venerdì 27 aprile 2018

Gli insulti  Social all’ex  Presidente GiorgioNapolitano
Pietà l’è morta…




Giorgio Napolitano, che per chi scrive è stato un buon Presidente della Repubblica (ma queste sono opinioni personali), dovrebbe promuovere una riflessione, appena ristabilito, e ci auguriamo presto,  su uno dei più famosi canti della Resistenza, della sua parte politica,  intitolato “Pietà l’ è morta”.  Che per truculenza,  non era inferiore a certi lugubri canti delle brigate nere.  “Quella”,  era tante cose, ma principalmente  un guerra civile. 
Nel 1943-1945 quando Nuto Revelli, scrisse il canto,  non si facevano prigionieri. I civili parlamenti liberali erano  solo un ricordo, dopo mezzo di secolo di parole di fuoco, scontri di piazza, rivoluzioni, dittature, la parola  era passata alle armi.  E la pietà era morta.   
Va dato atto al Presidente Napolitano di aver sempre rappresentato l'ala riformista del Pci, quella che alle pallottole mostrava di preferire il voto, la civile discussione, la moderazione e il compromesso. Però servirebbe comunque una riflessione, soprattutto prima di condannare senza appello i Social, come si legge in giro.  E il Presidente Napolitano, proprio per questa sua vocazione alla transigenza, dovrebbe favorire - come si usa dire -  una riflessione  più ampia  sulla questione.  
Infatti,  chiunque conosca la letteratura sullo sviluppo dei partiti, e ancora prima sulla storia delle istituzioni parlamentari, sa  chiaramente che i toni del dibattito si fecero  più duri con  l’ingresso  "nell’agone parlamentare"  dei partiti rivoluzionari. O comunque, si intensificò  dove operavano forze anti-sistemiche (rispetto al “sistema liberale”), come  monarchici e reazionari nella  Francia repubblicana dell’Ottocento o, su un altro versante politico, radicali, repubblicani, socialisti  nell’Italia liberale e monarchica di fine XIX secolo. 
I toni raggiunsero il vero e proprio clima da guerra civile  nel secolo successivo,  con  l’arrivo nelle aule di forze politiche a sfondo totalitario, come comunisti, fascisti, nazisti, o comunque assai divise sui "vantaggi" della "democrazia borghese".  Al riguardo, ci sono alcune pagine molto interessanti di Nolte, sul ferocissimo, linguaggio di nazisti e comunisti -  seguito subito dai fatti -  che distinse quel  gioco al ribasso e agli opposti estremismi che condusse  la Repubblica di Weimar all'autodistruzione.
Quindi, la regola era ed è:   più il Parlamento è inquinato da forze estremiste, più il linguaggio si fa duro e feroce.  E più la pace sociale è a rischio.
Si dirà  che  gli insulti rivolti a Giorgio Napolitano, per giunta  gravemente infermo,  sono venuti dai Social e non dal mondo politico-parlamentare e che quindi il nostro discorso è fuori luogo. E invece non è così, perché il clima politico italiano è degenerato molto prima  dell’irresistibile ascesa di Facebook e delle altre reti sociali.
Inutile qui ricordare, il deputato leghista che nei primi anni Novanta, si presentò alla Camera con  un cappio.  Oppure  i volgari festeggiamenti  dei deputati del centrodestra, in particolare di alcuni post-missini, quando cadde Prodi nel 2008.  Anche a sinistra non si è stati da meno: come confermano il linguaggio guerrigliero di un Di Pietro (tra l’altro, come noto,  ex magistrato) e di altri nemici del Cavaliere che quasi si auguravano in piena Camera la sua  morte in diretta.  A dire il vero, anche nei riguardi del Presidente Napolitano,  i populismi leghisti e pentastellati  hanno fatto la loro bella  parte in scena.
Dietro il linguaggio,  oggi approdato e rilanciato  dai  Social, c’è il disconoscimento dell’avversario, la sua trasformazione in nemico assoluto.  Sicché,  Napolitano  è condannato come  l'incarnazione del male, a prescindere ( nel senso che i capi d'accusa possono venire dopo o essere i più fantasiosi). Quel che è invece assolutamente certo e che  “deve morire”,  in quanto simbolo, eccetera, eccetera.  Se si ammala e soffre, “peggio per lui, meglio per noi”.  
Sono esercizi di inumanità. Magari, la stessa persona che, infatuata dal clima politico ormai degradato, grida “a morte questo a morte quello”,  poi accarezza un bimbo o gioca con un gattino. Il prolungamento carnivoro viene vissuto come qualcosa di normale: un atto dovuto. Se interrogato, colui che insulta in modo distruttivo, cade dalle nuvole, perché reputa perfettamente  “normale” il suo comportamento.
Si chiama “banalità del male”:  la stessa  praticata dagli "onesti carnefici"  postisi spontaneamente al di Hitler e dai servi, fedeli e armati,  di tanti altri regimi totalitari. Persone che ogni giorno,  riposta  la divisa, rientravano in famiglia  per indossare giacca da camera, calzare pantofole e leggere il giornale  in poltrona davanti al caminetto.
Non dimenticheremo mai, qualche tempo fa su Facebook, uno dei tanti estremisti politici, per ora solo da tastiera, che dopo avere vomitato parole di odio contro  un politico, salutò tutti, dicendo che doveva mettere in forno la pizza per la cena…
Ecco, come dicevamo…  Però, in principio fu il deputato leghista, non un hater qualunque. E ancora prima,  quel clima da guerra civile, che ha insanguinato il Novecento. Una atmosfera mefitica che il Presidente Napolitano, per esperienza politica conosce bene e teme, e che,  come pochi, ha sempre cercato di contrastare con la forza della ragione politica.     
Pertanto, se questo è vero,  resta  altrettanto vero che la  pietà rischia nuovamente  di morire e che  la colpa  non è dei Social, pura e semplice cassa di risonanza di un clima di violenza che viene da lontano. 

Carlo Gambescia