Genova e dintorni
Che teste di ponte…
Se
si ripercorre la storia della democrazia rappresentativa, fin dagli inizi, dove nacque in Gran Bretagna, si scopre che il
conflitto di interessi tra uomini politici e uomini d’affari viene da
lontano. Già allora, come insegna la battaglia, riferita dalle gazzette dell’epoca, ad esempio di Edmund Burke
contro Warren Hastings, governatore di un’ India, amministrata attraverso la East
India Company come patrimonio privato di alcuni cittadini
britannici, ma con saldi, spesso sotterranei,
legami politici in patria.
Il
punto era ed è, che, a differenza degli altri regimi
politici, nella democrazia liberale
tutti i dibattiti sono pubblici… Scelta ottima che però imporrebbe di
capire dove sia giusto fermarsi, per salvaguardare la credibilità delle istituzioni liberali.
Cosa
vogliamo dire? Che lo scontro di oggi
sull’affidamento dovuto o meno, della
gestione del nuovo ponte di Genova, alla famiglia Benetton, non è propriamente fisiologico. Lo era
nella Gran Bretagna fine Settecento, dove potere politico e civile si intersecavano,
forse ancora più di oggi. Tuttavia, alla fine, Hastings, come Clive (il fondatore militare dell'India britannica), vennero invece assolti per i grandi servizi resi alla patria.
Il
punto debole della democrazia rappresentativa è rappresentato dal
fatto che in mancanza del fair play
britannico, quanto più politica ed economia si sovrappongono tanto più il
conflitto di interessi - e conseguente
dibattito pubblico - da fisiologico
rischia di trasformarsi in patologico.
Ciò significa che la via di mezzo, “all’italiana” di una gestione mista di alcune grande infrastrutture, come le autostrade (e relativi ponti), non può che essere fonte continua di conflitti. Una questione che di conseguenza andrebbe affrontata in modo laico, realista, pragmatico. Senza proclami e scomuniche. E invece che accade? Si fa filosofia morale. Detto altrimenti: la credenza che l’affidamento della gestione a un’ altra società privata, “moralmente consapevole”, come si legge, o addirittura che il coinvolgimento diretto dello “stato etico”, siano soluzioni capaci di ridurre se non azzerare i conflitti di interessi, è cosa di un’ingenuità sconcertante.
Ciò significa che la via di mezzo, “all’italiana” di una gestione mista di alcune grande infrastrutture, come le autostrade (e relativi ponti), non può che essere fonte continua di conflitti. Una questione che di conseguenza andrebbe affrontata in modo laico, realista, pragmatico. Senza proclami e scomuniche. E invece che accade? Si fa filosofia morale. Detto altrimenti: la credenza che l’affidamento della gestione a un’ altra società privata, “moralmente consapevole”, come si legge, o addirittura che il coinvolgimento diretto dello “stato etico”, siano soluzioni capaci di ridurre se non azzerare i conflitti di interessi, è cosa di un’ingenuità sconcertante.
Come
risolse la Gran Bretagna
la questione dei conflitto di interessi indiano? Intanto, si può dire che non risolse
mai definitivamente un bel niente. Attenuò
i conflitti, facendo fare un passo indietro allo stato, senza estrometterlo (anzi…): Londra portò tutti
gli interessi, pubblici e privati alla
luce del sole senza ricorrere ad alcun falso moralismo. L’India, una volta chiusasi l’esperienza
privatistica ( o quasi) della East India Company fu governata da Londra, tramite governatore, ma in
modo pragmatico favorendo la modernizzazione e puntando sulla
progressiva autonomia e "britannizzazione" delle istituzioni locali, politiche e giuridiche, fino alla inevitabile concessione
dell’Indipendenza.
E
quella era l’India: un continente
brulicante di esseri umani e interessi economici, sociali e religiosi. I
britannici, dall’alto della cultura liberale, laicamente, sapevano che gli uomini non sono
angeli, e si limitarono a tagliare loro
le unghie, evitando di amputare le mani,
in Gran Bretagna come in India.
Invece
in Italia, dove la cultura liberale
latita ancora, ci si accapiglia su un ponte. Altro che fair play. Pubblico e privato vanno a caccia, neppure tanto nascosta, di risorse economiche da spartire tra politici in cerca di facili consensi e imprenditori poco o punto coraggiosi.
Che teste di ponte…
Che teste di ponte…
Carlo Gambescia