L’attentato di Manchester
Islam vs consumismo, chi vincerà?
Dopo
ogni attentato terroristico jihadista, ultimo quello gravissimo di Manchester,
si assiste alla stessa recita politico-mediatica: dai titoli dei giornali
alla reazione dei politici. Che
succede? Prevale, anzi domina, la logica sociale della lotta alla criminalità e del musulmano
che sbaglia, come un tempo si diceva dei “compagni comunisti” con il
passamontagna.
Di certo, due catastrofiche guerre europee hanno giustamente insegnato agli europei i
pericoli delle guerre ideologiche. Come
del resto il lungo periodo di pace interna ha ammorbidito gli animi e addolcito i costumi. Si vive, insomma, nella e della rassicurante convinzione che il
nemico prima o poi la smetterà, e che qualsiasi atto di guerra da parte nostra
potrà solo complicare le cose e precipitarci in una inutile guerra simmetrica
nei riguardi di un fenomeno asimmetrico come il terrorismo islamico. Guai, insomma, a chi osi parlare di una terapia militare .
Sicché
le uniche strategie per difenderci dal
terrorismo, ogni volta riproposte, sono le crescenti misure di polizia, il
dialogo con le comunità musulmane europee, e un aiuto tecnico, economico e
militare, laddove si combatte il fenomeno jhiadista. Infine, per una di quelle ragioni
occulte, misteriose, sconfinanti nell’autodistruzione dei popoli, ragioni più o
meno nobili che dovranno spiegare gli storici del XXIV secolo, ci si oppone,
soprattutto a livello politico, al
controllo dei flussi migratori verso il continente europeo.
Insomma,
a meno che la cadenza degli attentati non divenga giornaliera, il cittadino europeo, sembra essere disposto, pur di vivere in modo
semi-normale, a subire tutto il peso di
uno stato di polizia. Al di là di alcuni gruppi
razzisti - che però non vanno oltre
la logica dei controlli estesi alle frontiere - la stragrande maggioranza degli europei, a partire dai militari di carriera, non
ha alcuna voglia di battersi lontano dall’Europa, né di cambiare programmi
legati a uno stile di vita, secolarizzato, più che soddisfacente, che ruota intorno ai processi di produzione e consumo di beni e servizi, materiali e immateriali.
Il
che facilita il ruolo della politica, dalla sinistra alla destra, nell’affrontare il terrorismo solo in termini
di politica interna e di terapia culturale. Come ben prova, sul piano dell'immaginario, la retorica politicamente infantile,
ma legata a un sistema routinario di vita, quindi difficilmente
sradicabile, “dello sconfiggeremo il
nemico, andando come ogni anno in
vacanza”.
Si
potrebbe parlare, semplificando, di un razionalizzazione consumistica del
nemico, nel doppio senso 1) di sedurlo con uno stile vita che 2) ha sedotto gli occidentali. Sul punto ritorneremo più avanti.
Per
ora, se reazione ci sarà a livello sociale, verrà quando il terrorismo, intensificando
la sua attività distruttiva, impedirà il normale svolgimento della vita sociale e l’attuazione stessa dei singoli programmi di vita: come andare al lavoro, a un concerto, in vacanza, partire per un
viaggio, spostarsi in automobile, treno, aereo,
recarsi al cinema, in biblioteca, godersi un aperitivo e una
passeggiata. Difficile dire quale aspetto potrà assumere la reazione, molto dipenderà dal tasso di risentimento sociale, dai livelli di inclusione e dalla distribuzione del potere tra i diversi gruppi collettivi.
Alcuni
sostengono, come anticipato, che la
razionalizzazione consumista, potrebbe estendersi, coinvolgere e convertire il
nemico jihadista. Indubbiamente, si
tratta di una sfida interessante. La secolarizzazione dei costumi è un'importante fattore di trasformazione sociale. Per ora, tuttavia, non sembra funzionare, almeno all’interno
delle seconde generazioni di immigrati islamici.
Il
vero problema sociologico riguarda la tempistica sociale: la conversione
o razionalizzazione consumista sembra essere più lenta ( e meno efficace) di quella religiosa. Lo stile di vita europeo ha impiegato circa duecento anni per radicarsi. E può provocare, dove la tensione religiosa è forte,
crisi di rigetto. Quindi la terapia
culturale ha tempi lunghi e non sempre funziona. Del resto la terapia militare , come abbiamo visto, non viene presa in alcuna considerazione.
Sicché sembrano non restare che le misure di polizia e l’attesa che la terapia culturale funzioni, ossia che
musulmani, semplificando, si convertano tutti al
consumismo. Sempre che, a suon di bombe,
non siano gli occidentali a convertirsi all’Islam. In fondo, non si diceva un
tempo meglio rossi che morti? La conversione forzata o meditata,appartiene alla logica del pacifismo piuttosto che a quella della guerra civile. La terapia culturale, mai dimenticarlo, un po' come la democrazia di massa, è un'arma a doppio taglio, può favorire tutto e il suo contrario.
Certo,
contro l’Unione sovietica, “l’ Islam del XX secolo" (Monnerot), alla
fine vinsero i frigoriferi. Con l’islamismo, quello autentico, del XXI secolo, potrebbe però essere più dura.
Carlo Gambescia