Riflessioni
Il pregiudizio anti-tecnologico
Leggevamo
alcuni giorni fa il solito piagnisteo sui pericoli della tecnica. Ora, non si pretende di risolvere una questione, sulla quale si sono soffermati i più grandi filosofi, in poche battute, con un post, però desideriamo segnalare un aspetto sociologico
ignorato, soprattutto dai critici più aspri.
Dietro
i processi di innovazione tecnologica si
nasconde il principio del minimo sforzo. Semplificando: conseguire un certo obiettivo, risparmiando
forze, denari e tempi. Tradotto: fare bene, presto, a costi inferiori.
Al
principio del minimo sforzo si associa quello dell’adattamento umano: processo a due facce, per un verso, l’adattamento può rendere i processi di innovazione meno rapidi, per l’altro, una volta acquisita l’innovazione,
favorirne l'uso, attraverso la socializzazione (e istituzionalizzazione). L'uomo insomma, senza intervento di terzi, può dire sì o no, prendersi i suoi tempi, decidere, eccetera, eccetera, in base alle sue convenienze e capacità di adattamento. Diciamo che l'innovazione spinge avanti, l'adattamento modera la corsa dell'innovazione. E così via. Nessun processo sociale è mai definitivo.
La
critica alla tecnica, quindi, è una critica che non tiene conto del principio
del minimo sforzo e del principio dell’adattamento: due costanti che appartengono
al comportamento sociale dell’uomo. Sicché, il punto non è la tecnica, ma l’uomo che è naturalmente portato all’innovazione
e all’adattamento. Due potenti fattori, non di un progresso da deificare, o di un adattamento da divinizzare, bensì del divenire sociale, in quando tale, nel quale allo statico si alterna il dinamico. Se però si uccide la tecnica, si uccide la vita sociale dell'uomo nei due aspetti.
Leggevamo, come si diceva, dei
dipendenti di una impresa svedese che hanno accettato, liberamente, di farsi
impiantare un microchip, che offre “funzioni
multiple” permettendo così “di non ricorrere a carte di credito, documenti d’identità o
chiavi”. Qui possiamo vedere all’opera, plasticamente il principio del minimo sforzo e quello dell’adattamento: un
microchip che facilità il lavoro ( e la vita) e che quindi viene condiviso, attraverso il processo di adattamento a una nuova tecnologia.
Non
è allora eccessivo, come appunto ci è capitato di leggere, parlare addirittura
di cyborg? La tecnologia, e in
particolare le continue innovazioni tecnologiche migliorano la vita, il
pregiudizio anti-tecnologico no.
Carlo
Gambescia