Corruzione, malaffare e mafia
tra percezione e realtà
Se perfino l'ottimo Maltese…
Ieri
sera è andata in onda l’ultima puntata
di “Maltese”, un'ottima fiction, grande ritmo, bravi gli attori, eccetera, eccetera. Però, vi
si respirava un’aria da ultimi giorni di
Pompei. Peccato.
Detto
altrimenti, il solito mantra: il potere
mafioso governa l’Italia e tutti i politici sono corrotti. Si tratta di un ritornello, post Tangentopoli,
che da anni viene rilanciato quotidianamente dai mass media. La pressione
politico-mediatica è così forte che si è giunti al punto che le pensioni,
difese fino alla morte dai sindacati, quando si tratta di parlamentari e politici
in genere, sono degradate a privilegi tout court... Infatti si parla di vitalizi:
una specie di concessione dall’alto, anzi dal basso (il popolo sovrano) che
però non spetterebbe ai politici, ormai giudicati, a torto o ragione, tutti ladri e
nelle mani della mafia. Termine, quest'ultimo, oggi usato a sproposito. Ma così è.
Per
ora, siamo allo stadio dell' insofferenza crescente. Insofferenza che però rischia di sfociare in una vera e propria rabbia, che rischia di esprimersi, come è sotto l'occhio di tutti, nel voto ai partiti
populisti, neofascisti e neocomunisti, per ora fortunatamente ancora minoritari. Fino a quando però?
Insofferenza e rabbia. Sono due termini, che rinviando al tasso di sensibilità verso fenomeni come corruzione, malaffare, mafia, sembrano essere quelli giusti per capire natura e origine della nostra deriva. Spieghiamo perché.
Insofferenza e rabbia. Sono due termini, che rinviando al tasso di sensibilità verso fenomeni come corruzione, malaffare, mafia, sembrano essere quelli giusti per capire natura e origine della nostra deriva. Spieghiamo perché.
Studi
e ricerche provano che la corruzione, sempre esistita come
risorsa politica, era più diffusa prima del 1789. Quindi non oggi. Il punto è importante, perché quel che invece è mutato con l’avvento dei regimi liberal-democratici è solo la percezione sociale del fenomeno. Come scrive lo storico Sergio Turone, in altre età gli uomini erano abituati a
tutto, perché segnati da una vita colma
di incertezze e miserie da subire con religiosa rassegnazione. Sicché, se nei secoli passati, “l’umanità
poteva sopportare senza rivolgimenti sociali un tasso di corruzione, poniamo
del 40 per cento, oggi la convivenza civile può reggere in proposito un tasso
del 3 per cento: se il livello di malcostume pubblico va oltre questo limite,
la società rischia il disfacimento” (1).
Diciamo
che Turone si ferma al dato oggettivo
del 3 per cento, non cogliendo il dato soggettivo della percezione che agisce
da moltiplicatore. Di qui però, la caccia
mediatica alle streghe e l’uso politico
improprio non della corruzione, ma -
attenzione - della percezione collettiva della
corruzione.
Ovviamente,
non si tratta di negare - come Don Ferrante a proposito della peste - l’esistenza di corruzione, malaffare, mafia, e neppure di rimpiangere il "senno" dei rassegnati
uomini del passato, bensì di comprendere che esiste una corruzione percettiva. O per dire
meglio, un fattore percettivo che,
agendo come il moltiplicatore keynesiano degli investimenti, in questo caso
“investimenti” mediatici e politici sulle credenze collettive, dilata e deforma sistematicamente i contorni storici e
le proporzioni sociologiche della
corruzione, del malaffare e della mafia.
Una vera manna per quelle forze
anti-sistemiche, che per ignoranza, stupidità, invidia sociale, romanticismo
politico, culto della lotta di classe, mito dell’uguaglianza sostanziale, vagheggiano di regolare i conti con la
civiltà post 1789.
Il
processo è in atto, e non riguarda solo l’Italia, ma l’ intero esperimento
liberal-democratico. Che in realtà è il meno corrotto della intera storia umana. Tuttavia, nessuno lo dice, neppure l’ottimo Maltese.
Carlo Gambescia
(1)
Sergio Turone, Politica ladra. Storia della corruzione in Italia. 1861-1992,
Laterza, Bari 1992, pp. 5-6, nota 1.