martedì 17 marzo 2015

Manette a Incalza, Lupi nel mirino dei giudici
Grandi opere, meno stato più mercato




 Sembra che stia per scoccare l’ora di  Lupi.  Chissà se si dimetterà.  Si parla di un sistema corruttivo legato alla gestione degli appalti delle grandi opere. Grande scoperta.  
Ora i punti sono due.  Sono necessarie le grandi opere? Quanto stato può esserci nell'economia?
I due aspetti sono  collegati: le grandi opere sono infatti  legate a una visione interventista che designa nei poteri pubblici il principale motore dello sviluppo economico. In realtà,  un Ministero delle Infrastrutture (“un tempo “dei Lavori Pubblici) -  quello presieduto da Lupi e da molti altri prima di lui -   è roba vecchia,  da “dittatura per lo sviluppo”,  da paese  invia di industrializzazione.   Sicché, semplificando, una volta, superata  tale  fase eroica, quanto più si introducono controlli per i fondi erogati o da erogare, per le varianti  e quant’altro, tanto più crescono i rischi di corruzione e  concussione. Inoltre, nelle economie miste (pubblico-privato) si forma, per strati successivi,  una  zona grigia della relazionalità dove i rapporti di conoscenza, da fiduciari si trasformano regolarmente  in  corruttivi.
Si dirà,  allora chi controlla? Se si lascia tutto nella mani dei privati  non  si rischia il  Far West?     In realtà,   finora le economie miste, legate, come detto ai processi di industrializzazione (quindi a una fase precedente),  hanno prodotto, non solo in Italia,  corruzione e concussione. Che facciamo? Continuiamo  a farci del male?  Oppure è arrivato il momento di fare un passo indietro? Anzi avanti, aprendo al libero  mercato? 
Concludendo,  per rispondere alle domande iniziali. 
Uno, guardarsi sempre  da coloro, in particolare a sinistra (oddio, anche a destra...), che propongono di accrescere i controlli. Sono statalisti puri e semplici. Credono che, a parità di condizioni (economia mista),  basti la bacchetta magica del carcere o la "vaselina" della mitica trasparenza.  Mentre  sono proprio le condizioni, o se se si preferisce le tentazioni (che fanno l’uomo ladro),  che vanno  ridotte,  mutando  il quadro economico da “misto” a “privato”. Quindi meno stato.   
Due, quanto alla necessità delle grandi opere, una volta venuti i meno i finanziamenti  pubblici a pioggia,  anche il mercato delle “grandi opere” si autoregolamenterà: quelle utili per  i "consumatori"  (e perciò remunerative per i "produttori")  saranno promosse,  mentre  quelle inutili, bocciate.  Quindi più mercato.


Carlo Gambescia                     

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