Manette a Incalza, Lupi nel mirino dei
giudici
Grandi opere, meno stato più mercato
Ora i punti sono due. Sono necessarie le grandi opere? Quanto stato può esserci nell'economia?
I due aspetti sono collegati: le grandi opere sono infatti legate a una visione interventista che
designa nei poteri pubblici il principale motore dello sviluppo economico. In
realtà, un Ministero delle
Infrastrutture (“un tempo “dei Lavori Pubblici) - quello presieduto da Lupi e da molti altri
prima di lui - è roba vecchia, da “dittatura per lo sviluppo”, da paese
invia di industrializzazione.
Sicché, semplificando, una volta, superata tale fase eroica, quanto più si introducono
controlli per i fondi erogati o da erogare, per le varianti e quant’altro, tanto più crescono i rischi di
corruzione e concussione. Inoltre, nelle
economie miste (pubblico-privato) si forma, per strati successivi, una zona
grigia della relazionalità dove i rapporti di conoscenza, da fiduciari si
trasformano regolarmente in corruttivi.
Si dirà, allora chi controlla? Se si lascia tutto nella
mani dei privati non si rischia il
Far West? In realtà, finora le economie miste, legate, come detto ai processi
di industrializzazione (quindi a una fase precedente), hanno prodotto, non solo in Italia, corruzione e concussione. Che facciamo? Continuiamo a farci del male? Oppure è arrivato il momento di fare un passo
indietro? Anzi avanti, aprendo al libero
mercato?
Concludendo, per rispondere alle domande iniziali.
Uno, guardarsi sempre da coloro, in particolare a sinistra (oddio, anche a destra...), che
propongono di accrescere i controlli. Sono statalisti puri e semplici. Credono
che, a parità di condizioni (economia mista), basti la bacchetta magica del carcere o la "vaselina" della mitica trasparenza. Mentre
sono proprio le condizioni, o se se si preferisce le tentazioni (che fanno
l’uomo ladro), che vanno ridotte,
mutando il quadro economico da
“misto” a “privato”. Quindi meno stato.
Due, quanto alla necessità delle
grandi opere, una volta venuti i meno i finanziamenti pubblici a pioggia, anche il mercato
delle “grandi opere” si autoregolamenterà: quelle utili per i "consumatori" (e perciò remunerative per i "produttori") saranno promosse, mentre
quelle inutili, bocciate. Quindi più mercato.
Carlo Gambescia
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