A distanza di più di quattro decenni non si è ancora ben compresa la natura storica e sociologica della violenza negli Anni di Piombo. In particolare la parte riguardante gli anni Settanta. Soprattutto non si è capita la lezione di quel terribile periodo storico.
A questo pensavamo leggendo dei saluti romani e dello schieramento di tipo militare in occasione della commemorazione dei tre ragazzi missini, della sezione romana di via Acca Larenzia, uccisi nel 1978.
Qual è il punto della questione? Che la violenza di destra e sinistra rinvia sempre a un rifiuto chiaro e netto del riformismo. Per la cronaca, due ragazzi furono uccisi da alcuni militanti di Lotta Continua, un terzo, come sembra, cadde vittima, in un momento successivo, della fin troppo energica reazione delle forze dell’ordine. Quindi anche le istituzioni, come accade sempre quando infuria la guerra civile, giocarono un ruolo non del tutto lineare.
Comunque sia, quale riformismo? Quello basico. Che consisteva e consiste nell’ accettazione, piena e consapevole, della civiltà liberale. In sintesi, nel rifiuto di ogni trasformazione violenta della società italiana.
Per contro, l’estremista, a destra come a sinistra, continua a scorgere nel liberalismo solo un inganno: la stantia prosecuzione del capitalismo con altri mezzi, più o meno suadenti secondo la situazione. Diciamo bastone e carota.
Va detto che in quel periodo si evidenziò un certo riformismo a destra (con la Costituente almirantiana e la successiva scissione dei moderati di Democrazia nazionale); a sinistra, con il lento cammino del Pci verso il Compromesso storico con la Dc ( o comunque verso i governi di Solidarietà nazionale).
Riformismo che poteva essere vero o falso (qui, per ragioni di spazio tralasciamo la trattazione dell’argomento), ma che comunque venne letto da parte dei militanti, duri e puri ( di estrazione fascista e marxista ) come un tradimento. Di qui la reazione violenta.
L’idea di una svendita dei valori rivoluzionari (anche i neofascisti si consideravano tali) era per l'estremista un dato oggettivo che portava inevitabilmente alla violenza contro le istituzioni, giudicate cieche e sorde, viste come inclusive dei dirigenti politici moderati (di destra come di sinistra). Per gli estremisti, Almirante. Moro, Berlinguer pari erano. E Moro, pagò il conto per tutti.
Pertanto la lunga catena di uccisioni e ferimenti va ricondotta a tre principali motivazioni: 1) all’idea di una necessaria continuazione della guerra civile del 1943-1945, che spiega gli omicidi incrociati; 2) all’idea del rifiuto del riformismo e del liberalismo come approccio normale alla politica dei moderni; 3) alla conseguente lotta al sistema politico ed economico, giudicato falso e corruttore, puntando sull’eliminazione esemplare e progressiva degli uomini eminenti della classe dirigente, inclusi i politici moderati delle due sponde (a dire il vero ancora manca una ricerca circostanziata sulle violenze subite dai dirigenti moderati all’interno del Movimento Sociale).
Inoltre, il fatto che secondo alcuni osservatori vi siano state infiltrazioni dei servizi segreti americani, sovietici e quant’altro, rientra nella logica oppositiva dei blocchi est-ovest dell’epoca. Logica, politicamente contingente, che nulla toglie o aggiunge alla precedente (rispetto alla Guerra Fredda) conformazione e divisione storica e sociologica tra forze riformiste e forze antiriformiste. Una frattura ideologica che risale alla nascita tardo ottocentesca dei partiti socialisti di massa.
Riassumendo. Una volta inquadrata la “questione Anni di Piombo”, come rifiuto dei riformismo liberale, è facile capire che, prima o poi, nei movimenti contrari al riformismo, a destra come a sinistra, il passaggio dall’ostentazione dei simboli alla reale violenza politica rischia di divenire inevitabile per ragioni di ciclo politico (di conquista, conservazione e perdita del potere).
Si rifletta. Siamo infatti in una fase che vede un governo di destra al potere. Siamo perciò dinanzi a uno scenario riformista che non potrà non scatenare, a destra, una violenza antiriformista. D’altra parte, sembra che la stessa sinistra tenda a recuperare certo estremismo politico, frutto velenoso della lontananza dal governo. Il che accade perché la sinistra, soprattutto nelle frange politiche maggioritarie, come del resto la destra, non ha mai compiuto una definitiva scelta riformista. Pertanto, la sinistra, ancora legata nostalgicamente al pauperismo di Berlinguer, manca di quella raffinatezza di approccio che deve caratterizzare una matura forza politica riformista e liberale.
In assenza di una scelta riformista, di “tutta” la classe dirigente, quei saluti romani non possono non preoccupare, perché la destra, rispetto alla sinistra ora ha responsabilità di governo. Spetta alla destra arginare il mare dell’estremismo al suo interno. Non è solo una questione di rapporti di forze (per alcuni osservatori gli estremisti di destra sono solo minoranze neppure tanto rumorose), ma di accettazione “mentale” del “sistema”: un fatto di mentalità collettiva. Di interiorizzaione e socializzazione. Qui il vero problema.
Si noti un’ultima cosa. Nella polemica sul famoso colpo di pistola dell’ultimo dell’anno, l’onorevole Pozzolo ha liquidato Gianfranco Fini, colpevole di averlo definito un violento di vecchia data, come un politico, privo del diritto di parlare, perché avrebbe “ svenduto e calpestato la dignità politica e umana della destra italiana” Un traditore, insomma, come Badoglio.
Sul punto Giorgia Meloni ha taciuto, evidentemente perché sa benissimo che Fratelli d’Italia continua a giudicare Gianfranco Fini un venduto, perché, bene o male, tentò la svolta riformista, insomma, di accettare il sistema liberale.
Ora, che lei, personalmente, lo creda o meno, non basta. Conta invece che Fratelli d’Italia ragioni tuttora usando lo stesso metro dei fascisti di Salò.
Il silenzio di Giorgia Meloni resta perciò ancora più pericoloso dei saluti romani e delle stesse misure, anche di espulsione, che potranno essere prese nei riguardi dell’onorevole Pozzolo.
Fratelli d’Italia è tutto eccetto che una forza sistemica, liberale, riformista. Qui il problema. La cui soluzione non è favorita dall’ immaturità politica della sinistra.
Si chiama anche vicolo cieco.
Carlo Gambescia
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