A proposito del post di Carlo
Pompei sulla questione dei rifiuti
Welfare state dell'immondizia
Ieri ci ha colpito l'interessante post di Carlo
Pompei dedicato alla
questione dei rifiuti. Tema, ora, di grande attualità, soprattutto nei dintorni di Roma…
Puro "metodo Pompei", eccolo:
Secondo
alcuni grillini, la responsabilità dell'immondizia in eccesso sarebbe da
accollare a chi la butta e a chi non la raccoglie.
Ora, sperando
che non sia pensiero condiviso dalla "casa... madre", anche se le
dichiarazioni della Raggi lasciano spazio al sospetto, analizziamo.
Non conosco nessuno che goda nel buttare immondizia, tranne in situazioni
straordinarie.
Sull'altro versante abbiamo dipendenti della nettezza urbana (chiamiamola come una volta, così ci capiamo), che fanno turni massacranti e malpagati, ma vengono accusati di lassismo da gente che si sveglia a mezzogiorno.
Esaurito il preambolo, torniamo al focus per individuare il vulnus.
Se non si torna ad ottimizzare gli imballi, non se ne esce, il 50% del volume dell'immondizia è dato da questi e dal vuoto che si genera.
Ma per fare questo serve regolamentazione presso produttori e distributori, cosa della quale l'Europa sembra non curarsi.
Poi, l'unica raccolta differenziata che va fatta è tra scarti alimentari, biologici, umidi, deperibili e tutto il resto.
Tornare ad utilizzare il vetro con la resa vuoti retribuita, in modo che non finisca in discarica con costi di separazione e smaltimento superiori a quelli di installazione di centri di raccolta presso i supermercati.
Non aspettiamoci miracoli dalle persone, mettiamole in condizione di farli spontaneamente.
Le cose semplici sono quelle che funzionano.
La mafia? La muffa prospera nell'umidità, se la separi correttamente, muore (*).
Sull'altro versante abbiamo dipendenti della nettezza urbana (chiamiamola come una volta, così ci capiamo), che fanno turni massacranti e malpagati, ma vengono accusati di lassismo da gente che si sveglia a mezzogiorno.
Esaurito il preambolo, torniamo al focus per individuare il vulnus.
Se non si torna ad ottimizzare gli imballi, non se ne esce, il 50% del volume dell'immondizia è dato da questi e dal vuoto che si genera.
Ma per fare questo serve regolamentazione presso produttori e distributori, cosa della quale l'Europa sembra non curarsi.
Poi, l'unica raccolta differenziata che va fatta è tra scarti alimentari, biologici, umidi, deperibili e tutto il resto.
Tornare ad utilizzare il vetro con la resa vuoti retribuita, in modo che non finisca in discarica con costi di separazione e smaltimento superiori a quelli di installazione di centri di raccolta presso i supermercati.
Non aspettiamoci miracoli dalle persone, mettiamole in condizione di farli spontaneamente.
Le cose semplici sono quelle che funzionano.
La mafia? La muffa prospera nell'umidità, se la separi correttamente, muore (*).
Carlo Pompei
Il ragionamento è giusto. Ma fondato
sull'ottica del rifiuto-risorsa, concezione
che ha favorito la nascita di un mercato misto pubblico-privato dello smaltimento differenziato. Mercato "regolato", quindi nuovi controlli, fino al punto di ficcare il naso nelle immondizie dei singoli cittadini. E soprattutto sparizione dei micromercati liberi della carta e del vetro: i pittoreschi "cartacciari" e "bottigliari": economie da bidonville, modeste, che tuttavia funzionavano sull'inesorabile base dei prezzi e dell'iniziativa individuale, senza correttivi pubblici.
Inoltre, cosa determinante, alla creazione di un mercato misto pubblico-privato, di stampo oligopolistico, si è accompagnata una pedagogia politica, rigida e sociale, tesa a colpevolizzare il cittadino "cattivo riciclatore". Un comportamento inquisitorio favorito dalla pervasività mediatica del pensiero ecologista, sotto gli occhi compiaciuti di certa imprenditoria impura, affamata di mercati protetti e sovvenzioni. Un mix di idealismo e affarismo che ha prodotto, come capita in tutti i processi sociali, per un verso la miracolosa mitologizzazione del rifiuto-risorsa, e per l'altro l'angosciosa percezione sociale della sua pericolosità.
