martedì 9 gennaio 2024

Elsa Morante e la lezione de “La Storia”

 


I lettori penseranno a una nostra fissazione: quella della destra pericolosa al governo eccetera. Quindi piccola premessa.

In attesa di rivedere ieri sera la nuova versione televisiva de La Storia, di Elsa Morante, ci siamo riletti il romanzo. Dopo più di quarant’anni. Chi scrive, all’epoca era molto giovane, ma rimase colpito dalla realistica descrizione della dinamica sociologica sull’involuzione del consenso a Mussolini. Allora eravamo alle prime armi, però pensammo che del romanzo si poteva fare tesoro sociologico. Confermiamo questa tesi, dopo aver visto l’eccellente versione televisiva di Francesca Archibugi.

Sappiamo benissimo che le chiavi interpretative del romanzo sono molteplici: mitiche, psicologiche, psicoanalitiche, filosofico-storiche, addirittura religiose. Esistono anche non pochi profili critici di teoria e storia del romanzo. Insomma, una grande opera che non può non continuare a essere letta, perché ricca chiavi di lettura e rilettura praticamente senza soluzione di continuità. Ci auguriamo che la versione televisiva spinga a riprendere o prendere in mano il romanzo, eccetera, eccetera.

E qui veniamo alla  “fissazione”. Quella della destra, che, a poco meno di ottant’anni dal 25 Luglio, è tornata al potere. Come? Giocando sulla smemoratezza degli italiani a proposito dei danni provocati dal nazionalismo, dal razzismo, dal culto del “capo”. Purtroppo quei ragazzi mascherati da fascisti che nel romanzo inneggiano alle glorie future dell’Italia di Mussolini sono ancora tra di noi.

Magari, oggi, parlano di “orgoglio” italiano. Ma la forma mentis è la stessa: quella della prevalenza del tutto sulla parte, della nazione, dello stato, del partito, del capo sull’individuo,

Al di là dei paramenti politici, che possono essere differenti, spicca la nullificazione dell’individuo nel gruppo. Lo spirito gregario che vince sulla ragione individuale. La massa sull’individuo.

Poi nel corso del romanzo, che prende una sua piega brutale, la storia farà giustizia, vendicandosi dei suoi falsari politici fascisti. Ma in che modo? Travolgendo ogni cosa, un fiume straripante che si porta via i buoni con i cattivi. Senza alcuna pietà.

Siamo dinanzi all’ ambiguità ironica della storia, che si fa beffe delle intenzioni umane, buone o cattive che siano. Un’ironia tipica che ritroviamo in ogni dinamica sociale e sociologica, quando produce effetti contrari a quelli previsti. In questo aspetto crediamo risieda la principale lezione del romanzo della Morante. Ecco  il vero scandalo che dura da diecimila anni…

Lezione che però la Morante non detta dalla cattedra. Probabilmente neppure si rende conto del lato ironico. Si potrebbe parlare di effetto sociologico-letterario non previsto.

La Morante descrive i fatti. Sta a noi, per quanto possibile, evitare che la storia giunga fino al punto di vendicarsi della stupidità degli uomini, travolgendo ogni cosa. Si chiama buon uso della prudenza politica.

Ovviamente, la Morante non sarebbe d’accordo, perché sembra assegnare alla storia una missione che sconfina nei decreti del fato. La Storia non è un romanzo ironico. Volutamente ironico. In realtà, per la Morante una volta avviata la ruota dentata della storia, resta impossibile fermarla. L’ironia deve essere nel lettore capace di capire la lezione e attuare.

Probabilmente, il romanzo, proprio per questo determinismo, non piacque a certa sinistra che invece assegnava alla storia, in chiave salvifica, quindi teologico-politica, il compito di redimere l’uomo. C’è un passaggio nell’opera dove alcuni studenti fascisti contestano un professore di filosofia spinoziano a colpi di saluti romani.

Ora non sappiamo, quanto la Morante conoscesse l’opera di Spinoza. Né quanto la conoscessero gli studenti fascisti. Ma Spinoza – semplifichiamo – collegava la libertà umana alla libertà del mondo, sicché l’uomo era tanto più libero, quanto più sincronizzava, come un orologiaio, la propria la libertà su quella della pendola del mondo. Un pensiero che si svolgerà, lungo una linea ipotetica che da Spinoza giungerà a Marx. Un pensiero teso verso gli alti e ineludibili destini di liberazione universale degli uomini. Oggi si direbbe, come da cronoprogramma…

Le critiche da sinistra al romanzo della Morante partono proprio da questa posizione spinoziano-marxiana, che inevitabilmente la Morante, rifiutando l’idea di fine ultimo della storia, respingeva. A suo avviso la storia non è teologica né politica, né ricorda un orologio. La storia per la Morante è un fiume in piena: un tremendo flusso di esseri umani  e detriti che si porta via tutto e tutti.  Senza pietà senza ironia.

Dicevamo di evitare che si gonfino di nuovo le acque della storia. Come fare? Servono argini e dighe politiche. Memoria degli errori e degli orrori. In Italia però le difese naturali (memoria dei fatti accaduti) e quelle artificiali (partiti liberali, non populisti) sembrano essere saltate da un pezzo. E nessuno sembra essersi accorto di nulla. Di qui l’importanza di rileggere il romanzo della Morante che ci rivela come la storia, purtroppo, si vendichi sempre, travolgendo anche i giusti. Qui la grande lezione ironica. Qui il vero scandalo.

Ironia, ripetiamo, che deve essere  negli occhi dei lettori, perché non può essere negli occhi dei protagonisti,  né tantomeno in quelli della Morante.

Carlo Gambescia

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