martedì 31 gennaio 2017

Sondaggi. Riparte l’offensiva contro Renzi
L’Italia di don Ferrante


Si è riaperta la caccia a Renzi. Appena l' ex  premier ha  pronunciato la parola elezioni ( con qualche possibilità, insistiamo sul concetto, di superare il famoso  40 per cento) è partita l’offensiva.  Anzi due.  
Quella dei sondaggi, talvolta  diffusi ad arte per influenzare l’elettorato o comunque influire sul dibattito politico. E qui sembra evidente, proprio per la tempistica, l'uso del fucile a pallettoni algoritimici per dare il colpo di grazia all'ultimo dei Medici, ramo di Rignano sull'Arno.    
E quella degli opinionisti del ma-chi-te-lo-fa-fare. Uno per tutti: Galli della Loggia, editorialista sempre dentro le righe, che però questa volta consiglia a Renzi, senza tanti complimenti,  di ritirarsi in alta montagna a meditare.
Stupisce, ma fino a un certo punto, l’ atteggiamento autodistruttivo di una classe politica (e giornalistica) di post-nani e post-ballerine, che critica, critica, critica, senza  però  offrire  alcuna alternativa  reale alla proposta riformista di Renzi.  Il quale, mai dimenticarlo, unico nella storia della Prima e della Seconda Repubblica, era riuscito ( o quasi) a liberare gli italiani da un Senato perfetto doppione della Camera,  tirato su all'epoca per evitare nuove marce su Roma. E invece?  La Costituzione del 1948, quando non ti clonavano la carta di credito ma ti rubavamo la biclicletta,   è ancora lì,   però ci ritroviamo  con Grillo,  un cripto-fascista a un passo dal potere  e con il Senato  che fa chic ma non funziona.  Perfetto, per  la serie come farsi del male da soli.
Qual è la strategia degli anti-Renzi? Nessuna.  Vivere alla giornata, buttarla in caciara (pardon per il romanesco) sulla legge elettorale,  promettere tutto e il contrario di tutto  pur di arraffare il potere. Poi si vedrà.  Inciso: in Italia si critica Trump a reti unificate, per carità il personaggio non convince, però fa quello che in Italia non si usa fare: cerca di mantenere, piacciano o meno, le promesse elettorali.  
Tornando ai programmi, per quel che riguarda Cinque Stelle, l’esperimento di  Roma  ha valore politicamente dirimente, ma  in negativo. Quanto al  progetto,  che si  comincia a scorgere, di D’Alema, cosa si può dire?  Che rinvia a un centrosinistra stracotto,  guidato  in tandem con  Prodi: roba da rimpatriata tra amici. E il centrodestra di Berlusconi, Salvini e Meloni?  Roba da ridere. Non ha più alcuna credibilità. E poi perché votare per la copia populista, penserà l'elettore di destra (modello classico con  bava alla bocca),  quando è possibile eleggere l’originale? Ossia Grillo?
La tesi degli anti-renziani -   il che dovrebbe  far riflettere coloro che votavano  il Cavaliere -   è che Renzi sia l’erede di Berlusconi. Aggiudicato.   Ha quarant’anni di meno. E non va a mignotte (pardon). Due  ragioni in più per votarlo, no?  E invece i teocon italiani, che con i dignitosissimi cattolici liberali dell’Ottocento  non hanno nulla a che fare (tradotto: Alessandro Manzoni), sabato erano in piazza con la fascistella Meloni (tradotto: Gaetano Quagliariello).  Così va il mondo, qui in Italia (tradotto: da Manzoni a Quagliariello).  Evidentemente, non si perdona a Renzi, la legge sulle unioni civili.  Altro segno rivelatore di una destra illuminata…    
Del resto, il Silvio, quello  autentico, non vuole andare in pensione.  E sogna impossibili recuperi, a costo di sfasciare tutto  e consegnare l’Italia a Grillo (come Roma). In un’intervista al “Messaggero” Berlusconi rivendica il merito di aver fatto vincere il no. Complimenti! Chi scrive, spera fervidamente, che le “oggettine” (e i giudici)  gli tolgano pure le mutande.
Qualcuno si chiederà il perché dell’ anti-renzismo. Sarebbe come  chiedersi il perché dell’anti-degasperismo (contro lo statista democristiano, già anziano e malato, scese addirittura in campo Guareschi, pur di screditarlo), dell’anti-fanfanismo (finito in barzellette),  dell’anti-moroteismo  (finito nel sangue) dell’anti-craxismo (finito in tribunale), dell’anti-berlusconismo (idem con patate).  
Il punto è  che gli italiani ( se ci si perdona l’antropologia un poco frettolosa), come il  don Ferrante manzoniano,  non vogliono comandare né obbedire.  E  i leader politici che hanno  provato   a invertire la tendenza sono  finiti male.  Va però ricordato, che don Ferrante, morì di peste, proprio per non dar retta a nessuno, se non alle proprie bislacche teorie.  Sicché, come si legge,  “non prese nessuna precauzione contro la peste: gli si attaccò: andò a letto, a morire, come un eroe del Metastasio, prendendosela con le stelle”.  
Qui invece bisognerebbe prendersela con  i Cinque Stelle, la nuova peste populista.  Ma subito, prima, molto prima,  di mettersi a letto e morire.  Capito il messaggio?       

Carlo Gambescia               

                              

lunedì 30 gennaio 2017

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2017, lunedì 30 gennaio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 945/3, autorizzazione NATO n. 219/2a [Operazione “FOLLOW UP” , N.d.V.] è stata intercettata in data 29/01/2017, ore 16,25 la seguente conversazione telefonica tra le utenze 333.***, intestata a FINZI MATTIA, e 356***, intestata a SENSINI FABIO.
[omissis]

SENSINI FABIO: “Niente da fare.”
FINZI MATTIA: “Come niente da fare?!”
SENSINI FABIO: “L’ho chiamato dieci volte. Non mi risponde.”
FINZI MATTIA: “Chiamalo con un altro numero!”
SENSINI FABIO: “Già fatto. Quando ha riconosciuto la voce sai cosa mi ha risposto? ‘Ha sbagliato numero, giovanotto.’ “
FINZI MATTIA: “Giovanotto…”
[PAUSA]
SENSINI FABIO: “Fa sul serio, Mattia.”
FINZI MATTIA: “Ma perché?! Non si rende conto che se spacca il partito vince Grilletto?”
SENSINI FABIO: “ Pessimo D’Altema è fatto così, Mattia, io te l’avevo de…”
FINZI MATTIA: “Ah no eh?! No te l’avevo detto!”
SENSINI FABIO: “E invece sì! Te l’avevo detto e ridetto, Mattia! Cosa ti costava dargli quello che voleva?”
FINZI MATTIA: “Non mi ha mai chiesto niente, D’Altema.”
SENSINI FABIO: “Fai finta di non capire? Cos’ha detto D’Altema un anno fa? ‘Bisogna ricostruire il centrosinistra con un lento lavoro culturale, non con la creazione di partitini a sinistra, ma il gruppo dirigente attuale non sembra interessato a questo obiettivo.’ “
FINZI MATTIA: “E invece adesso il partitino lo fa.”
SENSINI FABIO: “Voleva qualcosa, Mattia. Voleva l’ONU, voleva l’Alto Commissariato agli Esteri della UE…voleva chiudere in bellezza, voleva un tramonto da grande statista... Noi non gli abbiamo dato niente, poi abbiamo perso il referendum, tu ti sei dimesso, e adesso lui ti dà una lezione.”
FINZI MATTIA: “Bastava chiedere, no? Mi faceva una telefonata…”
SENSINI FABIO: “Perché non l’hai chiamato tu? Te l’ avevo detto, di chiamarlo.”
FINZI MATTIA: “Io?”
SENSINI FABIO: “Tu, tu.”
FINZI MATTIA: “Mah, non so…mi sarà passato di mente…”
SENSINI FABIO [pausa]: “Il re non telefona per primo, eh Mattia? [pausa] Si vede che la pensa così anche D’Altema.”
FINZI MATTIA [pausa]: “Va be’, adesso lo chiamo io… [prende il telefono]”
SENSINI FABIO: “Se vuoi....”
FINZI MATTIA: “Cioè, secondo te…”
SENSINI FABIO: “… secondo me è inutile che lo chiami. Perché abbiamo perso, Mattia. Abbiamo perso il referendum, ti sei dimesso…”
FINZI MATTIA [pausa] “…e non sono più il re. Giusto?”
SENSINI FABIO: “Sì. Ma se tu non lo sei più, lui non lo è ancora.”
FINZI MATTIA: [pausa]: “Alla pari. Anzi no. Io sono giovane, lui è vecchio. Lo faccio piangere, Fabio.”
SENSINI FABIO: “Mattia, attenzione che D’Altema…”
FINZI MATTIA: “Lo faccio piangere, quello!” [chiude la comunicazione]

