Il Movimento Cinque Stelle nella storia
d’Italia
I Salvatori della Patria
Quasi
tutti gli analisti sottolineano la novità politica del Movimento Cinque Stelle. Però, cosa metodologicamente sospetta, si evitano, con riguardo alla storia
d’Italia, raffronti con i movimenti eversivi della democrazia liberale,
dai fascisti ai comunisti. Guai a farne. Si rischia l'espulsione dai nuovi salotti buoni della politologia.
Si
dice, ai pochi che osano obiettare, che un partito, asceso a forza di governo, in poco più di dieci anni, non può non essere un fenomeno difficile da giudicare e analizzare. Sicché, se proprio una spiegazione
si deve dare, Cinque Stelle andrebbe visto, si ripete, come un partito democratico, anzi
ultrademocratico, giustamente interprete del malessere politico, economico ed etico degli
italiani, aggravatosi dopo la crisi del 2007-2008, non intercettato da tutti gli altri partiti. Insomma, politologicamente parlando, quella di Cinque Stelle sarebbe una Success Story.
Può
darsi. Tuttavia, dietro quest’ultimo giudizio sembra ergersi - fare da sfondo, se si vuole - la morale del “chi vince ha sempre ragione”, così cara alla politologia cripto-hegeliana dei fatti compiuti. Come se i voti ricevuti bastassero a dimostrare, o meglio a
provare nei riguardi di un partito la sua natura democratica perché vincente e vincente perché democratica.
Una filosofia del successo, per dirla brutalmente, da quattro soldi. Che certa politologia della rassegnazione oggi estende all'analisi dei populismi. Nulla di nuovo. Una ricetta già politicamente applicata, qui in Italia, a fascisti e comunisti. Politicamente, prima che analiticamente: i fascisti, vennero arruolati dai liberali in disarmo e
adottati dagli italiani come Salvatori della Patria; i comunisti, consociati,
a più riprese dai democristiani e dalla sinistra laica, "indipendente", come Parte Sana e Democratica del Paese. Quelli che ricevevano ordini e soldi da Mosca.
Va
detto per inciso, che questo
atteggiamento, poiché coinvolse, politici, intellettuali, uomini d’affari, gerarchie religiose e gente
comune, quindi un larghissimo numero di persone, ha sempre impedito, una volta caduti, fascisti
(1943) e comunisti (1989), di ragionare onestamente sugli errori commessi nell’associare chi
democratico non era, se non - come si riteneva, sbagliando - per i soli voti ricevuti.
Probabilmente,
qualche lettore riterrà la nostra analisi schematica e soprattutto storicamente
incongrua. Certo, Grillo non è
Mussolini, Casaleggio, Farinacci. Ed entrambi non ricordano, neppure lontanamente, Gramsci, Bordiga Togliatti, per
non parlare di Berlinguer. Né il
reducismo vitalista dei “santi maledetti”, né il leninismo hanno nulla a che vedere, soprattutto ideologicamente, con un partito come Cinque Stelle, mai passato tra le fiamme della “guerra civile europea”.
Resta
però, come costante della storia d’Italia, quell’atteggiamento degli eletti e degli elettori, insomma di buona parte degli italiani, di scorgere, ciclicamente, la figura del Salvatore della Patria in pericolo, in una forza politica giacobina, con una visione
a dir poco primitiva e antiliberale della dialettica politica.
Sicché stiamo assistendo, come nel 1922, nel 1944 , nel 1976, a una recita sulla democraticità. Oggi tocca a Cinque
Stelle, un partito di virtuisti invasati, controllato in modo ferreo da un ex comico e da un imprenditore del Web. A chi va la parte dell’utile idiota? Questa volta, non
è recitata da presunti liberali e clerico-moderati (come nel 1922), dalla
sinistra laica (di ascendenza azionista) e dai catto-comunisti (come, rispettivamente, nel 1944 e nel 1976), ma da una forza razzista, protezionista, sovranista, come la Lega . Il che la dovrebbe dire lunga sulle pericolose
affinità di programma e idee, chiaramente eversive dell'ordine liberal-democratico, tra grillini e leghisti. Per inciso: qualsiasi riferimento al ruolo decisivo del Presidente Mattarella non è casuale...
E invece, per ora, si evoca lo stato di necessità come nel 1922, nel 1944, nel1976. In sintesi: nel 1922, la guerra civile; nel 1944 la lotta
al nazifascismo; nel 1976, la crisi economica e gli opposti estremismi.
E invece, per ora, si evoca lo stato di necessità come nel 1922, nel 1944, nel
Come
si può notare, il modello politico è lo
stesso: 1) grave emergenza; 2) rappresentatività democratica data per scontata; 3) governo di unità, salvezza o responsabilità nazionale.
Oggi,
l’emergenza sarebbe quella di una crisi economica, in realtà già alle spalle, alla quale si è aggiunta negli ultimi giorni, a colpi di notiziario, l'escalation (possibile) siriana, da cui però ci siamo tirati fuori da un pezzo ( uso delle basi Nato, come minimo sindacale, a parte); la
rappresentatività quella di un partito di ragazzini musoni, giacobini senza
neppure saperlo, che hanno vinto alla lotteria della stupidità
elettorale; il governo di unità nazionale che ne sortirebbe, quello di un gruppo di matricole della
politica, incluse le reclute leghiste, dalle idee annebbiate, gonfie di odio e
risentimento.
Come
si può notare, la storia rischia di ripetersi. Certo, come si dice, potrebbe
finire in farsa. Potrebbe.
Carlo Gambescia