Una caratteristica politica fondamentale dell’estrema destra italiana, come partito, è rappresentata da un fenomeno di tipo ciclico. Nel senso di legare la propria sorte politica alle fortune di un capo carismatico. Sorti o fortune che possono essere alterne. Di qui la natura ciclica, di composizione e ricomposizione della forma partito intorno a un capo politico preminente. Il che però è un punto debole.
Fratelli d’Italia, come Alleanza Nazionale, come il Movimento Sociale, come il fascismo, da cui tre partiti discendono, hanno sempre ruotato intorno al culto del capo supremo, dai poteri taumaturgici che sa tutto, decide per tutti, eccetera, eccetera. È il triste tributo che la politica paga quando cede all’irrazionalismo, al mito, per farsi pericolosa religione secolare.
Il fascismo rinvia alla dittatura personale di Mussolini. I segretari del Movimento Sociale si contano sulla punta delle dita: su tutti spiccano i nomi di Michelini, Almirante e Fini. Quest’ultimo poi, fu il traghettatore-capo carismatico verso Alleanza Nazionale (1995-2009).
Ora è il turno di Giorgia Meloni, il cui potere è assoluto. C’ è però una controindicazione: al capo carismatico ha sempre corrisposto una classe dirigente mediocre, incapace di crescere ed elevarsi politicamente. Il vizio di origine si può ritrovare nei contorti rapporti tra Mussolini e i gerarchi, ovviamente fino alla resa dei conti del 25 Luglio, quando il "padre", ucciso dai "figli", cadde e il fascismo si spappolò.
Cosa vogliamo dire? Che, come nel caso di Mussolini, la prevalenza del capo carismatico, dai poteri assoluti, impedisce la crescita di una classe dirigente composta di bravi politici capaci al momento giusto di sostituirsi al capo, assicurando continuità istituzionale. Dopo Almirante, il Movimento Sociale entrò in crisi. Dopo Fini Alleanza Nazionale si spappolò. Una sorte che potrebbe toccare a Fratelli d’Italia “dopo” Giorgia Meloni. L’estrema destra carismatica, quando si istituzionalizza in partito, incorre inevitabilmente in un insormontabile problema di selezione delle élite dirigenti.
Va detto che negli anni Cinquanta e Sessanta, il Movimento Sociale, a guida Michelini (1954-1969), sopravvisse a molteplici microscissioni, proprio perché, supinamente, si riteneva l’uomo politico romano, combattente fascista in Spagna, in un’ottica di sopravvivenza, l’unico capace di tenere insieme un partito di spostati e violenti. Non fanno testo i primi anni del partito (1946-1954), quando il Movimento Sociale era ancora in cerca di un capo carismatico dopo la lunga crisi mussoliniana. Come pure l’interregno di Rauti (1990-1991), tra Almirante (1969-1987) e Fini (1987-1990/1991-1995). Rauti, notevole intellettuale, privo però di quelle capacità organizzative, che quasi sempre giovano a un capo carismatico. Soprattutto nei momenti di fiacca. "Trasumanar" (è anche) "organizzar", andando oltre i versi di Pasolini.
Riassumendo, il bersaglio principale non può che essere Giorgia Meloni, perché la sua caduta si porterebbe dietro la caduta di Fratelli d’Italia.
Non sta a noi indicare come provocarne la caduta e con quali mezzi. Il ventaglio è ampio, a partire dalle strategie politiche.
Sotto quest’ultimo aspetto, l’errore comunicativo che non va assolutamente commesso è quello di presentare mediaticamente Giorgia Meloni come un politico in buona fede, desideroso di traghettare il partito verso la democrazia interna ed esterna. Cioè guai a pensare alla Meloni come a una “poverina” costretta a gestire, suo malgrado, un partito di pasticcioni. Obbligata a fare salti mortali per favorirne l’evoluzione democratica.
In realtà secondo le migliori tradizioni dei partiti a conduzione carismatica, nella fattispecie della tradizione missina e fascista, l’incapacità dei dirigenti è funzionale al potere del capo. Più i dirigenti sono incapaci (perché violenti e spostati) più il potere del capo (pronto a sfruttare le debolezze altrui) si fa assoluto.
Quindi la classe politica di Fratelli d’Italia non crescerà mai. Perché così vuole il capo. O meglio ancora la logica interna del partito carismatico. Per fare un esempio, i suoi continueranno a girare armati, a scherzare sulla Resistenza, a magnificare l’opera Mussolini, a fare buoni affari quando si presenta l’occasione, eccetera, eccetera. Mentre, come si può intuire, l’evoluzione verso la democrazia interna e esterna sono collegate. Senza l’una non è data l’altra. Come si possono celebrare insieme duce e democrazia ? Così però impone, ripetiamo, l' imprescindibile logica interna del partito carismatico.
E per un verso è un “bene” che sia così. Perché dietro il potere di Giorgia Meloni c’è il nulla. Perciò, ripetiamo, se cade per così dire il capofamiglia, il partito si spappola. Già una volta nel 1943-1945 il fascismo duro e puro ( ammesso e non concesso che sia mai esistito), si è mostrato incapace di fare da collante. Figurarsi oggi. Per metterla sul piano antropologico: i figli possono pure uccidere il padre, ma dopo o si uccidono fra di loro o si suicidano. Con le auspicabili conseguenze elettorali del caso, visto che siamo ancora in democrazia.
Per chiarire meglio il concetto familistico che regna dentro Fratelli d’Italia vorremmo richiamare l’attenzione su una risposta della Meloni a una domanda sulla sorella. Alla quale ha replicato dichiarando che poteva farla assumere da un impresa pubblica e che invece ha preferito metterla a lavorare nel partito.
Insomma, Giorgia Meloni, così dicendo, prova di ritenere il partito cosa propria, di famiglia. E nessuno può giudicarla.
Questo le conferisce un potere politico di vita e di morte sui dirigenti. Come notava Montesquieu il principio che regola il dispotismo è la paura. Aggiungiamo che il potere carismatico si regge anche sulla credenza nei poteri del capo, alla quale, quando si indebolisce, subentra la paura.
Tuttavia questa turba di schiavi superstiziosi, non ci stancheremo mai di ripeterlo, una volta caduta Giorgia Meloni, sarebbe condannata all' estinzione.
Però prima deve cadere.
Carlo Gambescia
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