giovedì 3 febbraio 2022

Riflessioni metapolitiche. Politica dell’egemonia e politica dell’equilibrio

 

C’è un tratto comune che caratterizza l’attuale politica internazionale?

Ovviamente, ognuno di noi, può proiettare sulla realtà i propri desideri. Un pacifista vi vedrà gli sforzi per la pace e i pericoli di guerra. Un nemico del capitalismo, comunista o fascista che sia, scorgerà i segnali della crisi finale. Un liberale, invece, il cattivo funzionamento dello stato di diritto, come pure del sistema delle libertà di mercato, prigioniere di una visione semisocialista. Un ecologista, l’inquinamento galoppante, la povertà e le malattie, come il disastroso portato di una natura ferita che si vendica. Eccetera, eccetera.

In realtà, la prima cosa da evitare è di impantanarsi nell’ideologia dei “desiderata”. Per volgersi a ciò che, piaccia o meno,  vi è di permanente nella politica.

Permanente nel senso di quel che permane storicamente al passare dei secoli. Parliamo di costanti metapolitiche.

Quali? Innanzitutto, quella egemonica. Egemonia, come regolare ricerca del dominio politico; dominio come controllo e determinazione dei comportamenti dei principali attori della politica internazionale: stati e organizzazioni di tipo politico, economico, religioso, culturale, dalle alleanze regionali alle istituzioni internazionali di ogni tipo.

Se dominassimo, come dall’alto di una finestra, il panorama internazionale cosa ci permetterebbe di vedere il cannocchiale, per così dire, del concetto di egemonia?

Intanto, l’ inesistenza di una potenza egemone in assoluto. Né che sia in atto un qualsiasi tentativo militare di egemonizzare il mondo alla stregua di altri tentativi storici. Allo stato delle cose non c’è alcuna potenza che rivendichi apertamente, quindi teorizzi, l’egemonia mondiale. Esistono solo sfere d’influenza politica (come quella americana con l’appendice europea, poi russa e cinese e satelliti), più o meno forti, con effetti di ricaduta economica, anche sull’economia mondiale.

Si dirà, che il silenzio, da parte degli stati appena citati, sull’egemonia imperiale, non significa che essi non aspirino a modellare il mondo a propria immagine. Tuttavia un conto sono le aspirazioni, per giunta non chiaramente teorizzate ed esposte, un altro i fatti che indicano, ciò che si può chiamare, la soglia antonina: il ripiegamento imperiale, più o meno, all’interno dei propri confini.

A differenza però di quell’importante passaggio, che fu l’età antonina (96-192 d. C.), oggi non premono ai confini barbari armati o vicini riottosi capaci di rappresentare un reale pericolo politico.

L’immigrazione, enfatizzata dalle destre, non ha nulla a che vedere, con il periodo delle grandi migrazioni, che causò aggiungendosi a cause interne, il crollo dell’Impero romano (sottolineando il fatto che dopo gli Antonini ci vollero oltre due secoli e mezzo). Oggi, nulla si muove nelle steppe asiatiche. Né l’Islam, arabo o meno, ha forze militari capaci di distruggere l’Occidente euro-americano. Anzi la stabilità cinese e russa è un bastione contro quello che potrebbe accadere, in termini di gravissimi movimenti di popoli, se le due potenze dovessero cedere il passo a seguito di gravi disordini civili e militari interni.

Pertanto la stabilità russa e cinese è fondamentale per il destino del mondo euro-occidentale. Come lo, è quella latino-americana, per gli Stati Uniti, e quella balcanica per l’Unione Europea.

Torna quindi in gioco, ecco l’ altra costante metapolitica, il concetto di equilibrio tra potenze che si equivalgono, soddisfatte dalle proprie condizioni, economiche e politiche, pronte però a intervenire, associandosi, nel caso che una di esse punti all’egemonia sulle altre. Per capirsi, la politica romana, almeno fino alla soglia augustea (e traianea, quella antonina indica invece il ripiegamento), fu egemonica. Mentre la politica mondiale, tra i Trattati pace di Utrecht (1713), con l’intervallo (per così dire) della sgroppata rivoluzionaria e Napoleonica (1792-1815), fino alla Grande Guerra (1914-1918) e all’avvento di Hitler (1933), fu caratterizzata dalla politica dell’equilibrio. Non si potrebbe dire la stessa cosa della “Guerra Fredda” (1947-1991), che fu una lotta egemonica tra due potenze fortissime. All’epoca si parlò anche di equilibrio ma “del terrore”, quindi con tutto il rispetto per Kissinger, qualcosa di profondamente diverso dall’ equilibro, a quattro (poi a cinque), dell’Europa della Restaurazione (1815-1848), che peraltro non conosceva le armi atomiche.

Per contro, il periodo apertosi con il consolidamento della Russia post-sovietica (dopo il 1991) e della Cina comunista a una sottospecie del capitalismo di stato (per gradi, dopo il 1978) sembra essere tornato alla politica dell’equilibrio.

Attenzione però, la politica dell’equilibrio non esclude le guerre di mantenimento dello status quo. Che non sono perciò guerre imperiali, egemoniche.

Per fare un esempio recente: il conflitto ucraino, rinvia a un nuovo equilibrio, costituitosi ai confini della Russia dopo la caduta del comunismo. Che la Russia di Putin, talvolta, sembra non riconoscere, forse rimpiangendo i trascorsi egemonici sovietici e zaristi. Perciò l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina, dovrebbero intelligentemente ricordare a Putin, che oggi ci si muove all’interno di una politica dell’equilibrio e non dell’egemonia come ai tempi del bipolarismo della Guerra Fredda.

Gli errori di Biden (a torto aggressivo con la Cina), di Macron (che gioca al piccolo De Gaulle, per non parlare dei cinquemila ridicoli elmetti inviati dalla Germania all’Ucraina…), di Xi Jinping (troppo schiacciato sull’economia cinese), mostrano che, nonostante l'evoluzione dei fatti, si continua a ragionare in termini di politica dell’ egemonia, ritenendo, ipocritamente o meno, che basti sedersi intorno a tavolo e parlare di pace…

In questo modo si commette un grave crimine verso quella stessa pace e che a parole si vuole difendere.

Bisogna invece prendere atto realisticamente dell’ evoluzione del sistema internazionale verso la politica dell’equilibrio.

Politica che non esclude conflitti, soprattutto locali, ma che può garantire la pace, meglio della politica dell’egemonia.

Carlo Gambescia

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