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...



domenica 29 gennaio 2017

Il presidente Usa,  per contrastare il pericolo jihadista,  
blocca  gli ingressi   da sette  paesi islamici

La scommessa di Trump



Oggi in Italia, ma un po’ ovunque in Europa,  sembra essere  il giorno ufficiale dell’indignazione contro Trump.  Fino a ieri, in Europa,  nei circoli liberal e catto-socialsiti,  ci si sentiva  tutti messicani (ma questa è un’altra storia…),  oggi gli stessi sono diventati  tutti siriani, libici, iraniani, eccetera.   Per scoprirlo  basta scorrere i titoli dei giornali che contano.
In effetti,  il giro di vite, c’è.   Ma negli Usa  ci sono anche gli  avvocati, le organizzazioni per i diritti civili, giudici sensibili alle questioni sociali: gli Stati Uniti sono un paese libero e democratico.  Perciò  si dovrà  attendere per capire se  Trump perservererà e soprattutto se otterrà dei risultati. E a che prezzo.
Indubbiamente, per dirla con Robert Kagan,  la Presidenza Trump sembra essere iniziata sotto il segno ferrigno di Marte. Il che pare  mettere in imbarazzo un’ Europa  e un’Italia, che ormai da  tempo ( almeno dal 1945 e di sicuro dopo il 1989-1991), giacciono addormentate  tra le voluttuose braccia di Venere. A dire il vero,  in Europa si critica Trump   propugnando gli stessi valori  universalisti, che furono, ideologicamente,  alla  base della vittoria contro Hitler.  Tradotto:  Europa e Italia sarebbero coerenti, gli  Stati Uniti  no.
Ma coerenti fino a che punto?  Un principio, soprattutto in politica, ha sempre un valore relativo, o comunque va rapportato alla realtà e alle sue conseguenze effettuali. In questo caso, chi osteggia le misure anti-Isis  di Trump, ritiene  non così grave questo fenomeno al punto di derogare ai valori universalistici, eccetera, eccetera.  Per contro, chi  difende le misure  ritiene la situazione così grave, o in via di diventarlo, fino  al punto di dover  derogare, eccetera, eccetera. 
Chi ha ragione? Chi torto? Il problema  non  è  morale, come vedremo. Crediamo che, al di là dei giudizi sui fatti (sulla  pericolosità del  nemico jihadista, che però nemico resta), giudizi che possono essere i più differenti,  la diversità  di approccio, per così dire,   sia legata al fatto che gli Stati Uniti sono un paese democratico ma  anche una grande potenza, mentre  l’ Europa è sicuramente democratica ma non  una grande potenza (per non parlare dell’Italia…). Ciò  significa che gli Stati Uniti  possono ricorrere all’uso della spada per difendere la libertà, l’Europa, no.
Giusto? Sbagliato?  Nulla di tutto questo: è  logica politica:  logica  guidata della forza.  Forza che  c’è o non c’è.  E quando c’è, chiunque sia  al potere  si  può  trovare  davanti alla più classica delle decisioni politiche:  se  usarla o meno. Ad esempio, Trump, a differenza di Obama,  sembra disposto a farne uso.  E solo il tempo dirà se il blocco degli ingressi, per ora  da sette  paesi islamici,   è l’inizio di una escalation.
L’Europa per contro, politicamente disunita e militarmente debole,  è costretta a fare di necessità virtù.  Perciò,  non disponendo di alcuna spada, si nasconde dietro il ramoscello d’ulivo.  Il che è moralmente nobile e  motivo  di belle figure nelle varie sedi internazionali,  ma resta molto pericoloso  sul piano politico e dei rapporti di forza: perché  se l’equazione jihadismo uguale nazismo risultasse vera,  come sembra  sostenere il falco Trump,  l’Europa rischierebbe  di fare la fine di tutti i profeti disarmati. E di conseguenza, il  depositario del  vincolo di coerenza di cui sopra,  risulterebbe essere Trump.
Ironie della storia?  Fino a un certo punto.  In fondo, come altre volte nel passato  si  tratta di una scommessa.  Trump,  che,  dalla sua,  ha la forza,  ha accettato di sedersi al tavolo da gioco della storia,  mentre la  debole e disunita Europa, no. Il vero  punto della questione è  tutto qui.                                                          
 Carlo Gambescia           


venerdì 27 gennaio 2017

Dopo la decisione  della Corte Costituzionale
Rieccolo!


