giovedì 19 marzo 2015

Il libro della settimana: Julius Evola, Il rientro in Italia (1948-1951), a cura di Marco Iacona, Mimesis/Filosofie , Sesto San Govanni (MI) 2014, pp. 258, Euro 20,00 .


Questo volume  (Julius Evola, Il rientro in Italia (1948-1951), Mimesis/Filosofie), a cura di Marco Iacona,  rischia il  "silenziamento".   E non per demeriti del libro o del curatore, siciliano (di Catania) colto, riflessivo, aguzzo.  Ma per un motivo  molto semplice:  l’Introduzione (86 pagine 86): un uppercut a Evolandia, roba da getto della spugna.   Sicché,  conoscendo l’ambiente culturale della destra radicale, così omertoso da preferire alla spada il veleno della maldicenza, non  resta difficile intuire che sulla raccolta, magari dopo averla lasciata annaspare, potrebbero richiudersi le acque... Tradotto: zero recensioni, rapsodici richiami al curatore, previa sua  liquidazione  per   delitto di lesa maestà intellettuale nei riguardi del Barone.   Sorpreso da Iacona al suo rientro in Italia, emiplegico,  stralunato,  incattivito,  ostile   più  che mai  al  mondo  moderno. E  sul punto,  causa disastrosa sconfitta bellica,  di accingersi a  sorseggiare -  lui, il futuro "Marcuse della Destra" (Almirante docet ) - l’amaro calice  dell’ americanizzazione-sovietizzazione del  mondo:  le  facce  della stessa medaglia,  l’anti-Tradizione.  Insomma, un Evola, idealmente in  piedi,   tra le rovine.  Ma in mutande.
In qualche misura,   il lettore si ritrova fra le mani due volumi:  1) il saggio a dir poco tranchant di Iacona , dove si  prova a  parlare alle anime inquiete, seminando giustifcati  dubbi sulla  reale levatura intellettuale del Maestro, certamente considerevole, ma non al punto  di ascendere ai  livelli himalayani dei grandi protagonisti della filosofia novecentesca, italiani e non; 2)  un’ antologia dal retrogusto feticista (solo "n'anticchia" diciamo...), che forse suo malgrado strizza l'occhio ai Tafazzi del saluto romano; dove sono  raccolti  gli articoli giornalistici (1949-1951, tutti?) di un Evola che si autobignamizza, alcuni carteggi, nonché gli atti del Processo contro i Far (integrali?). Giudizio che vide il Barone imputato per apologia di Fascismo; una telenovela:  prosciolto,  condannato, amnistiato.  Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Ciò significa che al silenzio rancoroso della destra,  potrebbe corrispondere la  chiassosa attenzione  della sinistra.  Quindi  -  caro Editore -   non tutto è perduto.    
Chi era Evola?   Qui Iacona porge coraggiosamente  il petto al  plotone di esecuzione, composto di inferociti  evoliani, evolomani e quant’altro  girava, gira e girerà  nel   pittoresco mondo  della destra antisistemica: «Evola è un italiano-tipo, rispettosissimo delle autorità. Intransigente verso gli altri, generoso verso se stesso. Più fazioso che ribelle. Eccessivo, raramente misurato. A onor del vero, certo inappagamento cronico e un carattere concreto e riflessivo (allo stesso tempo) insaporiscono un anticonformismo di tutto rispetto. Nell’esatto momento in cui discorre di metafisica o tratta argomenti meno impegnativi di rigorosa attualità, per così dire a misura d’uomo (…) Batte numerosi sentieri, “educa” a certa interdisciplinarietà. Non è elegante quanto Scaligero ma più sottile» (p. 13).  Così e cosi...
E la politica?  Qui Iacona  ricorre al machete  del professor  Piero Di Vona,  altro sottilissimo studioso anti-mainstream: « Con Evola siamo ben lontani da quella idea della politica attribuita dagli storici a Machiavelli, che la vede  come autonoma ed indipendente da altre discipline, compresa la morale. Al contrario la politica per Evola dipende strettamente dalla sue idee sapienziali, misteriosofiche o esoteriche, comunque si voglia chiamarle. Insomma quel che si rischiava era una teocrazia  - o qualcosa di simile -  su “modello” precristiano» (p. 19).  Guerre stellari...
Giustificatissima,  infine, la staffilata agli esegeti o presunti tali. Scrive Iacona: « I tifosi considerano Evola leader  di una “rivolta contro il mondo moderno”  - contro il pensiero liberale -   eppure gongolano per gli apprezzamenti provenienti  dal campo nemico (vedi la citazione ripetuta a più non posso relativa al giudizio di Benedetto Croce sulla filosofia evoliana). Come se fossero in attesa di legittimazione. o stesso atteggiamento per quanto riguarda   il processo ai Far. L’odiata democrazia manda assolto -  in primo grado -  un  acerrimo nemico?  O la democrazia non è nemica  o l’assoluzione solleva  non pochi dubbi. Sia come sia, per gli evoliani  quello pronunciato il 20 novembre 1951 non dovrebbe essere un giudizio accettabile. Ma è vero il contrario: le vie degli evoliani se non infinite sono senza dubbio incomprensibili» (p. 86).
E il  secondo libro  (gli articoli pubblicati,  eccetera)?  Mah… Più o meno, come accennato,  Evola, traduce giornalisticamente, in pillole,  come nota anche Iacona,  il suo pensiero maturato e pubblicato nelle  corpose opere di filosofia storica e politica  scritte  nei due decenni precedenti.   Chi già lo conosce, non vi  troverà  nulla di  particolarmente  originale ( a parte gli atti  del processo). Chi invece non lo conosce ancora,  potrà giovarsi di un reader evoliano.   Fermo restando l'interesse  di alcune tracce intuite da Iacona, come nelle pagine  dedicate  al corpo a corpo  tra Rivolta contro il mondo moderno e Orientamenti: due must filologici ( e ideologici) da approfondire.    
Quel che forse manca  -  non è una critica -   è l'estensione a  Evola e al mondo del radicalismo di destra  tra gli anni Quaranta e Cinquanta,  della  "formula"  Schivelbusch (La cultura dei vinti, il Mulino 2003, pp. 7-38 ).  Non che Iacona non provi:  nomi,  ambienti,  tic, divisioni ideologiche,  sono ben delineati:  il quadro rimane comunque ricco e  interessante. Però... Cosa intendiamo dire? Che  Evola & Co., forse  andavano indagati  puntando su una organica interazione, caso per caso,  tra le posizioni pubblicistiche e ideologiche degli "sconfitti"  e gli  schemi proposti dallo storico tedesco in argomento:   del “paese dei sogni” ( “Finalmente liberi”); del “risveglio” ( “Il nemico ci ha traditi”); “Vittorie immeritate” (sempre del nemico); dello  “Sconfitti sul campo ma vincitori morali” (quale fede nella propria superiorità); “Della vendetta e della revanche rispetto alla resa incondizionata” (“Pagherete tutto!”); “Del rinnovamento (morale) e della necessità di   apprendere  la dura  lezione  impartita dal  vincitore”.
Sarà per un’altra volta.

