Il caso del professore di Lucca, insultato e filmato
Lacrime di coccodrillo
Uno studente di
Lucca minaccia il professore e
i compagni filmano indifferenti. Sui giornali di oggi tutti si
indignano. Che dire? Lacrime di coccodrillo. Per giunta, dopo aver visto l’ennesimo
sconvolgente video, ci si interroga sulla necessità del ritorno del principio di autorità
a scuola. Insomma, che si aspetta, si dice, a imporre il
"dovuto rispetto" verso
i professori? O almeno, ammorbidendo i toni, l' "autorevolezza" del
docente... Certo, come se l' "autorevolezza", alla stregua di un caffè, si possa comprare introducendo cinquanta centesimi nella macchinetta… Che ci vuole, insomma...
Il punto non è la
questione del declino del
concetto sociale di autorità e della scarsa considerazione da parte degli
studenti per il personale docente. O comunque non solo. Qual è allora? Che tutte
le indagini sociologiche asseriscono che
sono gli italiani, per primi, a non voler alcun ritorno del principio di autorità, neppure nei blandi termini dell'autorevolezza, perché al settanta-ottanta per cento (secondo le varie indagini) diffidano delle istituzioni in genere e di
quelle scolastiche in particolare.
Altro
particolare interessante. Quel che si invoca dopo episodi del genere non è il rispetto del professore, in quanto
professore, ma perché persona, con una sua dignità eccetera,
eccetera. Dell’istituzione-scuola, dal
punto di vista dell’autorità, o almeno dell’autorevolezza "figurativa" dei professori, nessuno
si preoccupa, se non nei termini di puri interventi umanitari - se si vuole di welfare - per assistere psicologicamente
le vittime, tutte le vittime, i
professori come gli studenti. E come è noto: se tutti sono colpevoli, nessuno è veramente colpevole.
Sicché, di
regola, come principale responsabile della situazione viene chiamata in causa la politica, che non
investirebbe risorse, eccetera, eccetera. Il che finisce per vincolare l’autorevolezza di un
professore alle ore di doposcuola
e ai bagni funzionanti.
La fiducia o meno nelle istituzioni è qualcosa di profondo e non può dipendere da un "cesso" (pardon). In Italia ha giocato in suo sfavore quella sicumera collettiva (a mezzo servizio però, come vedremo) di poter fare a meno di esse. Un comportamento pubblico che attraversa l’intera storia dell’ Italia unita. Certo, con alti e bassi, senza però smentirsi mai. E che - attenzione - non implica quella fiducia in se stessi che rinvia alla sana diffidenza liberale per lo stato. Ma rimanda a quel tipo di
mentalità malata, cinica e furba, familistica, tipica dell'individualismo protetto, accattone, che consiste nell'afferrare delle istituzioni quel che
più conviene. Il ragazzo di Lucca voleva il sei sul registro.
Il
Sessantotto, con le sue pretese di scuola democratica e diciotto politico, affossò o comunque incise in prospettiva sulla preparazione dei professori,
nullificando quella degli studenti. E ridusse i meccanismi della pubblica
istruzione a una specie di centro servizi e distribuzione di titoli. Meccanismo
che, ovviamente, non poteva funzionare, considerata la particolare composizione di
una spesa pubblica in Italia (già ristretta, perché tale), basata sulle prevalenza delle spese correnti
su quelle in conto capitale. Di conseguenza, quei pochi soldi sono andati a
foraggiare professori inadeguati (con
alcune eccezioni ovviamente) e studenti
e famiglie, già storicamente privi di qualsiasi senso delle istituzioni. Ma non di quell'ethos opportunista che porta ad appropriarsi dei diritti, ignorando bellamente i doveri.
Concludendo,
gli italiani, superficiali, insubordinati, egoisti, che ora si indignano, tra
l’altro evocando - pensiamo ai più acculturati - ragioni umanitarie, secondo la pedagogia buonista di oggi, "del tutti colpevoli nessun colpevole" ( a parte politici e istituzioni, ovviamente), non sono migliori dello studente che ordina al suo professore di inginocchiarsi. Salvo poi, stando ai mass media, formulare le proprie scuse...
E così, tutti possono continuare a vivere felici e scontenti.
Carlo Gambescia