Lo sport preferito dagli italiani: il processo allo stato
Invito gli amici lettori a notare una
cosa. Basta accendere la televisione in qualsiasi momento della giornata
per scoprire che lo sport preferito dagli italiani è il
processo allo stato: dal terremotato all’esodato, dal disoccupato
all’inquinato, dal licenziato al fallito, dalla vittima della mafia alla
vittima del lavoro nero, eccetera, eccetera.
Il che, ovviamente, non significa
che il terremotato, l’esodato, il disoccupato, il licenziato, il fallito, il
morto ammazzato, lo sfruttato, se la passino bene, ma indica che,
nell'immaginario collettivo italico, la causa dei loro guai, è automaticamente
addebitata sul conto dello stato: che deve ricostruire le case, promuovere la
piena occupazione, bonificare tutta l’Italia, sconfiggere il crimine per
sempre, eccetera, eccetera. Fino a edificare un' Italia perfetta, "più grande e più bella che pria".
Questa cosa, ripetiamo, si chiama
processo allo stato. E funziona in due tempi (semplifichiamo,
naturalmente).
Prima si idealizza, addirittura platonizza, il ruolo dello stato, soprattutto con l’aiuto dei politici, che promettono - tutti, indistintamente - mari e monti pur di essere rieletti ( ma non solo per
questo motivo, come vedremo più avanti). Dopo di che, dal momento che la perfezione (promessa) non è di questo mondo, si scatena tra i cittadini, davanti alle inevitabili contraddizioni tra il dire e il fare, il processo allo stato. Uno sport nazionale che si trasmette di padre in figlio. I cui "diritti di diffusione" fanno oggi la gioia e la ricchezza delle gogne televisive. E anche di un gioco al rialzo politico che rischia di farsi sempre più pericoloso.
Attenzione, si tratta di un processo allo
stato non di tipo liberale, ma di derivazione collettivista: nel senso che si critica lo
stato, non perché fa, ma perché non fa. Pertanto, almeno in Italia, la critica
allo stato porta con sé - sviluppa insomma - una specie di
socialismo straccione, dove l’automobilista, chiuso, fermo da un’ora
sull’autostrada, percorsa liberamente per farsi i cazzi suoi (pardon), pretende la bottiglietta d’acqua gratuita. Portarsela da casa, no?
Si dirà, che sono stupidaggini. In
realtà, siamo davanti a qualcosa di più del volgare sintomo. L’uomo dell’acqua dal cielo,
che magari di bottiglietta gratuita ne arraffa più di una perché non si
sa mai…, è uno statalista a spese degli altri. Perché premurarsi, se poi
qualcuno pensa comunque a te?
Si dice, degli Stati Uniti, che siano un
paese duro. È vero. Dove non c’è scampo per il fallito sociale . Lo stato non
ti soccorre, però funzionano il muto aiuto e il privato
sociale, privato vero, filantropico, non finanziato dallo stato.
Sicché - ecco la lezioncina -
l'aiuto pubblico finisce sempre per sotterrare quello privato e favorire il free rider (il socialista con il sedere degli altri...). Per fortuna, vale però anche il contrario: la mancanza della carità di stato favorisce la moltiplicazione delle reti di
auto-aiuto. Per contro, ripetiamo, lo statalismo alimenta la
cultura del pianto e della critica. Tra i cittadini Usa, chi si lamenta
di più del sistema americano? I neri, in particolare. Quelli che, per
senso di colpa, sono stati aiutati più di tutte le altre comunità. Ergo, più
hanno, più pretendono.
Ciò significa, per estensione, che alle
radici del processo allo stato, qui in Italia, esiste un senso
di colpa storico verso i cittadini, da parte della classe
politica. Alimentato da chi? Dalla sinistra, ma anche dalla destra.
Solo che gli italiani le catene ai piedi non le hanno mai portate.
Se non nell’immaginario degli stessi partiti che continuano tuttora
a compiangere il povero Zio Tom in autostrada che pretende la bottiglietta gratuita. E
come per l'acqua, tutto il resto.
Salvo poi, per rimanere in tema, una volta finita la cosiddetta
emergenza autostradale, rimettere in moto e andarsene per i cazzi (pardon) propri.
Carlo Gambescia
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