A proposito del libro di
Paolo Bonetti (*)
Il liberalismo di sinistra e i suoi amici
di Teodoro Klitsche de la Grange
Paolo Bonetti |
Di
questo saggio se ne è già occupato Carlo Gambescia (**), quindi ci limiteremo a proporre alcune riflessioni.
Breve
premessa: il liberalismo di sinistra ha avuto in Italia la caratteristica di
aver avuto sicuramente più influenza intellettuale che politica. Il che non
significa che l’una sia stata tanta e l’altra poca: erano d’influenza
relativamente modesta entrambe, ma la prima comunque superiore. E’ un fatto che
personaggi illustri e nobili, e pieni d’idee nuove, come Gobetti, siano stati
politicamente degli sconfitti o come
Bobbio (a volerlo considerare liberale, ma non del tutto), pur meno fecondi
d’idee originali, abbiamo avuto in sorte di essere onusti di riconoscimenti
accademici, ma poveri di “seguito” politico.
Come
scrive l’autore nel definire il liberalismo di sinistra “…per capire una
corrente politica e ideologica tanto varia e perfino contraddittoria nelle sue
manifestazioni, occorre adottare criteri interpretativi che consentano di
comprendere nel tipo ideale di sinistra liberale personalità e movimenti che,
per determinati aspetti, potrebbero o dovrebbero essere definiti in altro modo,
ma che, tuttavia, rientrano a buon diritto nel grande filone della tradizione
liberale riformatrice come si è venuta configurando nella cultura e nella
prassi politica europea e americana del Novecento: in questo senso, liberali
possono essere chiamati anche il socialismo liberale di Rosselli e il
liberalsocialismo di Calogero e Capitini, così come certe correnti (non tutte)
del Partito d’Azione, la democrazia repubblicana di La Malfa , la variegata
costellazione ideologica del gruppo del “Mondo”, il primo Partito radicale e
taluni aspetti del radicalismo pannelliano, per concludere con la sintesi di
Norberto Bobbio di costituzionalismo liberale e riformismo socialista”. Ma qual
è il comune denominatore di tali correnti politiche? Scrive l’autore “la «libertà
liberatrice», una concezione della libertà che non si chiude mai nella difesa
delle istituzioni liberali così come si presentano in un determinato momento
storico, ma mira a rinnovarle sotto la spinta di nuovi bisogni sociali e di
nuove forme di vita comunitaria. Una libertà, insomma, espansiva ed inclusiva,
che rifiuta di essere la semplice apologia dell’ordine liberale dato, ma vuole
continuamente rinnovarlo per impedire che diventi il semplice tutore giuridico
di ceti e gruppi variamente privilegiati”.
http://www.liberilibri.it/paolo-bonetti/226-breve-storia-del-liberalismo-di-sinistra.-da-gobetti-a-bobbio.html |
Il
libro termina con Bobbio, ossia, fatte le debite differenze di date, con la
fine del comunismo e quella – in larga parte conseguente – della c.d. “Prima
Repubblica”, cioè quando la sinistra liberale, quella come definita da Bonetti
(cioè del “movimento”) si stava rimettendo in moto. Ad esempio con la
segreteria del PLI di Altissimo fu posta chiara la necessità di rivedere la
forma di governo della Repubblica, perché palesemente inidonea alla conduzione
di uno Stato moderno e troppo incline a degenerazioni corporative e policratiche.
Due
notazioni occorre fare: molte correnti che l’autore riconduce alla galassia liberale
sono contraddittorie rispetto al senso della definizione che ne dà, siamo
convinti che la sinistra liberale sia connotata (anche) dall’idea di “libertà liberatrice”
e quindi di movimento sociale (concetto quest’ultimo
necessariamente – perché nelle cose – comune ad ogni forza politica, anche
nolente allo stesso). Ma è un fatto che spesso le correnti ricondotte da
Bonetti alla sinistra liberale siano caratterizzate dalla difesa “senza se e
senza ma” di una costituzione quanto mai datata, superata dalla conclusione
della guerra fredda, e poco adatta a governare una società post-industriale.
Cioè hanno mostrato l’avversione più radicale a ogni mutamento istituzionale,
anche di portata non particolarmente rilevante. E quindi più che dal movimento, sono connotate
dall’immobilismo.
Seconda
notazione: sempre quelle correnti hanno mostrato di considerare quella
costituzione come la “più bella del mondo” (affidandone lo svolgimento del tema
– e giustamente – ad un comico).
Ma,
a parte quel che ne pensino alcuni liberali, la realtà è che le costituzioni
sono belle non tanto perché conformi a certi ideali, ma perché danno e
conservano l’unità, la coesione e la possibilità d’azione politica di una
comunità. Cioè perché sono adatte al popolo. Come scrive Cofrancesco
nell’attenta postfazione, citando Cuoco “Se io fossi invitato all’impresa di
dar leggi a un popolo, vorrei prima di tutto conoscerlo. Non vi è nazione
quanto si voglia corrotta e misera, la quale non abbia dei costumi, che convien
conservare; non vi è governo quanto si voglia dispotico, il quale non abbia
molte parti convenienti a un governo libero”. Invece a molti, tuttora vocianti,
è buono e bello, ciò che loro appare in linea con le loro opinioni soggettive: cioè
che, come scriveva Hegel dei loro predecessori dell’epoca hanno sempre la testa
“gonfia, gonfia di vento”. E povera di sostanza. E se ne vedono i risultati.
Teodoro Klitsche de la Grange
(*) Paolo Bonetti. Breve storia del liberalismo di sinistra da Gobetti a Bobbio. Liberilibri 2014, pp. 217, Euro 16,50 (con post-fazione di Dino Cofrancesco).
Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale
di cultura politica “Behemoth" ((http://www.behemoth.it/ ).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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