La generazione dei nati negli anni Cinquanta non vuole essere rottamata...
Chi semina vento,
raccoglie tempesta
Oggi ci ha colpito questo lancio Ansa che prende spunto da un libro che leggeremo con piacere:
Adulti o tardo-adulti, colpiti
dalla crisi e dalla riforma delle pensioni, esodati, prepensionati, staffettati, licenziati,
in conflitto latente con i giovani sul mercato del lavoro. Sono gli over
50: 24 milioni e mezzo di italiani, stando ai dati Censis.
"Una classe di ferro, temprata a ogni avversità, che si è sobbarcata buona
parte del Novecento, seppellendone derive, abiezioni e aberrazioni, che oggi si
vorrebbe maldestramente accantonare ma che non può rassegnarsi docilmente
all'oblio, all'emarginazione semplicistica, al giovanilismo infantile e al
pensiero breve", scrive Bruno Menna nel pamphlet "Baby Boom"
(Iuppiter Edizioni).
Non siamo d’accordo. Quale “classe di ferro”? Ci spieghiamo subito.
In realtà, i “baby boomers” (i figli del boom
delle nascite nel dopoguerra) sono gli
ultimi “ragazzi” nati e vissuti nel
segno dell’ideologia (i totalitarismi, le utopie, il mondo diviso in due,
eccetera...). Altro punto qualificante: gli ultimi a ricevere un’educazione tradizionale: un imprintig impostato su codici deferenziali verso gli adulti e l’autorità, codici che hanno innervato tutta la generazione del “Baby
Boom”: gli impegnati politicamente (una minoranza, gli innovatori, i creativi) e i conformisti (la maggioranza, quelli che si adeguano a tutto, anche alle rivoluzioni).
C’è sicuramente meno differenza “culturale”
tra i nati negli anni Dieci e Venti e i
nati negli anni Cinquanta ( forse fino alla prima metà dei Sessanta, generazione
quest’ultima schiacciata tra le idee di ordine e disordine…), che
con coloro che sono nati negli
anni Settanta. Probabilmente la maggiore
differenza formativa tra le classi del 1910-1920 e quella del 1950
(magari includendo anche i nati seconda metà degli anni Quaranta) è
rappresentata dalla partecipazione dei primi alla guerra
mondiale e (poi) civile. Soprattutto in Italia. Un’esperienza che però ha segnato nel ricordo i figli nati negli anni Cinquanta:
come dimenticare i terribili racconti di
guerra dei padri nati negli anni Dieci-Venti?
Il che spiega, per reazione, il
pacifismo diffuso. Pertanto, per la
maggioranza dei nati negli anni Cinquanta, parleremmo di generazioni di “burro” (piuttosto che di cannoni o di “ferro”), sicuramente antieroiche. Un pacifismo che ha
contaminato anche le generazioni successive ( in particolare dagli
anni Settanta in poi), generazioni che di conseguenza hanno perduto con i codici dell’onore
militare anche l’idea stessa dell'esistenza necessaria - piaccia o meno - di un codice
di deferenza verso l’autorità. Senza il quale le società, a prescindere dal regime, prima o poi, periscono. Si tratta insomma, di un fattore prepolitico, che non può essere ignorato.
Sicché, nel volgere di pochi anni -
la seconda metà dei Sessanta - è andata
a fondo, simbolicamente, la figura del padre. E con essa, più concretamente, qualsiasi concetto di autorità (da non confondere con l’autoritarismo).
Parliamo del tracollo di un
sistema di valori sociali e politici, ovviamente imperfetto come tutti
i sistemi, che però aveva accomunato “educativamente” tutte le generazioni nate e vissute nei primi sessant’anni del
Novecento (si potrebbe andare anche più indietro, ma per ragioni di brevità...).
Forse era durato troppo… Il che potrebbe spiegare la ribellione del Sessantotto ( ci rivolta contro il potere, quando è quest’ultimo a mostrare segni di debolezza, mai prima), ribellione, dicevamo, animata dalla generazione nata negli anni Cinquanta, l’ultima a obbedire, la prima a ribellarsi. In nome di che cosa? E per andare dove? Ancora ci si interroga. Tra le rovine.
Forse era durato troppo… Il che potrebbe spiegare la ribellione del Sessantotto ( ci rivolta contro il potere, quando è quest’ultimo a mostrare segni di debolezza, mai prima), ribellione, dicevamo, animata dalla generazione nata negli anni Cinquanta, l’ultima a obbedire, la prima a ribellarsi. In nome di che cosa? E per andare dove? Ancora ci si interroga. Tra le rovine.
Concludendo, non si può demolire
il concetto di autorità e poi invocare rispetto. Cari “baby boomers” (cari, perché parliamo di coetanei), non si possono minare le radici sociali dell'obbedienza e poi pretendere di passare all'incasso. Chi semina vento, raccoglie tempesta. Proprio come dicevano
i nostri nonni. Quando si dice il caso…
Carlo Gambescia
Carlo Gambescia
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