I moderati italiani, un popolo senza più
casa politica
E io mi astengo…
Moderato
è chi rifiuta gli estremi, quindi le
utopie politiche. È per la mediazione, il compromesso, il realismo delle cose
che si oppone sempre all’irrealismo delle idee sulle cose. Il moderato ritiene
che le cose vadano da sole e che il migliore governo sia quello che governa
meno. La sua è una critica, forse senza neppure saperlo, a uno stato che fa troppo. E che dunque deve fare meno: lasciar fare, lasciare passare. Questo il suo motto.
Il moderato, non si fida del politico che promette troppo. Nel dubbio non vota, resta a guardare, magari poi sentendosi colpa. Ma preferisce non votare. Del resto è un suo diritto (naturale) di libertà. Insomma, il moderato guarda al centro dello schieramento politico, non è completamente di destra e neppure di sinistra.
Il moderato, non si fida del politico che promette troppo. Nel dubbio non vota, resta a guardare, magari poi sentendosi colpa. Ma preferisce non votare. Del resto è un suo diritto (naturale) di libertà. Insomma, il moderato guarda al centro dello schieramento politico, non è completamente di destra e neppure di sinistra.
Quali
forze politiche hanno espresso il moderatismo italiano nell’Italia repubblicana? Innanzitutto la Democrazia Cristiana ,
che però dopo De Gasperi, non si è più limitata a guardare a sinistra ma si è spostata a
sinistra, determinando la progressiva
fuga dei moderati. Che, a poco a poco, dall’inizio degli anni Sessanta con l’apertura
ai socialisti, poi negli anni Settanta al Pci, si sono ritrovati senza casa politica.
Al
moderato non piaceva l’estremismo di Almirante. Restava freddo davanti alle galoppate di Craxi e alle evoluzioni verso il Pci, del suo
avversario, De Mita. E neppure si entusiasmava per Andreotti, pur apprezzandone le arguzie. Ovviamente, non
credeva nelle promesse di Berlinguer. E nemmeno capiva le astruserie di Moro.
Il
moderato negli anni Settanta e Ottanta
non votava più, credeva solo nell’Arma dei Carabinieri. Negli anni Ottanta, tornava a ridere con le televisioni
dei Berlusconi, per poi votarlo negli
anni Novanta, scorgendo in Forza Italia il provvisorio surrogato di un grande partito di centro. E subito dopo, negli anni Duemila, cadere in depressione.
Diciamo
che fino a oggi, nonostante il micro-sussulto per Renzi, già archiviato, ancora
non si è risollevato. Il moderato, continua a non
votare. E ad assistere, sentendosi magari in colpa,
al trionfo degli estremismi di destra e di sinistra. Il moderato con il populismo non ha alcun punto di contatto.
In
qualche misura, interpretando la letteratura in argomento, la crescita dell’astensionismo elettorale in Italia va vista
come il progressivo ritiro nel suo guscio dell’elettore moderato, che non
fidandosi delle promesse, di regola esagerate, dei demagoghi di destra e
sinistra, preferisce non votare, anche
perché, guardandosi intorno, scorge la
società marciare da sola, gli stili di
vita non cambiare e nonostante il catastrofismo mediatico, la vita procedere
normalmente nelle sue cose quotidiane. Come dicevamo, lasciar fare, lasciar passare. Le cose vanno da sole. Ecco l'Italia dei moderati.
Il
moderato non è il presuntuoso "apote" di Prezzolini ("quello che non la
beve"), segue invece più umilmente la corrente delle cose: si fa portare. Si nutre, insomma, del conformismo della quotidianità Il moderato vive nella e di quotidianità. E in base all’andamento di essa giudica le cose. Come i mercati, il moderato vota tutti i giorni, facendo la spesa, andando
al lavoro, in vacanza, eccetera, eccetera. E per quanto i
mass media, possano estremizzare le cose, l’invisibile partito moderato del non voto, oggi quasi maggioritario, ci ricorda che l’Italia
funziona meglio della sua rappresentazione mediatica. Insomma, si dovrebbe essere felici, o quantomeno politicamente appagati, del fatto che il numero degli astensionisti
sia cresciuto. Perché si tratta di un segno di progresso sociale: in Italia si vive bene, e di conseguenza, votare è un fatto secondario: la società va da sola, a che serve la politica?
E invece no. Estremisti, pedagogisti della democrazia, virtuisti, ecologisti, post-comunisti, fascio-comunisti, e rivoluzionari vari, insomma quelle minoranze chiassose e mediaticamente sovra-rappresentate, deprecano l'astensionismo, sottovalutando però il nesso tra crescita del non voto e deciso miglioramento dello stile di vita degli italiani. E, infatti, il giacobino, per usare una categoria riassuntiva, odia il consumismo, il glamour, il divertentismo, tutto ciò che sia contrario a quella visione dolente della vita, da grande rottura di palle (pardon), che accomuna tutti i nemici, da destra e a sinistra, della democrazia dei consumi: del migliore dei mondi possibili al quale si continua a opporre, il migliore dei mondi impossibili, tratteggiandolo graziosamente con i colori della decrescita, dell'anticapitalismo, del nazionalismo, eccetera, eccetera.
Il
punto è un altro: l’assenza una grande forza, esplicitamente di centro. O comunque di
una destra e sinistra, maggioritarie e per questa ragione largamente spostate al centro. Sicché, mancando una forza politica di questo tipo, il moderato non vota. E continuerà a non votare.
Per contro, fluttua invece il
voto estremo, degli scontenti della vita e dei "piagnoni", da destra e sinistra, e fluttua all’interno dell’area del voto: insomma
sono sempre gli stessi elettori, che però cambiano casacca.Con la stessa smorfia alla Travaglio martellata sul viso.
Ma
questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia