Vogliamo capire il senso profondo, diciamo metapolitico, del Giorno della Memoria? Al di là delle strumentalizzazioni politiche? Su quest’ultimo punto basta scorrere i giornali di oggi, in particolare le prime pagine. A destra lo si usa contro la sinistra dei centri sociali e quella compiacente verso Hamas. A sinistra per attaccare il fascismo, e di riflesso Fratelli d’Italia, nonché Netanyahu , leader conservatore, e perciò malvisto dai progressisti.
In realtà, il Giorno della Memoria, quasi dispiace dirlo, non è altro che un fragile argine, senz’altro nobilissimo, istituito dall’ONU meno di vent’anni fa. Un argine contro l’antisemitismo, fenomeno che invece ha più o meno duemila anni. Qui il vero punto della questione.
Non vorremmo ora che gli amici ebrei ci accusassero di sottovalutazione della Shoah. Lo sterminio messo in pratica dai nazionalsocialisti, con l’aiuto fattivo dell’alleato fascista, è per un verso il terribile punto di arrivo di venti secoli di antisemitismo, e per l’altro una tremenda reazione di rigetto con pretese risolutive ( furono gli stessi carnefici nazi-fascisti a parlare di “soluzione finale”) all’inserimento civile e politico, sul piano del sistema liberal-democratico, dell’ebreo. Un processo formalmente iniziato, come insegnano gli storici, negli anni della Rivoluzione Francese, che volle giustamente parificare in chiave giuridica come cittadini ebrei e non ebrei.
Pertanto, per ragionare metapoliticamente per millenni, abbiamo da una parte diciotto secoli (circa) di antisemitismo, quindi esclusione, dall’altra due secoli (circa) di filosemitismo, quindi inclusione.
Da una parte strutture quasi bimillenarie di pensiero e comportamento (si potrebbe parlare di una “tradizione” antisemita, che affonda le sue radici nel cristianesimo), dall’altra due secoli di lento inserimento, non sempre facile, con l’esplosione antisemita tra le due guerre culminata nella Shoah: un’ evidente reazione esclusiva a un pacifico processo di inclusione.
Una reazione che a nostro avviso può essere vista come il terribile esito della secolarizzazione dell’antisemitismo ad opera di movimenti politici moderni e reazionari al tempo stesso. Perché portatori, consapevoli o meno, di una antica teologia antisemita ritradotta nei termini di due miti politici moderni, soprattutto tali – mitici – quando sganciati se non opposti al liberalismo: razza e nazione.
L’antisemitismo novecentesco non è altro che la secolarizzazione dell’antisemitismo cristiano. Si chiama anche teologia politica. In pratica, siamo davanti a una “paganizzazione” del cristianesimo: al posto dei dio unico, il politeismo di deità come la nazione, la razza, il partito, il capo, la scienza eugenetica.
Ora, come detto, in questo quadro, il Giorno della Memoria, che in Italia ha poco più di vent’anni, può essere dipinto come un fragile argine a diciotto secoli di antisemitismo. Una lotta impari. Che diventa ancora più complicata se ci si concentra solo sulla Shoah, trascurando le radici cristiane dell’antisemitismo, per quanto secolarizzate in termini di teologia politica.
Non si fraintenda il nostro discorso. È giusto aver istituito il Giorno della Memoria. Come pure è giusto celebrarlo. Quel che però va evitato sul piano culturale è l’interpretazione esclusiva della Shoah come frutto del moderno hitlerismo. Attenzione, non mettiamo in discussione l’unicità della Shoah come fatto storico. Desideriamo solo sottolineare che il nazi-fascismo ha riverniciato di modernità – una modernità fatta di mezzi, sganciata dai fini liberali, quindi reazionaria, esclusiva non inclusiva – l’antichissimo antisemitismo cristiano, che in qualche modo caratterizza tuttora la mentalità comune, e spiega, senza ovviamente giustificare, l’odio verso gli ebrei.
Tuttavia la saturazione nazi-fascista porta inevitabilmente alle strumentalizzazioni della Shoah – ovviamente, non ad opera degli ebrei – lungo il discrimine fascismo-antifascismo, come abbiamo accennato all'inizio a proposito delle prime pagine di oggi.
Il che non significa assolvere o giustificare i crimini di Hitler e Mussolini e di altri leader fascisti. Ma più semplicemente evidenziare come sul piano delle strutture ideologiche e dei comportamenti l’antisemitismo provenga da lontano. Ovviamente si è secolarizzato: dalla teologia si è passati alla teologia politica…
Concludendo, dio è morto, però l’antisemitismo è vivo.
Carlo Gambescia
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