Quando finalmente sarà giunto il momento, la prima misura che un governo liberale serio, né socialista né fascista, dovrà varare, non potrà che essere una: la totale privatizzazione del Rai. Una specie di liberazione dei servi della gleba, come nelle campagne russe della seconda metà dell’Ottocento. Un fatto storico e simbolico dal valore immenso.
Parliamo di un carrozzone pubblico, fazioso, al servizio dei partiti e dei governi, che da settant’anni disinforma sistematicamente gli italiani. Altro che “Viva la Rai!”, come cantava Renato zero, all’epoca nel mirino dei “capoccioni” e pure degli “operai”: gente che non amava la diversità ma che doveva rispondere nell’anno di grazia 1982 alla sfida modernizzante di Berlusconi e che quindi doveva mandare giù il boccone amaro dello sculettante e bravo cantante romano. Oggi, ovviamente, la stessa sinistra che storceva all’epoca il naso, lo giudica un precursore. Per fortuna Renato Zero, uomo intelligentissimo, non abbocca, per dirla alla buona. Oggi spopola Malgioglio mentre a quei tempi piovevano le pallottole. In tutti i sensi.
Qui si deve gridare “Abbasso la Rai!”. Si rifletta su un punto. Sui festeggiamenti la destra meloniana è cauta perché i missini fino agli anni Ottanta furono discriminati. E giustamente. Per contro i post comunisti celebrano con vigore i settant’anni, perché furono sdoganati dieci anni prima, per poi lottizzare con i socialisti. Ci fu un momento, all’epoca di Craxi, che dal monocolore democristiano (con l’inserzione di qualche laico) si passò alla spartizione delle tre reti. Il vecchio primo canale alla Dc, il secondo ai socialisti, il terzo ai comunisti. Il che spiega la freddezza della Meloni, che però in quanto statalista, non può non spendere buone parole per il “servizio pubblico”. Del “maiale” di Viale Mazzini non si butta nulla.
Se è vero, come scrivono i sociologi della comunicazione, che la tv di stato ha svolto un compito importante, nella diffusione della lingua italiana (però diciamo pure un romano italianizzato), in un paese prigioniero ancora dei dialetti, è altrettanto vero che ha schiacciato almeno fino alla seconda metà degli anni Settanta qualsiasi forma di iniziativa privata nel settore, vietandola addirittura per legge. Si ricordi pure, in pieni anni Ottanta l’ “incaprettamento”, roba da Iran di Khomeini, da parte della polizia postale dell’apparecchio tv di coloro che rifiutavano di pagare il canone.
Se Berlusconi ha un merito è quello di aver rotto il monopolio della Rai, aprendo la strada ad altri operatori del settore. Che poi abbia puntato sul duopolio è un errore che ha pagato duramente. Come quello di scendere in politica. Se avesse ceduto una delle sue tre televisioni a imprenditori di sinistra vicini a Occhetto, D’Alema, Prodi, i giudici non l’avrebbero toccato. Ma questa è un’altra storia. Come pure quella del “pippone” filosofico sull’edonismo televisivo che lasciamo ai nostalgici di Pasolini, Berlinguer e Hồ Chí Minh.
Che c’è da festeggiare? Nulla.
Con l’arrivo dell’estrema destra al governo, a parte alcune ultime sacche di resistenza (si fa per dire), la Rai è politicamente controllata in modo ferreo. Sono una banda di dilettanti, però come becchini della libertà sono bravi.
Che c’è da festeggiare? Il potere assoluto di Giorgia Meloni, ennesimo insulto alla libertà di stampa?
Probabilmente, per ragioni anagrafiche, noi non vedremo la privatizzazione della Rai, lo statalismo dilaga, non solo in Italia, e si preparano brutti tempi. Diciamo però che questa mattina è stato bello sognare.
Carlo Gambescia
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