Il concetto, già noto ai lettori, è il seguente:  la politica va studiata come lotta per il potere e non inseguendo le  dichiarazioni di questo o di quello, dandole per buone così come sono.  Si lasci  il teatrino della politica ai moralisti e ai pettegoli,  per soffermarsi invece sulla ciccia (pardon) politologica in chiave realista.               
Il punto, insomma,  è un altro:  ciò che il politico afferma, va sempre  letto tra le righe e  studiato, esclusivamente, se   utile ( o meno) al suo disegno di  conquista e conservazione del potere. Disegno che, poi, ovviamente, ha una sua funzionalità (o meno) al cosiddetto bene comune, eccetera. Bene comune, che nelle liberal-democrazie è messo ai voti (ma questa è  un’altra storia...). In politica, mai dimenticarlo, la figura del profeta disarmato non esiste. E  ammesso e non concesso che esista, dura poco. 
Ora, si prenda ad esempio,  la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum. Al di là del fumoso linguaggio usato  dagli alti magistrati (a dire il vero, questa volta, sufficientemente comprensibile), la decisione di conservare il premio di maggioranza  dà una mano a Renzi (che il 41 per cento lo ha già in tasca),  almeno alla Camera.  Ma  non è neppure detto che al Senato, con il Porcellum, il Pd  non riesca a conquistare una maggioranza, soprattutto  in caso di vittoria nelle regioni più popolose.  Pertanto coloro che desiderano conquistare il potere o essere d’intralcio a ogni futuro governo targato Renzi  non possono vedere  di buon occhio la sentenza,  che tra l’altro parla,  peggio ancora,  di possibilità di voto immediato.  E voto immediato, innanzitutto,  significa repulisti renziano nel Pd (anche in Parlamento, per i divieti  di ricandidatura, eccetera: già la gattopardesca “Repubblica”, che vuole cambiare tutto perché nulla cambi, questa mattina piangeva calde lacrime sulla Finocchiaro…)  e conseguente consolidamento politico dell’ex sindaco fiorentino.  Che, ovviamente, è perfettamente consapevole di questo. E gode. Giustamente ( certo, dal suo punto di vista, di "riacchiappare" il potere, eccetera). Insomma, piaccia o meno: rieccolo! 
Che dire?  Tutto sanno tutto. Però nessuno  dice le cose come stanno.  Ovviamente,  anche per non recare offesa alla Consulta,  come  impone  il galateo politico.  Pertanto  i nemici di Renzi  inizieranno  evocare la disomogeneità  tra le due leggi elettorali, implorando Mattarella di intervenire. E chi invece implora il voto subito, come Grillo?  O come  l' Osteria dei Cretini (Salvini e Meloni, diciamo i due migliori avventori)?   Bleffa, sperando che  siano gli altri a intralciare la strada a Renzi.  Il quale ha già dichiarato, bleffando  a sua volta,  che  vuole un accordo ma che  in mancanza di esso,   si andrà al voto.   Elezioni, è bene ricordarlo, che Renzi,  a differenza di tutti gli altri, incapaci di coalizzarsi,  non teme, avendo già in tasca, come detto, il 41 per cento… E ciò può essere un elemento di forza, soprattutto sul piano delle trattative. Quindi, nel suo caso, è un mezzo bluff (o forse anche  meno).
Un’ultima cosa:  in queste occasioni, si possono individuare gli amici e i nemici.  E qui i nemici  di Renzi (incluso un ormai “impallato” Berlusconi), sono più o meno  quelli del compagnia di giro  del No.  Con un piccola novità, magari non assoluta:  l’esternazione, a contrario,   del sedicesimo giudice costituzionale, Monsignor  Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, sul pippone (pardon) della disomogeneità e addirittura  in chiave liberale sulla divisione dei poteri (“Non normale dipendere dalla magistratura”),  indica che Renzi, con l’approvazione delle unioni civili ( e qui, che fine ha fatto il “liberalismo” della Chiesa?)  e di altre cosette ( nuova legge sulle Popolari ad esempio), non ha grandi  amici nei Sacri Palazzi, come si diceva un tempo.  
Fortunatamente la forza elettorale della Chiesa (anche se all’epoca fu utile ), non è più quella dei tempi di Padre Gedda. Però Renzi prenda nota:  deve aggiungere un posto a tavola, perché ha un nemico in più.


Carlo Gambescia  

giovedì 26 gennaio 2017

La sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum
Grazie dottor Sottile!



Come definire la sentenza della Corte Costituzionale? Sottile, molto sottile, proprio come quel dottor Sottile (al secolo Giuliano Amato), la  cui  fabulosa  sapienza giuridica, ma soprattutto la capacità di argomentarla, giocando su più piani, giuridico, politico, economico, culturale (*),  si nasconde dietro la Sentenza. Almeno a nostro avviso.
Sottile, dal momento che non scontenta i ricorrenti, perché il giudizio di incostituzionalità c’è,  ma al tempo stesso, si conserva  il premio di maggioranza (il sorteggio del collegio  per i capilista eletti  è il prezzo pagato alla retorica dell’antipolitica: la ciccia della sentenza non è lì). Il che  offre una chance a Renzi, che il 40,9  per cento lo ha conseguito, proprio in occasione dello sciagurato no alla  riforma  costituzionale.
Amato,  nonostante il cognome odiatissimo dai populisti,  ha  “intortato”,  se ci passa l’espressione, l’Osteria dei Cretini,  Grillo, Salvini Meloni, i  populisti d’Italia, insomma:  Grillo  che, esulta,  ritenendo, incautamente, di poter vincere. Come del resto Salvini e Meloni che, da perfetti Tafazzi, continuano a portare acqua al mulino Grillo, senza alcuna  speranza di accrescere i consensi all'interno di  un’ area politica  già prosciugata da Cinque Stelle.  Per contro,  Renzi  fa bene  a mostrare tutta la sua soddisfazione. Finalmente si potrebbe liberare della palla al piede della sinistra interna. E fa benissimo  a chiedere elezioni che potrebbe vincere, almeno alla Camera.
Ovviamente, queste sono considerazioni politiche. Sul piano della governabilità le cose stanno in maniera diversa.  Dal momento che se si andasse a votare in primavera,  visto che  la Corte Costituzionale ha definito “subito applicabile” il Consultellum ( altra sottigliezza alla Amato: fingere di  ignorare l’esistenza di due legge elettorali, offrendo così  qualche spunto  anche  i trattativisti, veri o finti che siano),  alla  vittoria alla Camera  potrebbe rispondere una  mezza vittoria di Renzi al Senato, se non addirittura una mezza sconfitta.  Risultato: Parlamento, ingovernabile, come prima (o quasi). Se poi  Renzi ( o nessun’altro) non  dovesse raggiungere il quorum, si potrebbe  parlare di vero e proprio ritorno  al proporzionale e ai governi di coalizione. Il che non sarebbe il massimo sotto il profilo della governabilità.  Ciò peraltro spiega l’imbarazzante indecisionismo di Forza Italia.  Che parla di trattative ed evoca il Quirinale (per inciso, il dottor Sottile  fu scelta di  Napolitano non di Mattarella),  non  sapendo ancora da quale  parte stare: se con Renzi o con Salvini-Melini. 
Va comunque ribadito che l’eliminazione del ballottaggio, improvvidamente voluto  da Renzi, allontana il pericolo, almeno per ora,  dell’esportazione sul piano nazionale del disastroso esperimento elettorale romano.  E chiunque abbia a cuore lo sorte della  liberal-democrazia italiana, non può non tirare un sospiro di sollievo.  Grazie dottor Sottile!

Carlo Gambescia


 (*) Per rendersene conto, si veda la sua ultima  fatica,  Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni (il Mulino).  Ma la lettura  dei suoi libro non basta, come sa bene chi abbia avuto la fortuna di “vederlo in azione”. Eccezionale.                                     

mercoledì 25 gennaio 2017

La “Sindaca” di Roma  indagata per la nomina del fratello di Marra
 Cosa c’è dietro il “caso” Raggi?



