia la  "naturalizzazione"  dei rapporti sociali in gruppi rischia sempre di  uscire dall'ambito della fisiologia sociale,  trasformandosi  in macigno,  soprattutto nelle società  prive di autentica cultura individualistica.  Come in Italia.

Carlo Gambescia