                 Carlo Gambescia                            

2 commenti:

  1. Mah, caro Carlo, fare le pulci a Evola è sport castrante. Fare un'analisi del suo pensiero, che poi sarebbe un mix di tradizionalismo+intuizioni personali+idealismo, è certamente lecito contro tutte le scolastiche. E' pur vero che in certi ambienti tradizionali italiani si cerchino sempre attestati di legittimità, che trovo decisamente icomprensibili, contraddicendo il punto di partenza della Tradizione, fatto di assiomi e istanze oracolari. Idee senza parole, direbbe Furio Jesi. Quindi possiamo discutere se Evola sia stato più o meno fedele ai principi, dove abbia scantonato, quanto della sua equazione personale possa aver influito sulle idee archetipali all'origine della sapienza, ecc. ecc.. del resto lo stesso Guènon considerato un iniziato dagli stessi ambienti, non di rado si contraddice e deve al suo pessimo carattere (checché se ne pensi, soggettivo lo è sempre stato) certe prese di posizione che nulla hanno a che vedere con stati dell'essere elevati. Siamo uomini, fragili e incostanti che possono comunque incarnare ideali elevati. Evola (lessi un suo articolo sul Roma dove criticava il cantante Bing Crosby) che in tempi difficili non prese nemmeno la tessera fascista e tentò di influire magicamente sugli eventi, è un gigante, pur con tutte le sue fisime e incongruenze, rispetto a uomini passati poi alla storia come fini intellettuali, sempre pronti a salire sul carro dei vincitori. Leggerò senza altro il libro di Iacona, ma quel che per me conta è che nel '900 ci siano state persone che tentarono di ristabilire una forza spirituale, evocarla nuovamente, pur considerando limiti e personalismi. L'atto assoluto abbisogna di una potenza assoluta da cui generarsi, a noi non resta altro che metterci la carne e lo spirito per mantenere il segnale integrale, anche con tutti i rumori di fondo. Oggi c'abbiamo Mattteo Renzi e Umberto Eco, Scalfari e Paolo Flores d'Arcais, Vito Mancuso e Odifreddi. Avercene ancora di uomini come Evola, Scaligero, de Giorgio, Panunzio.

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    1. Grazie Angelo dell'intenso ed equilibrato commento. Al quale non mi sento ( e non posso) aggiungere altro. Un caro saluto!

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