Invitiamo gli amici lettori a seguire con attenzione il  "trattamento" che Virginia Raggi riceverà  da parte dei giudici romani e della  stampa,   nell’iter giudiziario, come si dice, successivo al ricevimento di  un invito  di comparizione  in relazione alla vicenda della nomina  a direttore del Dipartimento turismo, di Renato Marra (*).   Fratello di Raffaele  Marra,  ex  braccio destro della Raggi, invece più succulento sotto il profilo politico.  In pratica,  la “Sindaca” è indagata, e dal 21 dicembre,  per abuso d’ufficio e  falso, ma in una vicenda  minore.  In fondo,  proiettili di gomma,  rispetto alle testate nucleari usate, per i capi d'accusa, dai giudici di "Mafia Capitale"... E questo è già un  segnale Ciò  spiega anche l’ “improvviso” cambiamento di rotta di Grillo (“la svolta garantista”, secondo  i giornaloni). Il quale, evidentemente, già un mese fa, era stato avvisato da qualche talpa.  E questo è un altro segnale.  
Di che cosa? Insomma,  per quale ragione chiediamo la massima attenzione su quel che sta accadendo a Roma ?   Non per proporre l’ennesimo giochino, da teatrino politico, sulle pittoresche contraddizioni tra parole e fatti dei Cinque Stelle. È la politica bellezza! Inevitabilmente, se si vuole governare e  fare politica davvero, ci si deve sporcare le mani.  Stiamo dalla parte di Machiavelli e  non del Padri della Chiesa (non tutti così buonisti, ovviamente). Non crediamo nei giochini al più onesto e più buono del reame.  Stupidaggini. 
Il punto è un altro: se la Raggi dovesse uscire politicamente indenne da questa storia,  grazie al sostegno dei media e alla  "comprensione" dei  giudici -  come dai segnali di cui sopra  -   si potrebbe seriamente arguire  che  magistrati e giornali (e i poteri economici che sono dietro questi ultimi, con precisi nomi e cognomi, nessun complotto), una volta fiutato il vento di cambiamento politico, si stiano riallineando.  Come del resto  hanno sempre fatto:  con De Gasperi, con Fanfani e  Moro,  con  Craxi, con Berlusconi, con Monti,  con Renzi.  Salvo poi scaricarli al momento giusto.  
E non c’era e  non  c’è nulla di male.  Perché gli imprenditori aspirano a lavorare e guadagnare, prescindendo  dalle questioni ideologiche.  E in ogni caso, ai cattivi rapporti preferiscono sempre i buoni rapporti con chiunque sia al potere.  In qualche misura, il mondo dell'impresa,  privilegia,  come un tempo la Chiesa Cattolica, la politica dei concordati con qualsiasi regime.  E poiché i giudici sono al traino dei mass media,  il gioco è presto fatto. Si pensi ad esempio  alla tesi assai diffusa, sulla  “Stampa”,  sul Corriere della Sera” sul  “Sole24Ore”, persino su  “Repubblica”,  che Grillo,  nonostante i toni, “talvolta” volgari,  in fondo,   stia dicendo  cose giuste  che   rappresentano i bisogni di  un elettorato in buona fede che vuole il bene dell’Italia.
Esiste  però un rischio.  Quello di  esagerare.  Pure Hitler e coloro che entusiasticamente con il braccio teso lo votarono,  volevano il bene della Germania. E anche gli industriali tedeschi furono d'accordo. Almeno fino al 20 luglio del 1944. Per non parlare dell'atteggiamento di giudici e giuristi. Hitler illuse perfino Carl Schmitt.
Probabilmente,  siamo dinanzi a un   calcolato  cedimento,   motivato dal quieto vivere economico. Un tentativo di mettere le mani avanti  in caso di una grande vittoria elettorale dei Cinque Stelle. Insomma, di prepararsi il terreno per patteggiamenti con il vincitore.  E i giudici,  il cui fiuto non è inferiore a quello dei grandi editorialisti profumatamente pagati,  potrebbero andare a ruota. Il gioco, però, questa volta, rischia di essere molto pericoloso. Certo,  Grillo non è Hitler, ma resta un populista della peggiore specie.   Quindi il "caso" Raggi va seguito con attenzione.


Carlo Gambescia  

martedì 24 gennaio 2017

Tito Boeri, le pensioni e il “debito implicito”
 La voce del padrone 




Ci mancava pure il concetto di pensione legata  al calcolo “debito implicito”.   Di che cosa si parla? Lasciamo  la parola a Tito Boeri, presidente  dell’Inps, economista e  tecnocrate di sinistra: “Il debito implicito (…) è l'insieme delle impegni presi dallo Stato nei confronti degli attuali contribuenti, pensionati e contribuenti futuri. E se si dice che il debito implicito è qualcosa che non ha valore si sta implicitamente dicendo che in futuro si taglieranno le pensioni" (*). 
“Impegni” e sulla base di che cosa? Di previsioni macroeconomiche: una specie di lotteria, dove basta un  più o un meno  accanto al Pil,  magari  lo scostamento dello  0,01%,   per scombinare  tutto.  Perciò di quali previsioni parliamo?   Resta già difficile prevedere il debito esplicito, figurarsi quello implicito... Giochini da costruttivisti. Il che, ovviamente, può solo accadere   in un contesto,  come quello italiano -  ecco il lato più grave della cosa -   dove lo stato, culturalmente, se non addirittura filosoficamente (lo “stato etico” che piaceva tanto a fascisti, comunisti, democristiani e socialisti), viene ritenuto il pagatore in ultima istanza delle pensioni,  provocando, secondo alcuni osservatori, danni cerebrali collettivi irreversibili:  la pericolosa sindrome da individualismo protetto.     
Pensioni che, evidentemente,  -  per quale ragione  non dire la verità ?  - sono uno strumento di consenso sociale e politico, come dire, di natura  interpartitica.  Pertanto sorvolando, sulla diatriba pseudostorica tra “contributivisti” e “retributivisti”, che impone comunque un potere centrale redistributivo ( tradotto: Inps), va chiarito che fino a quando lo stato continuerà a occuparsi di pensioni, e non importa se all’Inps comanderà  un sindacalista o un tecnocrate, si continuerà discutere di nulla, praticamente.  Inciso, per Boeri:  noi non  paghiamo le colpe delle “baby pensioni” democristiane. Ma di un sistema semi-collettivista  che ha permesso tutto questo. Uno statalismo inveterato,  di cui oggi,  il professor Boeri,  è la longa manus.  O se si preferisce: la voce del padrone.  Parla, parla, parla,  ma resta sempre dalla parte dello stato.    
Il vero nodo  è che le pensioni, se ci si passa l’espressione, andrebbero strappate dalle grinfie dei governi per restituirle al libero arbitrio dei singoli cittadini. Insomma, dovrebbero uscire dall’agenda politica,  lasciando alla periferia,  al cittadino insomma,  il potere individuale di scelta, al limite anche di non cautelarsi direttamente attraverso polizze private assicurative,   puntando su fonti indirette di reddito, alternative alla classica pensione welfarista. Che, mai dimenticarlo, si basa invece su un centro che gestisce  male (e spesso tirannicamente)  i risparmi dei cittadini,  tramutati - se e quando - in pensioni,  trasformate a loro volta,  in strumenti di elemosina politica, da accrescere o diminuire ( i tagli di Boeri)  in base  alle esigenze del centro e non della periferia.
E che ne sarà di quelli che non ce la fanno? Peggio per loro.  O comunque, potrà provvedere la carità privata. La Chiesa di Papa Francesco, ad esempio, così attenta ai poveri.  Del resto gli stessi privati che oggi finanziano a fondo perduto "Medici senza Frontiere", potrebbero finanziare "Pensioni senza Frontiere".  L'importante è che lo stato, ridotto alle sue funzioni fondamentali (quelle smithiane) ne resti fuori.  Inoltre,  il rischio di non farcela può essere un incentivo per porsi scopi nella vita, anche nei semplici termini di  riuscire a  garantirsi orgogliosamente, con le proprie forze,  una vecchiaia serena. Pensiamo a  una vigorosa mentalità individualistica, frutto di un individualismo vero, non protetto e vittimistico, che se moltiplicata collettivamente,  può costituire, attraverso la mano invisibile del sociale, un fattore di crescita  e di  eliminazione o riduzione  di ogni forma di parassitismo economico e politico. E di questo cambio  di marcia beneficerebbero le generazione presenti e future, soprattutto queste ultime,  così  al centro delle preoccupazioni di  Boeri.
Il principio da sconfiggere è quello dello "Stato Padrone"  che eroga pensioni e che  di conseguenza può stabilirne l’ammontare decidendo delle fortune o sfortune fiscali dei contribuenti, millantando un potere previsionale che non esiste:  pari a quello dell’Oracolo di Delfi.  Ecco un esempio - sia detto per inciso -   di quella  biopolitica (come potere di vita e di morte sul singolo cittadino)  che piace tanto alla cultura di sinistra, quella  delle parole magiche,  che però continua a credere, anche la più radicale,  nel ruolo redistributivo dello stato. E quindi dell’Oracolo di Delfi.  
Si dirà, ma le pensioni attuali, sono frutto di una concertazione  tra stato, sindacati, imprenditori, gruppi di pressione.  Peggio che mai:  il conflitto sociale (la "concertazione"...),  come ogni conflitto determina vinti e vincitori, quindi finché  prevarrà la logica delle coalizioni redistributive (tra l'altro più interessate alla spartizione che alla produzione del bottino), esisteranno gruppi rappresentati e sotto-rappresentati.  Logica dell'assalto alla diligenza  che non può non incidere sulla spesa pubblica. Infatti, dal momento che lo stato viene considerato, “da tutti” i contendenti ( i diversi gruppi),  il pagatore in ultima istanza delle pensioni,  i poteri pubblici, da chiunque rappresentati, non possono non sostenere, per ragioni di consenso ( di pace sociale, come si dice), anche i gruppi perdenti.  Con costi contributivi e fiscali,  prodotti dalle  "guerre" redistributive  tra i gruppi, che però vengono "spalmati" su  tutti i singoli cittadini:  meritevoli e immeritevoli. E la chiamano "equità"...
Si dirà, che quanto fin qui sostenuto,  è  pura utopia.  Forse.  Ma non è altrettanto utopico, continuare a credere nel potere previsionale dell’ Inps e dello "Stato Padrone"? 

