mercoledì 25 aprile 2018

Lo sport preferito dagli italiani: il processo allo stato

Lo Zio Tom in autostrada



Invito gli amici lettori a notare una cosa.  Basta accendere la televisione in qualsiasi momento della giornata per scoprire che lo sport preferito dagli  italiani è  il processo allo stato: dal terremotato all’esodato, dal disoccupato all’inquinato, dal licenziato al fallito, dalla vittima della mafia alla vittima del lavoro nero, eccetera, eccetera.
Il che, ovviamente,  non significa che il terremotato, l’esodato, il disoccupato, il licenziato, il fallito, il morto ammazzato, lo sfruttato,  se la passino bene, ma indica  che, nell'immaginario collettivo italico, la causa dei loro guai, è automaticamente addebitata sul conto dello stato: che deve ricostruire le case, promuovere la piena occupazione, bonificare tutta l’Italia, sconfiggere  il crimine per sempre, eccetera, eccetera. Fino a edificare un' Italia perfetta, "più grande e più bella che pria". 
Questa cosa, ripetiamo,  si chiama processo allo stato.  E funziona in due tempi (semplifichiamo, naturalmente).
Prima si idealizza, addirittura platonizza, il ruolo dello stato,  soprattutto con l’aiuto dei politici,  che promettono  - tutti, indistintamente -   mari e monti pur di essere rieletti ( ma non solo per questo motivo, come vedremo più avanti). Dopo di che, dal momento che la perfezione (promessa) non è di questo mondo,  si scatena  tra i cittadini,  davanti alle inevitabili contraddizioni tra il dire e il fare,  il processo allo stato. Uno sport nazionale che si trasmette  di padre in figlio. I cui "diritti di diffusione" fanno oggi  la  gioia e la ricchezza delle gogne televisive.  E anche di un gioco al rialzo politico che rischia di farsi  sempre più pericoloso.     
Attenzione, si tratta di un processo allo stato non  di tipo liberale,  ma di derivazione collettivista:  nel senso che si critica lo stato, non perché fa, ma perché non fa.  Pertanto, almeno in Italia, la critica allo stato porta con sé -  sviluppa insomma -   una specie di socialismo straccione, dove l’automobilista, chiuso, fermo da un’ora  sull’autostrada,  percorsa  liberamente per farsi i cazzi suoi (pardon), pretende la bottiglietta d’acqua gratuita.  Portarsela da casa, no?
Si dirà, che sono stupidaggini.  In realtà, siamo davanti a qualcosa di  più del volgare sintomo. L’uomo  dell’acqua dal cielo, che magari di bottiglietta gratuita ne arraffa  più di una perché non si sa mai…, è uno statalista a spese degli altri.  Perché premurarsi, se poi qualcuno pensa comunque a te? 
Si dice, degli Stati Uniti, che siano un paese duro. È vero. Dove non c’è scampo per il fallito sociale . Lo stato non ti soccorre, però funzionano  il muto aiuto   e il privato sociale, privato  vero,  filantropico, non finanziato dallo stato.  
Sicché  - ecco la lezioncina -   l'aiuto pubblico  finisce sempre per  sotterrare quello  privato e favorire il free rider (il socialista con il sedere degli altri...).  Per fortuna, vale però anche il contrario: la   mancanza della carità  di stato favorisce la moltiplicazione delle reti di auto-aiuto. Per contro, ripetiamo, lo statalismo alimenta la cultura del pianto e della critica.   Tra i cittadini Usa, chi si lamenta di più del sistema americano?  I neri, in particolare. Quelli che, per senso di colpa, sono stati aiutati più di tutte le altre comunità.  Ergo,  più hanno, più pretendono.
Ciò significa, per estensione, che alle radici  del processo allo stato, qui in Italia,  esiste  un senso di colpa storico  verso i cittadini,  da parte della  classe politica.  Alimentato da chi?  Dalla sinistra, ma anche dalla destra.  Solo che gli italiani le catene ai piedi non le hanno mai portate. Se non nell’immaginario degli stessi partiti che continuano  tuttora a compiangere il povero Zio Tom in autostrada che pretende la bottiglietta gratuita.  E come per l'acqua, tutto il resto. 
Salvo poi, per rimanere in tema,  una volta finita la cosiddetta emergenza autostradale, rimettere  in moto e  andarsene per i cazzi (pardon) propri. 

Carlo  Gambescia



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