Se oggi la sinistra si ritrova tra le mani un'arma spuntata, cioè quella dell’antifascismo, la colpa è della sinistra stessa che a suo tempo non seppe fare buon uso del concetto di totalitarismo.
Si dirà che poco importa risalire alle radici della questione, perché ormai siamo giunti al punto che non è più la sinistra a fare battute sul fascismo, ma la destra a ridere dell’antifascismo, ridotto, come talvolta si legge, a un circolo di rimbambiti.
Eppure, come accennato, una ragione profonda esiste: il rifiuto da parte della sinistra, all’indomani del Secondo conflitto mondiale, di riunire sotto la categoria filosofica di totalitarismo (con inflessioni, politologiche, sociologiche, eccetera), fascismo, nazismo e comunismo.
Soprattutto i marxisti, a cominciare da quelli obbedienti a Mosca, coadiuvati farmacologicamente dalla sinistra giacobina, rifiutarono come un insulto di mettere il comunismo, le cui intenzioni erano buone (si diceva), sullo stesso piano del fascismo e del nazismo, che invece (si ripeteva) nutrivano intenzioni cattive che producevano risultati pessimi.
Insomma, al comunismo, per varie ragioni anche di tattica politica, si doveva riconoscere una purezza morale, che ne perdonava regolarmente errori ed orrori. E molti liberali, pieni di sensi di colpa, caddero nel tranello ideologico. Sicché l’antifascismo, più che un’arma di esclusione dei fascisti, fu uno strumento di inclusione dei comunisti. Ferma però restando la simile natura totalitaria delle ideologie fascista e comunista.
Pertanto – ecco il succo dell’ideologia antifascista – non si poteva essere al tempo stesso antifascisti e anticomunisti. Anzi l’anticomunismo era giudicato una variante del fascismo. In fondo – ripetevano, anche giustamente, marxisti e sinistra giacobina – il fascismo non era anticomunista? Di qui le conclusioni: in ogni anticomunista si nasconde un fascista. E in ogni comunista un antifascista, quindi un democratico, quanto meno in via di sicura formazione.
Ovviamente, la volontà di includere o meno i movimenti comunisti tra i movimenti totalitari era dettata dalla Guerra fredda, dalla logica dei blocchi e dalla particolare posizione “a metà strada”, tra democrazia e dittatura del proletariato, dei partiti politici comunisti in Occidente, presenti in molti parlamenti, come in Italia e in Francia ad esempio. Prevaleva, di volta in volta, la logica del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Ma sempre pieno a metà (totalitaria) era. Il bicchiere comunista.
Riassumendo: errore metodologico (perché comunismo, nazismo e fascismo, appartenevano, cognitivamente, all’albero dei totalitarismo); errore politico (perché mutilando politicamente il concetto di totalitarismo si favoriva la nascita di un contraddittorio concetto di antifascismo); errore sociologico (perché si attribuivano patenti di democrazia sociale e riformismo al movimento comunista rivoluzionario, in nome di un concetto parziale di antifascismo che lo includeva immeritatamente).
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica i nodi sono finalmente venuti al pettine. Però ormai era troppo tardi. Anche perché gli uomini sono animali reiterativi. Sicché la sinistra post comunista, scegliendo la strada più corta, ha continuato ad usare l’antifascismo come strumento di propaganda contro le destre, in particolare di derivazione fascista. Per contro, è stato gioco facile per le destre accusare le sinistre di avere usato l’antifascismo fin dall’inizio come continuazione del comunismo con altri mezzi. E da questa accusa alla ridicolizzazione dell’antifascismo il passo è stato altrettanto breve.
Resta però un fatto. Che neppure la destra, in particolare quella dalle radici fasciste, ha mai fatto i conti con se stessa, accettando, a proposito della sue origini, l’idea di aver convissuto con nazismo comunismo sotto lo stesso tetto del totalitarismo.
A dire il vero, alcuni gruppi neofascisti minoritari, come avviene tra gli sparuti gruppi neocomunisti, rivendicano, addirittura con orgoglio, le radici totalitarie, usando ovviamente romantiche etichette nazional-rivoluzionarie. Tuttavia il grosso dell’estrema destra, soprattutto quando al potere come in Italia, tende a considerarsi a-fascista: l’amore per la patria, il patriottismo, si dice, è a-ideologico, quindi né fascista né antifascista.
In realtà, sposare un atteggiamento del genere significa continuare a respingere ogni seria analisi del totalitarismo e del ruolo nello stesso del nazionalismo. Addirittura, qui, come attesta la “a” privativa, si nega in linea di principio l’esistenza stessa del fenomeno fascista. Si rifletta bene sul seguente punto: un vero patriota può accettare lo strame che fece il fascismo della’idea liberale di nazione? Riducendola a una specie di totalitario catechismo mussoliniano?
Ma torniamo alla sinistra. Non diciamo nel 1945. Forse chiediamo troppo. Se tuttavia la sinistra negli anni successivi, senza attendere la caduta dell'Unione Sovietica, avesse approfondito la natura totalitaria del comunismo, oggi in Italia avremmo in campo una sinistra riformista, non costretta a rispolverare, in una specie di dialogo tra sordi, l’ antifascismo “monco”, vecchio stile, contro l’a-fascismo di una destra, che in questo modo continua a rifiutare di fare i conti con il passato.
Un dialogo sterile, a tratti perfino banale. Ma di una banalità che inquieta.
Carlo Gambescia
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