Carlo Gambescia                            


lunedì 23 gennaio 2017

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2017, lunedì 23 gennaio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 642/2, autorizzazione COPASIR 3636/3b [Operazione NATO “SCAMBIAMOCI UN SEGNO DI PACE” N.d.V.] è stata intercettata, in data 22/01/2017, ore 01.32, una conversazione telefonica tra l’utenza di Stato vaticana in uso a  S.S. SANCHO I, e l’utenza n. 338***, in uso a MARCHINI WANNA. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:
[omissis]



S.S. SANCHO I: “Pronto? Pronto? Ma chi è?”
MARCHINI WANNA: [singhiozza]: “Sono io…”
S.S. SANCHO I: “Io chi? Sono le due di notte!”
MARCHINI WANNA: “Sono io! Sono Wanna…”
S.S. SANCHO I: “Ah, sì…”
MARCHINI WANNA: “Dormivi?”
S.S. SANCHO I: “Eh sì che dormivo, a quest’ora....”
MARCHINI WANNA: “Scusa sai Ciccio, ma…[riscoppia in lacrime]”
S.S. SANCHO I: “Cosa c’è?”
MARCHINI WANNA: “Non ne posso più, Ciccio!
S.S. SANCHO I: “Calmati, su. Di cosa non ne puoi più?”
MARCHINI WANNA: “Di questa vita, Ciccio, non ne posso più, più, più…Sono piena di debiti, mia figlia non mi parla, divento vecchia, sono brutta, non ciò uno straccio d’uomo vicino, mi tocca fare ‘sto mestiere di schifo, ma ti rendi conto? Ti rendi conto cosa mi tocca fare per campare? Imbroglio la gente, Ciccio, imbroglio gente più disgraziata di me…Dio che schifo, non ne posso più…”
S.S. SANCHO I: “Stai calma, Wanna. Bevi un bicchiere d’acqua, da brava.”
MARCHINI WANNA: “Mi sono scolata mezza bottiglia di grappa...”
S.S. SANCHO I: “La grappa non ti aiuta, Wanna.”
MARCHINI WANNA: “E lo so che la grappa non mi aiuta, sennò perché ti telefonavo? Ciccio, voglio cambiare vita! Aiutami tu!”
S.S. SANCHO I: “Il Signore ci può aiutare tutti, Wanna.”
MARCHINI WANNA: “Mi voglio confessare, Ciccio.”
S.S. SANCHO I: “Brava. La riconciliazione, Wanna, è con la riconciliazione che troviamo la pace.”
MARCHINI WANNA: “Ti ho detto che mi voglio confessare, cos’è questa riconciliazione?”
S.S. SANCHO I: “Il sacramento della ri…”
MARCHINI WANNA [lo interrompe] “Cazzo ma sei sordo? Mi voglio confessare! Adesso! Solo che non mi ricordo come si fa, porca zozza! [piange, ride, tracanna un bicchiere di grappa]”
S.S. SANCHO I: “Wanna? Wanna, cosa fai?”
MARCHINI WANNA: “Vado fuori di testa, cosa vuoi che faccio? Allora, mi confessi sì o no?”
S.S. SANCHO I: “Ma non si può per telefono!”
MARCHINI WANNA: “Perché?”
S.S. SANCHO I [pausa]: “Perché…ma veramente non…perché non si può, Wanna. Non ce l’hai un sacerdote, lì?”
MARCHINI WANNA: “Ciò l’Abate di Montecoso.”
S.S. SANCHO I: “Ecco. Vai da lui.”
MARCHINI WANNA: “Già provato. Mi ha detto che non se la sente.”
S.S. SANCHO I: “Come non se la sente? E’ malato?”
MARCHINI WANNA [ride]: “Macché malato! E’ più disgraziato lui di me, non cià un attimo di pace, pensa solo a scopa…lasciamo perdere che è meglio. Insomma, mi confessi sì o no? Sei il papa, lo potrai fare uno strappo alla regola!”
S.S. SANCHO I [pausa]: “Proprio perché sono il papa non posso fare strappi alla regola, Wanna.”
MARCHINI WANNA: “Va be’, ho capito. Ciao.”
S.S. SANCHO I: “Wanna!”
MARCHINI WANNA: Eh?”
S.S. SANCHO I: “Domani vieni qui e ti confesso.”
MARCHINI WANNA: “Sì, sì…”
S.S. SANCHO I: “Stai meglio?”
MARCHINI WANNA: “Ma sì, sto meglio, sto meglio. Sono momenti così. Ogni tanto mi capita, ma poi passa. A te succede?”
S.S. SANCHO I [pausa]: “Sì, qualche volta mi succede.”
MARCHINI WANNA: “Sai quando ti dici, ‘Cazzo, è tutto qua? Tutto qua?’ e vai fuori di testa.”
S.S. SANCHO I: “Eeee…sì. Sì, più o meno così.”
MARCHINI WANNA: “E allora te cosa fai, Ciccio? Bevi?”
S.S. SANCHO I: “No. Prego.”
MARCHINI WANNA: “Apperò! Non ci avevo pensato!”
S.S. SANCHO I: “A cosa?”
MARCHINI WANNA: “A pregare. E funziona?”
S.S. SANCHO I: “Ma…sì, in un certo senso…”
MARCHINI WANNA: “Me lo potevi anche dire, no?”
S.S. SANCHO I: “Cosa?”
MARCHINI WANNA: “Perché non mi hai detto subito di pregare?”
S.S. SANCHO I [pausa]: “Per non metterti in imbara…non lo so.”
MARCHINI WANNA: “Certo che sei un bel tipo, come papa.”
S.S. SANCHO I [pausa]: “Te le ricordi le preghiere?”
MARCHINI WANNA: “Sì, sì, l’avemaria, il paternoster, tutto. Più o meno.”
S.S. SANCHO I: “Vuoi che preghiamo insieme?”
MARCHINI WANNA: “Si può per telefono?”
S.S. SANCHO I: “Sì, sì.”
MARCHINI WANNA: “Ma no, dai che è tardi, ti lascio dormire. Ciao Ciccio, grazie.”
S.S. SANCHO I: “Sicura? Stai bene?”
MARCHINI WANNA: “Ma sì, stai tranquillo, faccio da sola. Ciao, buonanotte.”
S.S. SANCHO I: “Ciao. Ah!”
MARCHINI WANNA: “Eh?”
S.S. SANCHO I: “Prega anche per me.”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...


