Presidenziali Francesi 2017
La vittoria di Macron, tre riflessioni
Macron,
come scontato, ha vinto. Ora dovrà provare,
prima ancora di svelare le sue doti, di essere capace di vincere le prossime
elezioni legislative. E per il conseguimento di questo obiettivo potrebbe essere d'aiuto il sistema elettorale maggioritario a doppio
turno. Che, se per un verso, potrebbe non
garantirgli una maggioranza schiacciante (di qui la possibile coabitazione probabilmente
con la vecchia guardia repubblicana e i socialisti moderati); per l’altro, di sicuro, spazzerà via, o ridurrà a poca cosa, la
rappresentanza politica lepenista, (un partito da sempre fuori dell’arco repubblicano, perciò regolarmente penalizzato ai
ballottaggi, incapace di moderare
i toni, quindi riformarsi, anche perché perderebbe riconoscibilità
e voti).
Per
inciso, il sistema elettorale francese (a sfondo semi-presidenziale), costruito
apposta per penalizzare le forze estremiste, andrebbe trasposto in Italia, prima che sia troppo tardi, per
ridimensionare le forze antisistemiche, a cominciare dal M5S. Fermo
restando che, ai ballottaggi, affinché l'argine funzioni, occorre che l’idea di fronte
repubblicano (il vecchio “arco costituzionale” italiano) sia condivisa dai
partiti come dagli elettori. Cosa non facile da perseguire in un' Italia dove si strologa di capilista bloccati o meno...
Per
tornare a Macron, tre riflessioni.
La
prima è che finora (escludendo il caso
britannico, dove l’insularità era ed è la regola, l’europeismo l’eccezione),
gli elettori hanno mostrato di temere
il salto buio che si cela dietro le violente parole d’ordine populiste e
fascistoidi. Il che significa che la lezione del ’45 non è stata
dimenticata. Avanti così. E Macron, con la sua proposta, chiaramente anti-populista,
ne ha tratto vantaggio. E sul punto,
sempre per inciso, i moderati italiani, in particolare i partiti di centro-destra, ma anche di centro-sinistra, dovrebbero
riflettere, invece di farsi dettare l'agenda dai fantasmi del fascio-leghismo e dai demagoghi grillini.
La
seconda, è che la vittoria di Macron
indica che la forza politica ed elettorale del moderatismo è ancora
consistente. E per giunta in Francia,
terra delle rivoluzioni. La cosiddetta fine del discrimine destra-sinistra, tematica che
ritorna nella retorica “nuovista” dei
candidati ( quasi tutti i candidati), in
realtà confonde due cose, i sistemi
politici con i metodi di governo. Nel senso che, prescindendo dalle scelte
politiche (di destra o sinistra), comunque necessarie ai fini del discorso
pubblico, quando poi si va al governo si deve mediare tra interessi sociali e politici, spesso opposti. Come? Governando “dal centro”. Fenomeno politico, quello delle maggioranze e degli elettorati filo-governativi, che ha accompagnato lo
sviluppo delle democrazie rappresentative, certo con frizioni, conflitti e scissioni politiche. E Macron, partendo da sinistra ma con un programma, da subito, centrista, ne ha saggiamente tratto vantaggio. Difficile però dire, se riuscirà nell'intento: parlare al centro senza essere di centro, non è facile, si rischia di scontentare, prima del tempo, le ali senza accontentare il centro del partito come dell'elettorato. Però intanto Macron ha vinto. Ciò significa - e
quanto stiamo per dire valga per i partitini italiani di centro - che
il centrismo non è un’ideologia ma una pratica inevitabile di governo. Che richiede gradi doti di equilibrio. Quindi non occorrono micro-partiti di
centro, magari rissosi, ma governi centristi, che pur partendo da destra o sinistra, guardino al centro nella pratica governativa. Si chiama riformismo. E di quello concreto. Vero.
La
terza riflessione riguarda la personalità politica di Macron, tutta da scoprire. E quindi il possesso delle doti ricordate. Il nuovo presidente sarà all’altezza del compito? I giudizi su di
lui sono i più diversi, si va dal servo
delle banche al politico-filosofo. Di
certo, il merito di aver saputo intercettare in meno di un anno l’elettorato
moderato e governativo (in questo senso, né di destra né di sinistra) è tutto
suo. Come del
resto non gli può essere negata la dote
di sapersi circondare (così sembra) di pochi ma scelti collaboratori. Quanto alla
cultura (alta) che gli si attribuisce,
potrebbe essere un vantaggio (capire la complessità delle cose) quanto uno
svantaggio (tentennare, rinviare, non decidere). Governare "dal centro" non significa abusare della tecnica del rinvio, talvolta utile. Insomma, vedremo. Per ora, concludendo, tous nos vœux!
Carlo Gambescia