mercoledì 11 aprile 2018

Jet russi sorvolano a bassa quota un cacciatorpediniere americano

Danze di guerra?


Un etologo definirebbe lo zig-zag degli aerei russi sulla nave  lanciamissili  Usa  una danza di  guerra.  Magari a parti simbolicamente invertite:  dell' aquila  post-sovietica che volteggia, minacciando picchiate,  davanti alla quale  l'orso americano,  per ora,  sembra restare indifferente.
Fuor di metafora, e per passare alla politica internazionale,  Putin, è un politico del XX secolo, Trump del XXI, sullo sfondo di un mondo che non è né del XX né del XXI:  un universo caotico, in transizione,  che non   ha ancora  definito  una sua idea di ordine,  o se si preferisce di equilibrio,  intorno alla quale le grandi forze della politica mondiale, si sono sempre storicamente coagulate.
Ovviamente, sul piano mediatico-politico, chi fa il tifo per Putin, vede  nel gesto la risposta alla sfida americana.  Chi invece,  celebra  Trump,  vi  scorge addirittura una dichiarazione di guerra.
In realtà, queste “danze” - il plurale è giustificato dal fatto che non è la  prima volta dall’inizio del conflitto siriano -  indicano principalmente  un vuoto di potere in Medio Oriente,  che gli americani, già dai tempi di Obama, e ancor più con Trump,  sperano di gestire a distanza, via alleati e con il minimo  impegno, mentre i russi, storicamente e geopoliticamente più coinvolti con il regime di Assad,  si trovano a svolgervi una politica interventistica, al di sopra dei propri mezzi.  Sicché l’impressione è che russi e  americani, nonostante questo  "danzare con le stelle"  non desiderino, per ora,  passare dalle parole ai fatti.
Detto questo, non si può però  non  introdurre il cosiddetto fattore erratico: parliamo del ruolo dell'imprevedibilità.  In questo caso rappresentato dall’inesperienza -   per alcuni, mista a infantile presuntuosità -  del Presidente Trump.  Fattore, al quale si aggiunge - elemento non meno importante -  la mancanza di uno Stato-Terzo  -  in senso geopolitico -   che, come nella vicenda coreana (in quel caso  rappresentato dalla Cina) si incarichi di mediare e ridurre a miti consigli, suggerendo iniziative di pace a sorpresa, la Corea di turno.
La crisi siriana invece  vede  Russia e  Stati Uniti  faccia a faccia, l’Europa, come auspicabile Terzo, largamente  assente,  la Cina assai lontana, Israele piuttosto vicino e l'Onu, per dirla  brutalmente, somigliare sempre più  a  una vescica piena dell' aria dei  buoni ma inapplicabili princìpi. Di conseguenza,  ripetiamo, nel vuoto geopolitico,  il fattore personale può diventare determinante. Certo, nel bene come male. Di qui però,  la pericolosità, per una guerra che in fondo non vuole nessuno dei due contendenti,  degli sbalzi umorali  di quel  "bambinone", che sull’onda di un altrettanto infantile populismo,  si trova ora alla Casa Bianca. 
Anche Putin, ama i populismi, ma da lontano, quando possono servire ai suoi scopi.  In questo senso, i "bamboccioni"  europei e  italiani  come  Salvini e Di Maio  dovrebbero non farsi strumentalizzare. Ma questa è un’altra storia.
Dicevamo di Putin. La buona notizia è che resta un politico del XX secolo e  che perciò conosce i rischi della politica di potenza, se non della pura forza (soprattutto quando non ci sono le risorse). La cattiva, invece, come detto,   è che Trump, come quel bambino viziato, che, dopo aver cacciato via  tutti i compagni di squadra,  prosegue a giocare  da solo, divertendosi a calciare il pallone in mezzo il campo. 
Ogni volta più in alto.


Carlo Gambescia