mercoledì 18 marzo 2015

A proposito del libro di Paolo Bonetti (*)
Il liberalismo di  sinistra e i suoi amici
di Teodoro Klitsche de la Grange

Paolo Bonetti



Di questo saggio  se  ne è già occupato Carlo Gambescia (**),  quindi ci limiteremo a proporre  alcune riflessioni. 
Breve premessa: il liberalismo di sinistra ha avuto in Italia la caratteristica di aver avuto sicuramente più influenza intellettuale che politica. Il che non significa che l’una sia stata tanta e l’altra poca: erano d’influenza relativamente modesta entrambe, ma la prima comunque superiore. E’ un fatto che personaggi illustri e nobili, e pieni d’idee nuove, come Gobetti, siano stati politicamente degli sconfitti o  come Bobbio (a volerlo considerare liberale, ma non del tutto), pur meno fecondi d’idee originali, abbiamo avuto in sorte di essere onusti di riconoscimenti accademici, ma poveri di “seguito” politico.
Come scrive l’autore nel definire il liberalismo di sinistra “…per capire una corrente politica e ideologica tanto varia e perfino contraddittoria nelle sue manifestazioni, occorre adottare criteri interpretativi che consentano di comprendere nel tipo ideale di sinistra liberale personalità e movimenti che, per determinati aspetti, potrebbero o dovrebbero essere definiti in altro modo, ma che, tuttavia, rientrano a buon diritto nel grande filone della tradizione liberale riformatrice come si è venuta configurando nella cultura e nella prassi politica europea e americana del Novecento: in questo senso, liberali possono essere chiamati anche il socialismo liberale di Rosselli e il liberalsocialismo di Calogero e Capitini, così come certe correnti (non tutte) del Partito d’Azione, la democrazia repubblicana di La Malfa, la variegata costellazione ideologica del gruppo del “Mondo”, il primo Partito radicale e taluni aspetti del radicalismo pannelliano, per concludere con la sintesi di Norberto Bobbio di costituzionalismo liberale e riformismo socialista”. Ma qual è il comune denominatore di tali correnti politiche? Scrive l’autore “la «libertà liberatrice», una concezione della libertà che non si chiude mai nella difesa delle istituzioni liberali così come si presentano in un determinato momento storico, ma mira a rinnovarle sotto la spinta di nuovi bisogni sociali e di nuove forme di vita comunitaria. Una libertà, insomma, espansiva ed inclusiva, che rifiuta di essere la semplice apologia dell’ordine liberale dato, ma vuole continuamente rinnovarlo per impedire che diventi il semplice tutore giuridico di ceti e gruppi variamente privilegiati”.

http://www.liberilibri.it/paolo-bonetti/226-breve-storia-del-liberalismo-di-sinistra.-da-gobetti-a-bobbio.html

Il libro termina con Bobbio, ossia, fatte le debite differenze di date, con la fine del comunismo e quella – in larga parte conseguente – della c.d. “Prima Repubblica”, cioè quando la sinistra liberale, quella come definita da Bonetti (cioè del “movimento”) si stava rimettendo in moto. Ad esempio con la segreteria del PLI di Altissimo fu posta chiara la necessità di rivedere la forma di governo della Repubblica, perché palesemente inidonea alla conduzione di uno Stato moderno e troppo incline a degenerazioni corporative e policratiche.
Due notazioni occorre fare: molte correnti che l’autore riconduce alla galassia liberale sono contraddittorie rispetto al senso della definizione che ne dà, siamo convinti che la sinistra liberale sia connotata (anche) dall’idea di “libertà liberatrice” e quindi di movimento sociale (concetto quest’ultimo necessariamente – perché nelle cose – comune ad ogni forza politica, anche nolente allo stesso). Ma è un fatto che spesso le correnti ricondotte da Bonetti alla sinistra liberale siano caratterizzate dalla difesa “senza se e senza ma” di una costituzione quanto mai datata, superata dalla conclusione della guerra fredda, e poco adatta a governare una società post-industriale. Cioè hanno mostrato l’avversione più radicale a ogni mutamento istituzionale, anche di portata non particolarmente rilevante. E quindi più che dal movimento, sono connotate dall’immobilismo.
Seconda notazione: sempre quelle correnti hanno mostrato di considerare quella costituzione come la “più bella del mondo” (affidandone lo svolgimento del tema – e giustamente – ad un comico).
Ma, a parte quel che ne pensino alcuni liberali, la realtà è che le costituzioni sono belle non tanto perché conformi a certi ideali, ma perché danno e conservano l’unità, la coesione e la possibilità d’azione politica di una comunità. Cioè perché sono adatte al popolo. Come scrive Cofrancesco nell’attenta postfazione, citando Cuoco “Se io fossi invitato all’impresa di dar leggi a un popolo, vorrei prima di tutto conoscerlo. Non vi è nazione quanto si voglia corrotta e misera, la quale non abbia dei costumi, che convien conservare; non vi è governo quanto si voglia dispotico, il quale non abbia molte parti convenienti a un governo libero”. Invece a molti, tuttora vocianti, è buono e bello, ciò che loro appare in linea con le loro opinioni soggettive: cioè che, come scriveva Hegel dei loro predecessori dell’epoca hanno sempre la testa “gonfia, gonfia di vento”. E povera di sostanza. E se ne vedono i risultati.
Teodoro Klitsche de la Grange



(*) Paolo  BonettiBreve storia del liberalismo di sinistra da Gobetti a Bobbio. Liberilibri 2014, pp. 217, Euro 16,50 (con post-fazione di Dino Cofrancesco).



Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" ((http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


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