Domenica 7 maggio, il secondo turno delle elezioni presidenziali francesi
Il partitone anti-populista (che non va,
o almeno non per sempre)
Il
prossimo Presidente della Repubblica francese potrebbe essere Emmanuel Macron, perché
votato anche da
coloro che non si riconoscono nella versione di sinistra del suo
liberalismo. Un surplus determinante di voti di destra, voti
moderati, democratici e liberali, voti espressi
da chi ama la patria ma teme lo spaventoso ritorno della retorica nazionalista e protezionista: la stessa scabrosa retorica alle origini della guerra civile
europea, oggi rispolverata dai movimenti populisti. I popoli hanno la memoria corta. Purtroppo.
Chi
scrive, pur non essendo di sinistra, se fosse francese, domani andrebbe a votare Macron, obtorto collo, pur di evitare la vittoria dei rigurgiti maleodoranti del
nazismo e del fascismo ora confluiti sotto le bandiere del populismo
sovranista.
Non
condividiamo però la tesi di chi
teorizza - pensiamo al "Foglio" - la
scelta non tanto del turarsi il naso
quanto del fare di necessità virtù, puntando sul discrimine, nuovo di zecca, tra populisti e non populisti. Insomma, non accettiamo l’assunto dell'inevitabilità del “partitone”
antipopulista.
Essere
contrari a questa tesi, ripetiamo, non significa rifiutare il voto Macron. Il punto vero è il rifiuto della logica "unionista". Insomma, non siamo d'accordo sulla trasformazione di una necessità (la convergenza
elettorale, occasionale) nella virtù (di un partito unico destra-sinistra, stabile). Dal momento che ogni
concessione alla retorica del superamento destra-sinistra, anche se a fin di
bene, rischia di tramutarsi in un regalo alla formula preferita, a far tempo dalla
Rivoluzione Francese, da tutti nemici della democrazia rappresentativa e delle istituzioni liberali.
Niente
di nuovo sotto il sole, insomma: il populismo, nasce dalla logica romantica dei plebisciti, che, una
volta disincarnata dalle istituzioni dello stato di diritto liberale, conduce al plebiscitarismo prima
demagogico, poi dittatoriale. Marine Le Pen in Francia, Grillo e Salvini in Italia e gli altri "caporioni" populisti sparsi in Europa, politicamente parlando, sono gli epigoni di coloro che da più di due secoli ci
ripetono che i parlamentari di destra e
sinistra si assomigliano tutti, che sono corrotti dai potentati economici, che i
parlamenti fanno perdere tempo, che il
popolo non ha bisogno di rappresentanti, che può autogovernarsi e che
eventualmente ha solo necessità di esecutori onesti. Sappiamo poi come è
finita con fior di populisti come Mussolini e Hitler
È
una retorica, ripetiamo, molto pericolosa, che non è di destra né di sinistra, ma contro la
destra e la sinistra insieme, quali espressioni
parlamentari (quindi anche organizzative) della democrazia liberale. Pertanto,
se è vero che un attacco
concentrico impone una difesa concentrica capace di giustificare, come in Francia, la convergenza elettorale
destra-sinistra contro le forze nemiche dello stato di diritto e della democrazia
rappresentativa, è altrettanto vero che la stabilizzazione, non solo elettorale
ma politica, di un partito unico di destra e sinistra, potrebbe fare il gioco dell’avversario populista, favorendo la fin troppo facile retorica delle élites traditrici schierate contro il popolo.
Pertanto,
domenica in Francia tutti a votare Macron. Però con l’impegno di tornare, già dalle prossime legislative di giugno (anche perché il maggioritario
a doppio turno francese consente l'azzeramento parlamentare delle forze eversive), alle tradizionali divisioni parlamentari tra destra e
sinistra democratiche.
Assai diverso, infine, il
discorso per l' Italia, dove invece le forze moderate e progressiste, corrono fin troppo in proprio, senza però disdegnare riaggregazioni temporanee, quindi prive di prospettive: si attende qualcosa, senza capire bene di cosa si tratti. Non c'è neppure l'idea di un Godot. Sicché ci si balocca con il proporzionale, le cortine fumogene delle liste bloccate e dei premi di maggioranza, rischiando di favorire comunque i populisti. Tutto sembra essere in scala più piccola. Invece di Macron c'è Renzi, e così via... Salvo forse i populisti italiani, che sembrano essere più pericolosi dei cugini francesi. Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia