Jet russi sorvolano a bassa quota un cacciatorpediniere americano
Danze di guerra?
Un etologo definirebbe lo zig-zag degli aerei russi sulla nave lanciamissili Usa una danza di guerra. Magari a parti simbolicamente invertite: dell' aquila post-sovietica che volteggia, minacciando picchiate, davanti alla quale l'orso americano, per ora, sembra restare indifferente.
Fuor di metafora, e per passare alla politica internazionale, Putin, è un politico del XX secolo, Trump del XXI, sullo sfondo di un mondo che non è né del XX né del XXI: un universo caotico, in transizione, che non ha ancora definito una sua idea di ordine, o se si preferisce di equilibrio, intorno alla quale le grandi forze della politica mondiale, si sono sempre storicamente coagulate.
Ovviamente,
sul piano mediatico-politico, chi fa il tifo per Putin, vede nel gesto la
risposta alla sfida americana. Chi
invece, celebra Trump,
vi scorge addirittura una dichiarazione di guerra.
In
realtà, queste “danze” - il
plurale è giustificato dal fatto che non è la
prima volta dall’inizio del conflitto siriano - indicano principalmente un vuoto di potere in Medio Oriente, che gli
americani, già dai tempi di Obama, e ancor più con Trump, sperano di gestire a distanza, via alleati e
con il minimo impegno, mentre i russi,
storicamente e geopoliticamente più coinvolti con il regime di Assad, si trovano a svolgervi una politica
interventistica, al di sopra dei propri mezzi.
Sicché l’impressione è che russi e
americani, nonostante questo "danzare con le stelle" non desiderino, per ora, passare dalle parole ai fatti.
Detto
questo, non si può però non introdurre il cosiddetto fattore erratico: parliamo del ruolo dell'imprevedibilità. In questo caso rappresentato dall’inesperienza - per alcuni, mista a infantile presuntuosità - del Presidente Trump. Fattore, al quale si aggiunge - elemento non
meno importante - la mancanza di uno Stato-Terzo - in senso geopolitico - che, come nella vicenda coreana (in quel caso rappresentato dalla Cina) si incarichi di mediare e ridurre a miti
consigli, suggerendo iniziative di pace a sorpresa, la Corea di turno.
La
crisi siriana invece vede Russia e
Stati Uniti faccia a faccia,
l’Europa, come auspicabile Terzo, largamente assente, la Cina assai lontana, Israele
piuttosto vicino e l'Onu, per dirla brutalmente, somigliare sempre più a una vescica piena dell' aria dei buoni ma inapplicabili princìpi. Di conseguenza, ripetiamo, nel vuoto geopolitico, il
fattore personale può diventare determinante. Certo, nel bene come male. Di qui però, la
pericolosità, per una guerra che in fondo non vuole nessuno dei due
contendenti, degli sbalzi umorali di quel "bambinone", che sull’onda di un altrettanto infantile populismo, si
trova ora alla Casa Bianca.
Anche
Putin, ama i populismi, ma da lontano, quando possono servire ai suoi scopi. In questo senso,
i "bamboccioni" europei e italiani come Salvini e Di Maio dovrebbero non farsi
strumentalizzare. Ma questa è un’altra
storia.
Dicevamo
di Putin. La buona notizia è che resta un politico del XX secolo e che perciò conosce i rischi della politica di potenza, se non della pura forza (soprattutto quando non ci sono le
risorse). La cattiva, invece, come detto,
è che Trump, come quel bambino
viziato, che, dopo aver cacciato via tutti i compagni di squadra, prosegue a giocare da solo, divertendosi a calciare il pallone in mezzo il campo.
Ogni volta più in alto.
Carlo Gambescia