Gli insulti Social all’ex Presidente GiorgioNapolitano
Pietà l’è morta…
Giorgio Napolitano,
che per chi scrive è stato un buon Presidente della Repubblica (ma queste sono opinioni personali), dovrebbe promuovere una riflessione, appena ristabilito, e ci auguriamo presto, su uno dei più famosi canti della Resistenza,
della sua parte politica, intitolato “Pietà l’ è morta”. Che per truculenza, non era inferiore a certi lugubri canti delle
brigate nere. “Quella”, era tante cose,
ma principalmente un guerra civile.
Nel 1943-1945 quando Nuto Revelli, scrisse il canto, non
si facevano prigionieri. I civili
parlamenti liberali erano solo un ricordo, dopo mezzo di secolo di parole di fuoco, scontri di piazza, rivoluzioni, dittature, la parola era passata alle armi. E la pietà era morta.
Va dato atto al Presidente Napolitano di aver sempre rappresentato l'ala riformista del Pci, quella che alle pallottole mostrava di preferire il voto, la civile discussione, la moderazione e il compromesso. Però servirebbe comunque una riflessione, soprattutto prima di condannare senza appello i Social, come si legge in giro. E il Presidente Napolitano, proprio per questa sua vocazione alla transigenza, dovrebbe favorire - come si usa dire - una riflessione più ampia sulla questione.
Infatti, chiunque conosca la letteratura sullo sviluppo dei partiti, e ancora prima sulla
storia delle istituzioni parlamentari, sa
chiaramente che i toni del dibattito si fecero più duri con
l’ingresso "nell’agone parlamentare" dei partiti rivoluzionari. O comunque, si intensificò dove operavano forze anti-sistemiche (rispetto al “sistema liberale”), come monarchici e
reazionari nella Francia repubblicana dell’Ottocento
o, su un altro versante politico, radicali, repubblicani, socialisti nell’Italia liberale e monarchica di fine XIX secolo.
I
toni raggiunsero il vero e proprio clima
da guerra civile nel secolo successivo, con l’arrivo nelle aule di forze politiche a sfondo totalitario, come comunisti,
fascisti, nazisti, o comunque assai divise sui "vantaggi" della "democrazia borghese". Al riguardo, ci sono
alcune pagine molto interessanti di Nolte, sul ferocissimo, linguaggio di nazisti e comunisti - seguito subito dai fatti - che distinse quel gioco al ribasso e agli opposti estremismi che condusse la Repubblica di Weimar all'autodistruzione.
Quindi,
la regola era ed è: più il Parlamento è inquinato da forze estremiste, più il linguaggio si fa duro e feroce. E più la pace sociale è a rischio.
Si
dirà che gli insulti rivolti a Giorgio Napolitano, per giunta gravemente infermo, sono venuti dai Social e non dal mondo
politico-parlamentare e che quindi il nostro discorso è fuori luogo. E invece
non è così, perché il clima politico italiano è degenerato molto prima dell’irresistibile ascesa di Facebook e delle altre reti sociali.
Inutile
qui ricordare, il deputato leghista che nei primi anni Novanta, si presentò alla Camera con un cappio. Oppure i volgari
festeggiamenti dei deputati del centrodestra, in particolare di alcuni post-missini, quando cadde Prodi nel
2008. Anche a sinistra non si è stati da
meno: come confermano il linguaggio guerrigliero di un
Di Pietro (tra l’altro, come noto, ex magistrato) e di altri nemici del
Cavaliere che quasi si auguravano in piena Camera la sua morte in diretta. A dire il vero, anche nei riguardi del Presidente Napolitano, i populismi leghisti e pentastellati hanno fatto la loro bella parte in scena.
Dietro il linguaggio, oggi approdato e rilanciato dai Social, c’è il disconoscimento dell’avversario, la sua trasformazione in nemico assoluto. Sicché, Napolitano è condannato come l'incarnazione del male, a prescindere ( nel senso che i capi d'accusa possono venire dopo o essere i più fantasiosi). Quel che è invece assolutamente certo e che “deve morire”, in quanto simbolo, eccetera, eccetera. Se si ammala e soffre, “peggio per lui, meglio per noi”.
Dietro il linguaggio, oggi approdato e rilanciato dai Social, c’è il disconoscimento dell’avversario, la sua trasformazione in nemico assoluto. Sicché, Napolitano è condannato come l'incarnazione del male, a prescindere ( nel senso che i capi d'accusa possono venire dopo o essere i più fantasiosi). Quel che è invece assolutamente certo e che “deve morire”, in quanto simbolo, eccetera, eccetera. Se si ammala e soffre, “peggio per lui, meglio per noi”.
Sono
esercizi di inumanità. Magari, la stessa persona che, infatuata dal clima politico ormai degradato, grida “a morte questo a
morte quello”, poi accarezza un bimbo o gioca con un gattino. Il prolungamento carnivoro viene vissuto come
qualcosa di normale: un atto dovuto. Se interrogato, colui che insulta in modo
distruttivo, cade dalle nuvole, perché reputa perfettamente “normale” il suo comportamento.
Si
chiama “banalità del male”: la stessa praticata dagli "onesti carnefici" postisi spontaneamente al di Hitler e dai servi, fedeli e armati, di tanti altri regimi totalitari. Persone che ogni giorno, riposta la divisa, rientravano in famiglia per indossare giacca da camera, calzare pantofole e
leggere il giornale in poltrona davanti
al caminetto.
Non
dimenticheremo mai, qualche tempo fa su Facebook, uno dei tanti estremisti
politici, per ora solo da tastiera, che dopo avere vomitato parole di odio contro un politico, salutò tutti, dicendo che
doveva mettere in forno la pizza per la
cena…
Ecco,
come dicevamo… Però, in principio fu il deputato leghista, non un hater
qualunque. E ancora prima, quel clima da guerra civile, che ha insanguinato il Novecento. Una atmosfera mefitica che il Presidente Napolitano, per esperienza politica conosce bene e teme, e che, come pochi, ha sempre cercato di contrastare con la forza della ragione politica.
Pertanto, se questo è vero, resta altrettanto vero che la pietà rischia nuovamente di morire e che la
colpa non è dei Social, pura e semplice cassa di risonanza di un clima di violenza che viene da lontano.
Carlo Gambescia