domenica 22 gennaio 2017

“Buy American, hire American”
Il mistero di Trump




Quel  buy American, hire American, confermato da Trump nel discorso presidenziale, non promette nulla di buono.  Lungi da noi  il considerare la storia umana come una marcia vittoriosa del libero mercato, che di ostacoli e  nemici invece  ne ha sempre  avuti  parecchi. E tuttora non ha vita facile. 
Naturalmente,  non esistono sistemi economici perfetti,  ma solo meccanismi delicatissimi  che di volta in volta si adattano meglio, seguendo percorsi invisibili, alle situazioni istituzionali. Di qui, l’imperdonabile  stupidità  di coloro che continuano a parlare di “liberismo selvaggio”. Il liberismo, di compromessi ne ha dovuti fare, e  tanti. Basterebbe studiare, con sguardo onesto,  le effettive politiche dei cosiddetti campioni del liberismo integrale, da Reagan alla Thatcher,  sicuramente da ammirare, che però hanno  dovuto mordere il freno,  il primo sulla spesa pubblica, la seconda sul sistema sanitario           
Per quale ragione, allora,  lo slogan (per ora) trumpiano,  non promette nulla di  buono?  Perché qualora  il neopresidente riuscisse a piegare il mondo delle imprese americane al suo progetto di forsennato protezionismo,  tanto per cominciare, visto che nel Vecchio Mondo c'è chi inneggia a Trump,   danneggerebbe tutte le imprese  europee,  le piccole in particolare  che   esportano negli Stati Uniti, e che occupano in Europa  30 milioni di persone (*). Non osiamo immaginare ciò che accadrebbe nel resto del mondo in termini di una riconversione produttiva di centinaia di milioni posti di lavoro.
Per non parlare dei contraccolpi politici: il protezionismo, in età moderna,  come ben  sanno gli storici dell’economia,  ha sempre rappresentato  l’anticamera delle guerre esterne e interne, anche quando la protezione economica, nelle nazioni di secondo capitalismo,  risultava  propizia  ai processi di unificazione interna del mercato e di protezione esterna delle industrie nascenti, come  ben  teorizzato dal tedesco  Friedrich List nell’Ottocento (con seguaci anche negli Usa).   E come del resto  mostra la durezza dei processi politico-militari  di unificazione o riunificazione italiana, germanica e in particolare statunitense. Dove il Sud degli Stati, Uniti, i Confederati, in quando esportatori,  erano per la più ampia libertà di commercio, seppure fondata su una manodopera di tipo schiavistico. Mentre il Nord, l’Unione,  protezionista,  si preoccupava delle industrie nascenti.
Questo ovviamente, fin quando, l’economia americana, tra l’Ottocento e il Novecento,   grazie alla  rivoluzione dei trasporti e  dei costi (il costo della manodopera americana, beneficiando dei flussi  migratori, rimase per decenni altamente competitivo rispetto al resto del mondo), dette il via al “Secolo Americano”.
Ora però, con Trump, siamo davanti a una scelta reazionaria che non ha alcuna giustificazione economica (forse politica, ma è un'altra storia...),  dal momento che oggi  gli Stati Uniti sono un’economia sviluppata, diversificata  e aperta al mondo. Trump  sembra voler tornare all’Ottocento:  al mito di una  frontiera interna  da conquistare e difendere,  che però  non esiste  più da un pezzo, nonché a  un protezionismo del lavoro americano  che non ha precedenti, se non le presidenze (novecentesche) dei due  Roosevelt:   età, in particolare quella di Franklin Delano,  avvicinata da alcuni storici,   agli esperimenti sociali dei totalitarismi. Il che è tutto un programma...  
Pertanto, l’opposizione a Trump, quella reale, non verrà tanto dal folcloristico mondo femminista  e del radicalismo politico,  che in fondo ( si pensi alle tesi di Bernie Sanders) condivide il progetto protezionista del neopresidente.  Ma verrà dal mondo dell’economia, delle grandi imprese, quelle che esportano e che  hanno  bisogno di un costo del lavoro competitivo, di mobilità lavorativa  e di mercati aperti.  Ecco i  fattori che hanno  fatto grande l’America. Non il protezionismo evocato, fuori tempo massimo,  da Trump.   
Pertanto se il neopresidente metterà in atto il suo buy American, hire American, non potrà assolutamente favorire alcuna vera ripartenza.  Anzi, il rischio è  di  paralizzare l’economia americana, improvvisamente costretta a ripiegarsi  su una  domanda interna,  da  far crescere artificialmente, come un prodotto di serra, puntando sullo sviluppo della  spesa pubblica (per sostegni alle assunzioni all american  e alla costruzione  di opere infrastrutturali). 
Come tutto questo possa conciliarsi con i vistosi tagli fiscali promessi da Trump  e con  un'economia provinciale ripiegata  su se stessa,  resta un mistero.  Il mistero di Trump.            

Carlo Gambescia



venerdì 20 gennaio 2017

Le  dichiarazioni  “populiste” di Theresa May al Forum di Davos  
Povera Margaret Thatcher...



Sembra che Theresa May, la premier britannica, aspiri a  trasformarsi nelle fotocopia made England di Donald Trump (*).  Anche il premier britannico vuole  che al “centro della politica tornino le preoccupazioni del popolo”.  
Che dire? Intanto, povera Margaret Thatcher. Un poco di pazienza e il lettore capirà perché.  Dopo di che,  va  subito evidenziato che  le “preoccupazioni del popolo” sono  già al centro della politica”. E da un pezzo.  In tutto il mondo occidentale, esistono istituzioni, che si chiamano Parlamenti, liberamente eletti dal popolo.  Più al centro di così.
Purtroppo il discorso è un altro.  Oggi,  la parola popolo  - un popolo che non ha mai goduto di un tenore di vita e di tanta libertà come ora  -   viene  usata, e artatamente,  o da  politici inquietanti, come Trump ad esempio,  o da forze politiche  che odiano, e da sempre,  il sistema politico, sociale ed economico esistente, come ad esempio i lepenisti in Francia, Podemos in Spagna, il Movimento Cinque Stelle in Italia, i neonazisti in Austria e Germania, e altre forze politiche di stampo razzista  in Europa.  Quindi la Signora May, prima di parlare  dovrebbe imparare a  contare fino a tre.  
L’etichetta politica del populismo - definizione, tra l’altro, apprezzata dalle forze politiche di cui sopra -  al momento serve a a  identificare  personaggi  che si riempiono la bocca della parola  popolo, come Trump, pronti però a  circondarsi di miliardari,  o  che sposano la causa razzista del popolo monocolore come Salvini in Italia.
Purtroppo la tendenza politica, oggi prevalente, è  di vezzeggiare  un popolo che invece è stato fin troppo viziato,  che finora, a differenza di quel che si tenta di far credere, non ha perso nulla dei propri beni, ma proprio nulla,  e che per contro  ha solo paura di perdere ciò  che ha conseguito (in termini di beni addizionali o posizionali)  grazie ai successi, incomparabili, di un sistema economico: quello capitalistico. Che invece, stupidamente,  viene messo sul banco degli imputati  dai nuovi amici del popolo  per guadagnare il consenso di invidiosi,  scontenti, falliti, duri e puri (dalle nostalgie totalitarie),  agitatori e “ribelli”  di professione ( quelli  dell’andiamo a comandare, per dirla con Fabio Rovazzi). Dunque, un mezzo non un fine.  E, come di regola, per conquistare il potere.  Il che potrebbe essere comprensibile, dal punto di vista della dinamica del politico,  se non fosse che l'onda populista, come uno  tsunami,  rischia di distruggere tutto.  
Si pensi ai  topos, o luoghi  comuni populisti:  pochi e  confusi. E pericolosi probabilmente proprio perché  promettono tutto e il contrario di tutto, eccitando i riflessi carnivori dei creduloni e dei potenziali e crudeli  re per una notte.       
Si evoca, “promettendo regole” (da implementare non si sa bene come),  un capitalismo  privo di rischi (che non è mai  esistito: il rischio è il sale di un economia basata sulla libera circolazione dei capitali, degli uomini e dei beni); si inneggia alla bontà del protezionismo (che ha sempre condotto a guerre, povertà e parassitismo economico); si indicano come nemiche del popolo le aristocrazie economiche private    (fingendo di dimenticare i clamorosi  fallimenti delle aristocrazie  pubbliche); si celebra la redistribuzione (sorvolando sul fatto che per redistribuire bisogna prima produrre, e che in ambito produttivo l’economia di mercato rimane, fino a prova contraria, il sistema più efficiente).
Insomma, il populista semplifica. Tutto e subito: faremo, ordineremo, chiuderemo, obbligheremo, imporremo. Ecco i verbi più usati dagli amici del popolo. Che   ignorano o fanno  finta di ignorare la complessità  dei rapporti politici,  economici e sociali.  E le conseguenze potrebbero essere devastanti.   
La cosa più preoccupante, infine, è l’atteggiamento assunto  dai politici  liberali e riformisti.  Si pensi, ad esempio,  ai cedimenti populisti di Renzi in occasione del referendum costituzionale, o ancora peggio a Theresa May, come dicevamo all’inizio,  che lusinga quel popolo che Margaret Thatcher, pur non favorevole all’Europa, aveva sfidato, puntando  non  sul fantasma della  paura collettiva oggi  agitato dai nuovi tribuni della plebe, ma sulla  la libertà economica. Senza la quale, mai dimenticarlo, non esiste libertà politica. Ma solo la sottomissione dello schiavo verso la mano visibile, di regola dello stato, che lo nutre.

