È vero come proclama la destra che la legge sulla cosiddetta Autonomia differenziata, approvata ieri al Senato, è un colpo inferto allo statalismo? Insomma, in parole povere, che significa meno stato?
Non è vero. Si tratta semplicemente di decentralizzazione: del trasferimento di alcune funzioni statali alle regioni , ad esempio nell’ambito della riorganizzazione della sanità, della scuola, dei tributi locali.
Regioni. Parliamo di strutture di diritto pubblico, non di diritto privato. Quanto si legge “regione ente autonomo”, si tratta di una struttura di diritto amministrativo. Regolata spesso in contrasto, anche giuridico, con il diritto civile. Di qui, per effetto di ricaduta del contenzioso, la cattiva fama dei Tar.
Ecco perché si parla di legge sull’ autonomia: una graziosa concessione dello stato alle regioni che riguarda la cosiddetta legislazione concorrente tra stato e regioni come prevede il terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione, che riguarda in tutto 23 materie.
Al di là del giuridichese, il vero punto sociologico della questione è che l’ “individuo” continuerà a contare meno di zero, mentre le funzioni pubbliche, cioè il “collettivo”, perché di questo si tratta, conteranno come prima. Anzi, dopo l’approvazione definitiva, il potere del “collettivo” conterà più di prima, perché i controlli regionali, quindi, ripetiamo, di una struttura amministrativa di tipo pubblico, si faranno più occhiuti, perché ancora più vicini all’individuo.
Si lasci perdere la mitologia delle istituzioni pubbliche amiche del cittadino. Fregnacce (pardon). Lo stato, anche se regionalizzato, resterà tale. Diciamo pure che continuerà a riprodursi come le cellule cancerose.
Lo stato, come fattore sociologico, più viene decentralizzato più opprime il singolo. La decentralizzazione è soltanto un trasferimento di funzioni, non l’abolizione delle funzioni stesse.
Pertanto l’idea della destra che magnifica questa legge come un colpo allo statalismo è una truffa ideologica. Andremo tutti a vivere peggio, con addosso il fiato della Regione, oltre che quello dello stato sulle materie residuali, a cominciare dal fisco. L’individuo continuerà a dover servire due padroni: stato e regione, macro-stato e micro-stato.
Quanto alla sinistra, che ora si preoccupa dell’ unità d’Italia, va detto che rimpiange l’idea di un stato solo al comando. Ovviamente non l’ha sempre pensata così: quando furono istituite le regioni, una fantasmagoria istituzionale senza precedenti storici in Italia (paese di torri civiche, campanili e santi), la sinistra – in particolare i comunisti – videro nella regione una specie di Cavallo (rosso) di Troia per scalare il potere nazionale. Diciamo un micro-stato capace di assolvere la funzione di contropotere in lotta contro il macro-stato. Allora la sinistra era per la decentralizzazione. Perché conveniva politicamente. Ipocriti e bugiardi.
Di fatto le regioni si sono trasformate in carrozzoni burocratici che con il carrozzone numero uno, lo stato, opprimono l’individuo.
Per contro, in un paese liberale andrebbero subito soppresse le regioni, e ovviamente ridotto, e di molto (quasi a zero), il ruolo dello stato. In Italia andrebbero valorizzate le città, che peraltro hanno una grande tradizione storica. Ma in modo spontaneo, lasciando che siano gli individui a organizzarsi da soli. Senza piano calato dall’alto. Lasciar fare, lasciare passare. Ecco quale sarebbe il vero colpo inferto allo statalismo. Non la presa per i fondelli (pardon) del trasferimento di funzioni pubbliche.
Siamo davanti a una truffa ideologica, perché per un verso si riduce, di fatto, la sfera di libertà dell’ individuo, per l’altro si promette invece di accrescerla, cosa falsa.
Detto altrimenti: una tragica buffonata.
Carlo Gambescia
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