Inoltre, cosa determinante, alla creazione di un mercato misto pubblico-privato, di stampo oligopolistico, si è accompagnata una pedagogia politica, rigida e sociale, tesa a colpevolizzare il cittadino "cattivo riciclatore". Un comportamento inquisitorio favorito dalla pervasività mediatica del pensiero ecologista, sotto gli occhi compiaciuti di certa imprenditoria impura, affamata di mercati protetti e sovvenzioni. Un mix di idealismo e affarismo che ha prodotto, come capita in tutti i processi sociali, per un verso la miracolosa mitologizzazione del rifiuto-risorsa, e per l'altro l'angosciosa percezione sociale della sua pericolosità.
Intorno alla “monnezza”, per dirla in romanesco, si è sviluppato un immaginario, come dire, “della
pericolosità”, che ha acquisito forza propria, dando vita a forme patologiche di angoscia collettiva. Inoltre, si sono sviluppati, come inevitabile derivato istituzionale dell' immaginario catastrofista, interessi
costituiti: un mercato pubblico-privato dell' immondizia. Ci spieghiamo meglio.
La trasformazione (o il trattamento) di “beni" ritenuti a torto o ragione pericolosi, implica inevitabilmente tecniche complesse di intervento, costi elevati, contrattazioni
politiche, tempi lunghi, ciclici conflitti sociali, nonché corruzione e concussione, dal
momento che l' immaginario collettivo di stampo apocalittico, impone controlli pubblici estesi su beni presuntivamente considerati fonte di allarme sociale. E, come noto, dove pubblico e
privato interagiscono - una specie di area grigia - i riflessi carnivori di imprenditori privati e amministratori pubblici si
fanno più voraci. Il che spiega le “eco-mafie”: tipico prodotto, per la legge dell’eterogenesi dei fini
(vuoi il bene ottieni il male), del welfarismo ecologista di mercato. Esiste, insomma, anche per l'immondizia, un welfare state,
parassitario, nei cui interstizi inevitabilmente si annidano le attività criminali. Il meccanismo è identico: sprechi e soldi pubblici come terreno ideale per imprenditori poco puliti, a caccia di sovvenzioni, che si appoggiano al non incorruttibile braccio pubblico. L'esatto contrario di una sana economia di mercato.
Che fare? Considerate le difficoltà politiche, sociali, economiche, legate al "trattamento", forse converrebbe tornare
all’ottica del rifiuto-rifiuto. Per capirsi: la concezione del rifiuto-risorsa
implica tre fasi, ritiro, trasformazione, eliminazione; quella del
rifiuto-rifiuto, due, ritiro ed eliminazione. Si chiama semplificazione. Dopo di che, privatizzazioni, privatizzazioni, privatizzazioni. Unico giudice, il rapporto prezzo-efficienza. Insomma, qui serve una contro-rivoluzione, un cambio di mentalità.
Però, come far digerire l' idea ai grillini che credono nell'autoconsumo, perfino dei rifiuti? Ai molti cittadini angosciati, prigionieri dell'immaginario eco-welfarista? Agli imprenditori del settore del trattamento che spesso vivono di sovvenzioni? A quei politici che non disdegnano tangenti? Dietro il fenomeno c'è un vero e proprio blocco sociale e politico. La vediamo dura.
Però, come far digerire l' idea ai grillini che credono nell'autoconsumo, perfino dei rifiuti? Ai molti cittadini angosciati, prigionieri dell'immaginario eco-welfarista? Agli imprenditori del settore del trattamento che spesso vivono di sovvenzioni? A quei politici che non disdegnano tangenti? Dietro il fenomeno c'è un vero e proprio blocco sociale e politico. La vediamo dura.
Carlo Gambescia