In difesa di Luciano Benetton
La
sinistra non ha mai capito l’importanza della ricchezza. L’idea che meglio
rappresenta questo approccio totalmente sbagliato è quella balzachiana che scorgeva dietro
ogni grande fortuna un grande
delitto.
Il
marxismo, consapevolmente o meno, ha ricondotto questa idea al materialismo storico: teoria che non è altro che una filosofia economica della storia che scorge nella distruzione delle grandi fortune - tra l’altro, idea tipo biblico-profetico - l’atto catartico che consente la nascita di un nuovo mondo, autentico regno della giustizia.
La
prima pagina del “Fatto” condensa
magnificamente questo desiderio di farla finita con una ricchezza frutto, si ripete, di ruberie.
Il
tutto è molto infantile. Basterebbe
scorrere qualsiasi biografia di Luciano
Benetton e della sua famiglia per
scoprire come dietro il successo vi sia soprattutto il duro lavoro. E come sia giustificata la fierezza di aver dato tanto all'Italia e al mondo.
Il problema piuttosto è un altro. Quale? Quello
del contesto italiano prigioniero di un corrotto e predatorio statalismo che invece costringe
chi voglia fare impresa a subire le prepotenze di una burocrazia che vuole sempre avere l’ultima
parola su tutto, senza però assumersi alcuna responsabilità.
Come
tutti gli specialisti di diritto amministrativo sanno bene, i contratti di concessione, dalle autostrade
ai settori più diversi, a causa di clausole e disposizioni frutto di riserve mentali, soprattutto pubbliche, danno sempre luogo
ad arbitrati e contenziosi. Detto
altrimenti, sul ponte di Genova, l’inchiesta ha individuato “comportamenti
omissivi”, come si dice, anche da parte dello stato.
Nonostante
ciò, l’ideologia balzachiano-marxiana
riscoperta e sbandierata dai
populisti - attenzione, di sinistra come di destra - ha imposto la condanna a furor di popolo di Luciano Benetton. Inutile
qui evocare argomenti razionali in
difesa di un’impresa che ha creato ricchezza e posti di lavoro. I media (per non parlare dei social) accettano una
sola tesi: quella populista della totale
colpevolezza della famiglia Benetton. Che
deve pagare colpe, che invece nell’ipotesi più sfavorevole, dovrebbe almeno condividere
con la burocrazia ministeriale. Addirittura
quasi ci si lamenta - si pensi alla tracotanza di un Travaglio - del pensionamento della ghigliottina .
Pertanto,
ripetiamo, la prima pagina del “Fatto”, vera cloaca populista a cielo aperto, rilancia
l’ ideologia dell’odio sociale contro la ricchezza.
I
populisti, malati di statalismo, non possono comprendere come il vero problema sia rappresentato proprio dall’abnorme
presenza di uno stato che armato di leggi, norme, regolamenti, commissioni, sub-commissioni, sub-sub-commissioni, uccide invece la libera
concorrenza, favorendo attendismo e irresponsabilità a tutti i livelli. "La pacchia è finita" scrive "il Fatto". Bah... Di certo, non per le predatorie burocrazie pubbliche.
Di
conseguenza, quando il populismo evoca
come panacea l’attribuzione di poteri
ancora più estesi allo stato, non fa che
rendere ancora più spesse le catene burocratiche che impediscono, e non da
oggi, la modernizzazione capitalistica
dell’economia italiana.
Sono
cose, queste, che vanno scritte. Insomma,
Luciano Benetton viene costretto a
pagare per colpe non sue. O comunque, da condividere, e non in piccola parte, con l’amministrazione pubblica.
Nella quale però, ripetiamo,
i populisti scorgono la mano visibile che salverà l’Italia dalla famigerata “rapacità dei capitalisti privati”.
Roba
da ridere, se non ci fossero scappati i morti.
Carlo Gambescia