Che cos’è la spesa pubblica? In poche parole, uno strumento di consenso. Più investimenti, più voti. Il ragionamento è molto semplice.
Come si finanzia la spesa pubblica? Esistono due possibilità, spesso di natura complementare: la crescita dell’imposizione fiscale e/o del debito pubblico.
La pressione fiscale agisce sugli investimenti e sui consumi quindi colpendo domanda e offerta.
L’indebitamento pubblico agisce sul valore del portafoglio titoli dello stato, sugli interessi e per ricaduta sul costo del denaro, un moltiplicatore, al contrario, del debito, che finisce per influire di nuovo sulla domanda e sull’offerta di beni, assottigliandole.
Pertanto si viene a creare un circolo vizioso economico dal quale non è facile fuoriuscire.
Si dice che la spesa pubblica abbia un effetto leva sull’economia. In realtà, su tale questione, ammesso e non concesso che l’econometria (che non è altro che macroeconomia applicata) sia una scienza, esiste, tra gli altri, uno studio ufficiale del FMI (il World Economic Outlook 2014 – October: “Chapter 3: Is It Time for an Infrasctructure Push? The Macroeconomic Effects of Public Investment” (*).
Vi si studia l’effetto macroeconomico delle iniezioni di denaro pubblico in poco meno di duecento paesi, una trentina di essi a economia avanzata.
L’analisi mostra che il rapporto spesa pubblica/Pil è il seguente: ogni punto di aumento del Pil per investimenti, anche in termini di spesa pubblica, si traduce ogni anno in un aumento effettivo del Pil dello 0,4 per cento per toccare l’1,5/1,6 per cento dopo quattro anni, per così dire a regime.
Tuttavia l’indagine del FMI prova pure, come in presenza di un debito pubblico già elevato, cresca anche il rischio che i costi di finanziamento, non sempre in conto capitale, o comunque talvolta diretti verso settori a bassa produttività, contribuiscano ad aggravare i problemi di sostenibilità del debito pubblico.
Si è perciò dinanzi a una vera e propria scommessa. Che però dipende non tanto dal volume – dalla quantità – dei finanziamenti quanto dalla qualità dei medesimi che a sua volta è legata alla produttività reale dei settori di investimento. Si pensi ad esempio, per quel che riguarda lo Stivale, alla crisi, determinata anche da bassi livelli di produttività, di Alitalia, dove da decenni, come in una voragine, si gettano denari pubblici senza che la produttività sia cresciuta in misura soddisfacente.
Va inoltre registrata un’ altra questione che rinvia, più in concreto, al cosiddetto “effetto leva” degli investimenti pubblici.
Diciamo che può anche essere verosimile l’idea della risalita del Pil in modo più o meno rapido, tuttavia se il deficit si amplia, perché il Pil, pur crescendo non cresce quanto dovrebbe, anche il debito, dal punto di vista reale però, può accumularsi più velocemente.
Ciò però significa che un deficit crescente può dare l’illusione, sul lato del rapporto tra Pil e investimenti pubblici, che vi sia crescita nel breve periodo, ma non nel lungo periodo, perché nei tempi lunghi permane il rischio di aumentare anche il deficit, soprattutto se gli investimenti non hanno effetti di ricaduta nell’ambito della produttività.
Quel che è importante osservare, come del resto prova lo studio del FMI, è che l’ “effetto leva” denota una sproporzione tra mezzi usati (investimenti pubblici) e fini perseguiti (crescita del Pil). Sicché l’asticella degli investimenti pubblici, viene di volta in volta spostata sempre più in alto. I politici ritirano, come al tavolo della roulette le vincite minori, distribuendole ai cittadini. E promettendo grosse vincite, alzano la posta, accrescendo il rischio di mandare in rovina il paese, come capita alla maggior parte dei giocatori d’azzardo.
Altro che formule e formulette macroeconomiche… In realtà siamo davanti a una rischiosissima scommessa politica: una specie di gioco d’azzardo a spese, fino a un certo punto però, di cittadini che in realtà accettano tacitamente tutto questo. Si chiama anche individualismo protetto.
Un giocare alla roulette (per alcuni russa), che però consente al governo in carica di non perdere consensi. Come? Addossando sui governi successivi, che si comportano allo stesso modo, il peso di un indebitamento pubblico crescente che in realtà svuota le tasche di cittadini, apparentemente dediti al carpe diem.
Del resto gli studi sul ciclo elettorale e lo stesso senso comune provano che la spesa pubblica cresce prima delle elezioni, e diminuisce subito dopo, per tornare a crescere in prossimità delle elezioni. Di conseguenza tutti sembrano vivere felici e contenti. Fino a quando però?
Concludendo, esiste, purtroppo, e non solo in Italia, un partito della spesa pubblica. Come del resto prova il discorso d’insediamento del Presidente Mattarella.
Carlo Gambescia
(*) Qui (fare copia-incolla): file:///C:/Documents%20and%20Settings/User/Documenti/Downloads/_c3pdf.pdf
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