giovedì 19 gennaio 2017

La slavina che ha investito l'Hotel Rigopiano sul Gran Sasso
Turisti, non per caso


Questa mattina,   molto presto, pensavamo ai  turisti bloccati, si parla anche di numerosi morti,  dalla neve  e dal terremoto  nell’albergo sul Gran Sasso.  Quale figura sociale, ci siamo chiesti,  potrebbe oggi rappresentare  l’Italia, e più in generale il  mondo occidentale, se non quella del turista? Si criticano sempre più spesso le élites “globalizzate”, e “nemiche di popolo”, quando in realtà, come mostrano le cifre sui flussi turistici,  anche la gente comune, "il popolo",  appena può viaggia moltissimo. Come del resto provano le stesse variegate tipologie turistiche in voga: turismo culturale, religioso, culinario, sessuale, della memoria, della fitness, eccetera. Sicché  il turista  oggi  è al centro della vita sociale, nel bene e nel male. Si pensi ai  “turisti della neve”  di cui sopra, ai turisti uccisi dai terroristi,  in costume sulla spiaggia, con il gelato sulla promenade,  con  i pacchettini regalo davanti al mercatini di Natale.
Pertanto, il turista di oggi  non è assolutamente turista per caso. Ma è  il prodotto di uno stile di vita vario, indipendente, globalizzato, che può piacere o meno, ma che  è il nostro, perché discende da una cultura delle mobilità, in tutti i sensi: sociale, culturale, economica, professionale, pienamente moderna.
Il lettore però potrebbe pensare:   se è vero quanto fin qui detto, perché una società della mobilità, come la nostra, che va in vacanza in Africa e divora montagne di kebab,  è così diffidente verso gli immigrati?
Perché purtroppo le culture (della mobilità o meno) non sono mai accettate  in tutte le  conseguenze. Sul piano individuale,  il consenso verso  un modello culturale  è  sempre selettivo, nel senso della compatibilità ( o meno) con i modelli di socializzazione ereditati, dominanti, alternativi, nonché vincolato alle previsioni sulle risorse future.  Inoltre, per quel che riguarda il turismo, dal punto di vista dell'antropologia sociale,  si viaggia sempre per tornare:  per tornare dall'ignoto al noto, quindi alle certezze  di sempre.  E cosa turba di più, in senso metaforico,  del pericolo di  ritrovarsi, al ritorno,  in un mondo popolato da alieni e diversi?
Ciò significa che la globalizzazione, anche turistica, non comporta automaticamente, l’apertura incondizionata  verso l’altro.  Implica invece la “coazione” al viaggio e al turismo, fenomeno sociologico, anzi specificatamente sociologico,  che spinge i singoli, attraverso la mediazione dei processi collettivi di formazione delle abitudini,  a  sfidare  il terrorismo o come sul Gran Sasso, persino  i  pericoli della neve e del  terremoto, come un tempo si sfidava il nemico al grido di battaglia.
In fondo, a modo loro, i turisti  sono piccoli eroi, eroi di oggi.  E non per caso.          

Carlo Gambescia                                  


mercoledì 18 gennaio 2017

Respinto il ricorso sul contratto tra Virgina  Raggi e M5S
Il “liberismo selvaggio” di Grillo e  Casaleggio jr



Era scontato che la magistratura civile  respingesse il ricorso dell’avvocato Monelli, a quanto si dice vicino al Pd.  La prima Sezione  non è  entrata ( e non  poteva entrare nel merito) perché si trattava, giustamente, come si legge “di  una scrittura interna al Movimento Cinque Stelle” (*) .  Per contro,  se a ricorrere, per ipotesi,  fosse stata la Raggi, sicuramente i giudici le avrebbero dato ragione, o comunque sollevato la questione davanti alla Corte Costituzionale, perché in contrasto con le norme vigenti che rimettono all’elettorato la decisione circa la decadenza dei  rappresentanti.
Su tutta la questione -  che sembra però  sfuggire  alla comprensione dei pentastellati, soprattutto di estrazione fascio-comunista  -   aleggia la  privatizzazione dei rapporti politici.  In sintesi: in virtù, di una carta, firmata dal candidato, Grillo e Casaleggio jr  si riservano  di richiedere i danni economici al cosiddetto dipendente infedele, da loro "assunto", ma - ecco il punto controverso -   "eletto" dal popolo…  In questo modo un  rapporto politico diventa puramente economico. Ad esempio  il dipendente "infedele", a sua volta,  potrebbe stipulare, sempre privatamente, una polizza,  per contro-assicurarsi e disporre, in caso di "licenziamento",  del capitale necessario per "reintegrare" il danno provocato alla "ditta".  Insomma, privato vs privato, senza alcun "passaggio" politico. L'apoteosi del libero scambio e di una fedeltà aziendale inferiore solo a quella giapponese. Altro che Rousseau, Babeuf e la congiura degli eguali... 
Inutile perciò nascondersi dietro un dito:  siamo  davanti all’aziendalizzazione della politica (non per nulla il contratto è firmato con la Casaleggio & Associati). Lo stesso o addirittura peggio di quel che combinava Berlusconi: il padre di tutti i partiti-azienda.  Con la differenza, che Grillo & Co. simpatizzano per Serge Latouche, Giulietto Chiesa  e compagnia (anticapitalista) cantante.
Concludendo, dal punto di vista economico, Grillo e Casaleggio jr  con i propri dipendenti  “politici” sono più a destra di Berlusconi. Si potrebbe addirittura  parlare di “liberismo selvaggio”…  


Carlo Gambescia

martedì 17 gennaio 2017

                   Di nuovo in libreria L'uomo contro lo Stato
Il ritorno
di Herbert Spencer
di Teodoro Klitsche de la Grange


http://www.liberilibri.it/herbert-spencer/246-luomo-contro-lo-stato.html


Herbert Spencer, L’uomo contro lo Stato, a cura di Alberto Mingardi, Liberilibri,  Macerata 2016, pp. 295, Euro 20,00.

