mercoledì 11 marzo 2015

La generazione dei nati negli anni Cinquanta non vuole essere  rottamata...
Chi semina vento, 
raccoglie tempesta





Oggi  ci  ha colpito questo lancio Ansa  che prende spunto da un libro che leggeremo con piacere:

Adulti o tardo-adulti, colpiti dalla crisi e dalla riforma delle pensioni, esodati, prepensionati, staffettati, licenziati, in conflitto latente con i giovani sul mercato del lavoro. Sono gli over 50: 24 milioni e mezzo di italiani, stando ai dati Censis. "Una classe di ferro, temprata a ogni avversità, che si è sobbarcata buona parte del Novecento, seppellendone derive, abiezioni e aberrazioni, che oggi si vorrebbe maldestramente accantonare ma che non può rassegnarsi docilmente all'oblio, all'emarginazione semplicistica, al giovanilismo infantile e al pensiero breve", scrive Bruno Menna nel pamphlet "Baby Boom" (Iuppiter Edizioni).


Non siamo  d’accordo. Quale  “classe di ferro”?  Ci spieghiamo subito.
In realtà, i  “baby boomers” (i figli del boom delle nascite nel dopoguerra)  sono  gli ultimi “ragazzi”  nati e vissuti nel segno dell’ideologia (i totalitarismi, le utopie, il mondo diviso in due, eccetera...).  Altro punto qualificante:  gli ultimi  a ricevere un’educazione  tradizionale:  un imprintig impostato su codici deferenziali  verso gli adulti e l’autorità,  codici  che hanno  innervato  tutta la generazione del “Baby Boom”: gli impegnati politicamente (una minoranza, gli innovatori, i creativi) e  i conformisti (la maggioranza, quelli che si  adeguano  a tutto, anche alle rivoluzioni).        
C’è sicuramente  meno differenza “culturale” tra i nati negli anni Dieci e Venti  e i nati negli anni Cinquanta ( forse fino alla prima metà dei Sessanta, generazione quest’ultima schiacciata tra le idee di ordine e disordine…), che  con  coloro che sono  nati  negli anni Settanta.  Probabilmente la maggiore  differenza formativa  tra le classi del 1910-1920 e quella del 1950 (magari includendo anche i nati  seconda metà degli anni Quaranta)  è rappresentata dalla partecipazione dei primi  alla guerra  mondiale e (poi) civile. Soprattutto in Italia.  Un’esperienza  che però ha segnato  nel ricordo i figli nati negli anni Cinquanta:  come dimenticare i terribili racconti di guerra dei padri nati negli anni Dieci-Venti?   
Il che spiega, per reazione, il pacifismo diffuso.  Pertanto, per la maggioranza dei nati negli anni Cinquanta, parleremmo di generazioni di  “burro” (piuttosto  che di cannoni o di “ferro”),  sicuramente antieroiche. Un pacifismo che ha contaminato  anche  le generazioni successive ( in particolare dagli anni Settanta in poi), generazioni che di conseguenza  hanno perduto  con i codici dell’onore militare anche  l’idea stessa   dell'esistenza necessaria -  piaccia o meno -   di un  codice di deferenza verso l’autorità.  Senza il quale le società, a prescindere dal regime,  prima o poi, periscono. Si tratta insomma, di un fattore prepolitico, che non può essere ignorato. 
Sicché, nel volgere di  pochi anni -  la seconda metà dei Sessanta -  è andata a fondo, simbolicamente, la figura del  padre. E con essa,  più concretamente,  qualsiasi  concetto  di autorità (da non confondere con l’autoritarismo).  Parliamo del tracollo di un  sistema di valori sociali e politici, ovviamente imperfetto come tutti i sistemi,  che però   aveva accomunato  “educativamente”  tutte le generazioni  nate e vissute nei primi sessant’anni del Novecento (si potrebbe andare anche più indietro, ma per ragioni di brevità...).  
Forse era durato troppo…  Il che potrebbe spiegare  la ribellione del Sessantotto ( ci rivolta contro il potere, quando è quest’ultimo a mostrare segni di debolezza, mai prima), ribellione, dicevamo,  animata dalla generazione nata negli anni Cinquanta, l’ultima a obbedire, la prima a ribellarsi.   In nome di che cosa?  E per andare dove?  Ancora ci si interroga.  Tra le rovine.  
Concludendo, non si può demolire il concetto di autorità e poi invocare rispetto.  Cari “baby boomers” (cari, perché parliamo di coetanei), non si possono minare le radici sociali dell'obbedienza e poi pretendere di passare all'incasso. Chi semina vento, raccoglie tempesta.  Proprio come dicevano  i nostri  nonni.  Quando si dice il caso…
                                                                                                                          Carlo Gambescia        

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