lunedì 29 gennaio 2024

La crisi del conservatorismo

 

Si può ancora parlare di conservatorismo? Partiamo dalla definizione di conservatore.   

Può essere definito conservatore chiunque si proponga di conservare lo status quo: lo stato in cui storicamente  ci si trovi. Un reazionario, invece, vuole tornare allo status quo ante, cioè allo stato sociale precedente. Un progressista invece? Si propone di cambiare tutto.

Riepilogando, un conservatore guarda al presente, un reazionario al passato, un progressista al futuro.

Oggi, sotto questo aspetto, il conservatore, forse senza neppure saperlo, si ritrova a dover difendere quelle che settant’anni fa erano definite posizioni progressiste: lo stato sociale e l’economia mista pubblico-privato. Si può perciò parlare di crisi del conservatorismo.  Se non di vera  propria inutilità. Almeno nel nostro contesto storico.

E un reazionario? Non può non guardare al passato. Ma quale passato? Per un fascista il passato è rappresentato dall’omonimo regime.  Un tradizionalista proietta lo sguardo  ancora più indietro, verso qualche lontana età dell’oro.  Un ecologista – non è una battuta – guarda invece  all'età della pietra. Insomma  al  mondo pre-industriale.

Quanto al progressista occorre fare una distinzione. Innanzitutto esistono i falsi progressisti. Che si autodefiniscono tali, ma che in realtà sono i difensori dello status quo: stato sociale ed economia mista. Allora quali sono i veri progressisti? Vero progressista è chiunque pensi in termini di progresso, cioè di avanzamento verso un futuro stato di perfezione. Il vero progressista non vuole estendere le conquiste del presente al futuro, ma vuole un futuro completamente diverso dal presente. Però qui va fatta un’altra distinzione: tra stato di perfezione collettivo, irrealizzabile (come nel comunismo), e stato di perfezione individuale, realizzabile (come nel liberalismo).

Ora il pensiero conservatore, per salvarsi dalle sabbie mobili dello "statusquoisimo",  ha due possibilità: o, dal momento che lo status quo è difeso  dai falsi  progressisti, sposa la causa dei reazionari, dei propugnatori  dello status quo ante: si fa fascista, tradizionalista, ecologista. Oppure sposa la causa dei progressisti autentici designando un futuro stato perfezione, senza però cadere nell’utopia comunista e collettivista.

Il problema è che i reazionari guardano al mondo pre-moderno. In qualche misura collocano la perfezione nel passato. Un vero conservatore dovrebbe invece guardare al futuro, dal momento che il presente è occupato dai falsi progressisti. Ma come sposare la causa del futuro se ci si definisce conservatori, quindi difensori dello status quo? O peggio ancora come ci si può mescolare con i comunisti?

La risposta è nella riscoperta dell’ideologia liberale. Che guarda al futuro senza però evocare ideali di perfezione. La famosa ricerca della felicità individuale è per l’appunto qualcosa di individuale, che ognuno ricerca secondo il proprio punto di vista. Per essere più specifici non occorrono al vero progressista liberale né l’aiuto dello stato sociale né i controlli dell’ economia mista pubblico-privato. Il liberalismo, non si preoccupa dei fini. E al tempo stesso consente che ognuno scelga liberamente i mezzi più opportuni. Si chiama libertà individuale. Ed è un valore disconosciuto dai reazionari, dai conservatori e dai falsi progressisti (welfaristi e comunisti)

Perciò sotto questo aspetto oggi non esiste veramente nulla da conservare. Il che spiega la crisi del conservatorismo contemporaneo, che gravita tra la reazione e il falso progressismo, tra passato, presente, tra dio e il welfare.  Non potendo del resto sposare la causa del progressismo comunista, ateo,  basata su un utopico ideale di perfezione futura.

Perciò è scontato  che chiunque si definisca liberale, nel senso qui ricordato, venga subito attaccato su tutti i fronti: dai reazionari, dai conservatori, dai falsi progressisti, dai progressisti utopisti.

Probabilmente per riscoprire la libertà, vera, progressista, capace di non ricadere nell’utopismo collettivista, la nostra società  dovrà prima  toccare il fondo. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia

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