***

Herbert Spencer, dopo essere stato considerato, “il massimo filosofo moderno” (come scrive Mingardi nella accurata introduzione) ed aver influenzato anche campi del pensiero non contigui alla filosofia ed alla scienza (ma fu anche un sociologo acuto), come quello giuridico, cadde nel dimenticatoio. Ciò non è solo frutto dell’avvicendamento delle “mode” nell’opinione, anche culturalmente attenta; ma piuttosto del declino del positivismo e dell’affermarsi delle nuove filosofie del XX secolo, in genere connotate da un deciso antipositivismo: attualismo, vitalismo, marxismo. Tuttavia all’epoca a lui contemporanea anche il giovane V.E. Orlando dedicava uno dei suoi più interessanti saggi giovanili al pensiero politico-istituzionale del filosofo inglese traendone spunti di grande interesse, tuttora attuali.
E all’uopo è utile ricordare questo libro, le considerazioni di Spencer che avrebbero – sviluppate anche in altre opere – influenzato il giurista siciliano. Scrive Spencer nello scritto giovanile The Proper sphere of Government, pubblicato nel libro assieme a The man versus the State: “Ogni cosa in natura ha le sue leggi. La materia inorganica ha le sue proprietà dinamiche, le sue affinità chimiche; la materia organica, più complessa, più facilmente deperibile, ha anch’essa dei principi che la governano … L’uomo, in quanto essere animato, ha delle funzioni da svolgere e degli organi che le compiono; egli ha degli istinti cui obbedire e i mezzi per obbedire … Ciò che vale per l’uomo individualmente, vale per la società. Non diversamente dal singolo uomo, la società ha senz’altro dei principi che la governano … Tutt’intorno a noi non vediamo nulla che non sia soggetto alle regole immutabili dell’Onnipotente: perché mai la società dovrebbe fare eccezione? Osserviamo inoltre che essere dotati di libero arbitrio rimangono sani e felici, fintanto che agiscono in accordo con tali regole; e perché non dovrebbe essere vero per l’uomo nella sua organizzazione sociale? Una volta chiarito questo punto, ne consegue che il benessere di una comunità dipende da una profonda conoscenza dei principi sociali e dall’obbedienza più assoluta ad essi”.
Herbert Spencer (1820-1903)

Quindi la capacità umana di modellare reggimenti politici è limitata dalla conformità o meno di questi alle leggi, non solo fisiche, ma anche sociologiche, e del pari, l’articolarsi delle forme politiche in più organi – variamente composti, è “una struttura primitiva, la più elementare forma di governo, presente in società umane le più lontane e disparate”, frutto quindi di leggi e di esigenze fattuali (sosteneva Orlando). Come scrive Mingardi nell’introduzione “Un’idea politica e al pari di essa, un insieme di istituzioni non è l’esito di un progetto razionale: il singolo non decide di essere questo o quello. Per Spencer, gli individui sono più o meno adatti a un certo modo di regolare gli affari pubblici a seconda di fattori esogeni rispetto a quello spesso modo di regolare gli affari pubblici. Siccome i caratteri delle unità determinano il carattere dell’aggregato, «le istituzioni politiche non si possono efficacemente modificare prima che vengano modificati i caratteri dei cittadini». Questo non significa che  le idee politiche diffuse siano solo una “sovrastruttura” dell’assetto ad esse soggiacente: semmai, anzi, «tutte le istituzioni (sono) il prodotto del carattere di una nazione». Lo Stato esiste “Non per regolamentare il commercio; non per insegnare la religione; non per gestire la carità; non per costruire strade e strade ferrate; ma semplicemente per difendere i diritti naturali dell’uomo; per proteggere la persona e la proprietà, per prevenire le aggressioni del forte ai danni del debole. In breve, per amministrare la giustizia”. Ed è questa, cioè la protezione (concreta, non solo astratta) data ai cittadini, ai loro diritti fondamentali e quindi alla concreta possibilità di vivere (e ben vivere) la ragione dell’esistenza dello Stato (e di ogni altra sintesi politica). Le stesse esigenze sociali sono, in parte, mutevoli “La stessa natura astratta umana non è astratta, rigida e statica ma cangiante, e pertanto «non permette di fissare una volta per tutte, un “modello universale di felicità”». Le nostre imperfette istituzioni sulla giustizia debbono essere messe a confronto con ciò che possiamo dedurre dalle leggi naturali che governano l’evoluzione. Per questa ragione la dottrina etica di Spencer è bipartita: divisa fra un etica “relativa” e una etica “assoluta”. Già in Social Statics Spencer ritiene che «l’adeguatezza delle istituzioni dipende dalla natura dei cittadini». Con buona pace di quelli che ritengono la Costituzione italiana attuale “la più bella del mondo” e quindi immutabile, immodificabile, eterna come le tavole consegnate a Mosè da Dio sul monte Sinai. La conseguenza è che, come riteneva Orlando, nel concordare con le tesi di Spencer: “Bisogna che l’uomo rinunzi una buona volta a certe illusioni sulla onnipotenza della sua volontà. Le leggi sociali come le leggi fisiche, hanno una forza tutta propria, sono un portato affatto naturale cui la volontà umana non può che conformarsi. Elles ne se font pas, elles poussent”. Per cui tante costituzioni meno “belle” sono durevoli ed altre, esteticamente più attraenti, effimere o zoppe “Egli è perciò che tante costituzioni con grande sforzo d’intelletto e di ragionamenti messi insieme non hanno avuto che la vita di un giorno … ed al contrario altre costituzioni che alla più elementare critica non reggono, hanno potuto far grande un popolo”.
La suggestiva copertina di una riedizione
spagnola  del 1930  (Bauzá, Barcellona)

L’evoluzione è vista da Spencer “come processo di differenziazione (ovvero crescente specializzazione delle funzioni) e integrazione  (cioè crescente mutua interdipendenza delle parti sempre più differenziatesi)”; “La legge del progresso organico è per Spencer “la legge di qualsiasi progresso” spiega l’evoluzione di tutte le cose, non solo nelle scienze naturali ma anche nelle scienze sociali”. Considerazioni che hanno rilievo sociologico ed istituzionale evidente.
Malgrado l’interesse verso il pensiero di Spencer, manifestato anche dal titolo dell’opera, sia per il carattere liberal-liberista delle concezioni del filosofo inglese, ne suscita almeno altrettanto l’altro profilo, così apprezzato da V. E. Orlando, del rapporto tra situazioni e determinanti fattuali e forma politica. Che i liberali non hanno mai trascurato, né il liberalismo, ed in specie il costituzionalismo liberale, ha mai ritenuto che l’uomo fosse un essere perfetto, e neanche granché perfettibile, in grado di realizzare istituzioni perfette e perfino di farne a meno. Perché se così fosse, non sarebbero necessari né Stato, né potere, né controlli sullo Stato o sul potere (come postulano i principi dello Stato borghese), e neppure mutamenti istituzionali.
Mentre dopo il crollo del comunismo, cioè l’ideologia fondata sulla possibilità (anzi sulla sicurezza e la necessità) di modificare e perfezionare la natura umana, il pensiero utopistico, al quale ben si adatta il giudizio di Mosca d’essere furberia da ipocriti o sogno degli sciocchi, si ripresenta  - depotenziato - sotto le ideologie della tecnica, della morale, del diritto. Tutte fondate sulla possibilità di radicali modificazioni del mondo reale e sul non tenere conto della situazione concreta, delle regolarità del politico, né delle costanti sociologiche. E destinate a durare poco, ma finché durano a fare danni enormi.
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).