giovedì 4 maggio 2017

Riflessioni
Il pregiudizio anti-tecnologico




Leggevamo alcuni giorni fa il solito piagnisteo sui pericoli della tecnica.  Ora, non si pretende di risolvere una  questione,  sulla quale si sono soffermati i più  grandi   filosofi, in poche  battute,  con un post, però desideriamo  segnalare un aspetto sociologico ignorato, soprattutto dai critici più aspri. 
Dietro i processi di innovazione  tecnologica si nasconde il principio del minimo sforzo. Semplificando:  conseguire un certo obiettivo, risparmiando forze, denari e tempi.  Tradotto: fare bene, presto, a costi inferiori.
Al principio del minimo sforzo si associa quello dell’adattamento umano:  processo  a due facce,   per un verso, l’adattamento può rendere i processi di innovazione meno rapidi,  per l’altro, una volta acquisita l’innovazione, favorirne l'uso,  attraverso la  socializzazione (e istituzionalizzazione). L'uomo insomma, senza intervento di terzi, può dire sì o no,  prendersi i suoi tempi, decidere, eccetera, eccetera, in base alle sue convenienze e capacità di adattamento. Diciamo che l'innovazione spinge avanti, l'adattamento modera la corsa dell'innovazione. E così via.  Nessun  processo sociale è mai definitivo.
La critica alla tecnica, quindi, è una critica che non tiene conto del principio del minimo sforzo e del principio dell’adattamento: due costanti che appartengono al comportamento sociale dell’uomo. Sicché,  il punto non è la tecnica, ma l’uomo che è naturalmente portato all’innovazione e all’adattamento.  Due potenti fattori,  non di un progresso da deificare, o di un adattamento da divinizzare,   bensì  del divenire sociale, in quando tale,  nel quale allo statico si alterna il dinamico. Se però si uccide la tecnica, si uccide la vita sociale dell'uomo nei due aspetti.
Leggevamo, come si diceva,   dei dipendenti di una impresa svedese che hanno accettato, liberamente, di farsi impiantare  un microchip, che offre “funzioni multiple” permettendo così “di non ricorrere a carte di credito, documenti d’identità o chiavi”.  Qui possiamo vedere all’opera, plasticamente il principio del minimo sforzo e quello dell’adattamento: un microchip che facilità il lavoro ( e la vita) e che quindi  viene condiviso, attraverso il processo  di adattamento a una nuova tecnologia.  
Non è allora eccessivo, come  appunto ci è capitato di leggere, parlare addirittura di cyborg?  La tecnologia, e in particolare le continue innovazioni tecnologiche migliorano la vita, il pregiudizio anti-tecnologico no.

Carlo Gambescia