giovedì 11 maggio 2017

A proposito del  post di Carlo Pompei sulla questione dei rifiuti

Welfare state dell'immondizia



Ieri ci ha colpito l'interessante post di Carlo Pompei dedicato alla questione dei rifiuti. Tema, ora, di grande attualità, soprattutto nei dintorni di Roma…
Puro "metodo Pompei",  eccolo:

Secondo alcuni grillini, la responsabilità dell'immondizia in eccesso sarebbe da accollare a chi la butta e a chi non la raccoglie.
Ora, sperando che non sia pensiero condiviso dalla "casa... madre", anche se le dichiarazioni della Raggi lasciano spazio al sospetto, analizziamo.
Non conosco nessuno che goda nel buttare immondizia, tranne in situazioni straordinarie.
Sull'altro versante abbiamo dipendenti della nettezza urbana (chiamiamola come una volta, così ci capiamo), che fanno turni massacranti e malpagati, ma vengono accusati di lassismo da gente che si sveglia a mezzogiorno.
Esaurito il preambolo, torniamo al focus per individuare il vulnus.
Se non si torna ad ottimizzare gli imballi, non se ne esce, il 50% del volume dell'immondizia è dato da questi e dal vuoto che si genera.
Ma per fare questo serve regolamentazione presso produttori e distributori, cosa della quale l'Europa sembra non curarsi.
Poi, l'unica raccolta differenziata che va fatta è tra scarti alimentari, biologici, umidi, deperibili e tutto il resto.
Tornare ad utilizzare il vetro con la resa vuoti retribuita, in modo che non finisca in discarica con costi di separazione e smaltimento superiori a quelli di installazione di centri di raccolta presso i supermercati.
Non aspettiamoci miracoli dalle persone, mettiamole in condizione di farli spontaneamente.
Le cose semplici sono quelle che funzionano.
La mafia? La muffa prospera nell'umidità, se la separi correttamente, muore (*).
                                                                                                                                                                Carlo Pompei


Il  ragionamento è giusto.  Ma fondato sull'ottica del rifiuto-risorsa concezione che  ha favorito la nascita di un mercato misto pubblico-privato dello smaltimento differenziato. Mercato "regolato", quindi nuovi controlli, fino al punto di ficcare il naso nelle immondizie dei singoli cittadini. E soprattutto sparizione dei micromercati liberi della carta e del vetro: i pittoreschi  "cartacciari" e "bottigliari": economie da bidonville, modeste, che tuttavia funzionavano sull'inesorabile base dei prezzi e dell'iniziativa individuale, senza correttivi pubblici.  
Inoltre, cosa determinante, alla creazione di un mercato misto pubblico-privato, di stampo oligopolistico, si è accompagnata una pedagogia politica, rigida e sociale,  tesa a colpevolizzare il cittadino "cattivo riciclatore". Un comportamento inquisitorio  favorito dalla pervasività mediatica del pensiero ecologista, sotto gli occhi compiaciuti di certa imprenditoria impura, affamata  di mercati protetti e sovvenzioni. Un mix di idealismo e affarismo che ha prodotto, come capita in tutti i processi sociali, per un verso  la miracolosa  mitologizzazione del rifiuto-risorsa, e per l'altro l'angosciosa percezione sociale  della  sua pericolosità  
Intorno alla “monnezza”, per dirla in romanesco,  si è  sviluppato un immaginario, come dire,   “della pericolosità”,  che ha  acquisito  forza propria, dando vita a forme patologiche di angoscia collettiva. Inoltre, si sono  sviluppati, come inevitabile derivato istituzionale dell' immaginario catastrofista,  interessi costituiti:  un mercato pubblico-privato dell'  immondizia.  Ci spieghiamo meglio.  
La trasformazione (o il trattamento) di “beni" ritenuti a torto o ragione pericolosi, implica inevitabilmente tecniche complesse di intervento, costi elevati, contrattazioni politiche,  tempi lunghi, ciclici conflitti sociali,  nonché  corruzione e concussione, dal momento che  l' immaginario collettivo di stampo apocalittico,  impone controlli pubblici estesi su beni presuntivamente considerati fonte di allarme sociale. E, come noto,  dove pubblico e privato interagiscono -  una specie di area grigia -   i riflessi carnivori di imprenditori privati e amministratori pubblici si fanno più voraci. Il che spiega  le “eco-mafie”: tipico prodotto,  per la legge dell’eterogenesi dei fini (vuoi il bene ottieni il male),  del welfarismo ecologista di mercato.  Esiste, insomma, anche per l'immondizia, un welfare state, parassitario, nei cui interstizi inevitabilmente si annidano le attività criminali. Il meccanismo è identico: sprechi e  soldi pubblici come terreno ideale per imprenditori poco puliti, a caccia di sovvenzioni,  che si appoggiano al non incorruttibile braccio pubblico. L'esatto contrario di una sana economia di mercato.  
Che fare? Considerate le difficoltà politiche, sociali, economiche, legate al "trattamento", forse converrebbe  tornare all’ottica del rifiuto-rifiuto.  Per capirsi:  la concezione del rifiuto-risorsa implica tre fasi, ritiro, trasformazione, eliminazione; quella del rifiuto-rifiuto, due, ritiro ed eliminazione. Si chiama semplificazione.  Dopo di che,  privatizzazioni, privatizzazioni, privatizzazioni.  Unico giudice,  il rapporto prezzo-efficienza.   Insomma,  qui serve  una contro-rivoluzione, un cambio di mentalità. 
Però, come far digerire l' idea  ai grillini che credono nell'autoconsumo, perfino dei rifiuti? Ai molti cittadini angosciati, prigionieri dell'immaginario eco-welfarista?  Agli imprenditori del settore del trattamento che spesso vivono di sovvenzioni?  A quei politici che  non disdegnano tangenti?   Dietro il fenomeno c'è un vero e proprio blocco sociale e politico. La  vediamo dura.   

         Carlo Gambescia