Due parole su ciò che si può definire la svolta dell’intera giornata: l’ ordine di Putin al ministro della Difesa e al capo di stato maggiore di mettere in allerta speciale le forze di deterrenza dell’esercito russo, “in risposta alle dichiarazioni aggressive dell’Occidente” (*).
Lasciamo stare repliche e silenzi degli altri attori politici, alleati e nemici. Concentriamo invece l’attenzione sulla tempistica del processo decisionale.
Agitare lo spettro nucleare dopo neppure tre giorni di guerra, dinanzi a un Occidente diviso e che parla solo di sanzioni economiche, indica solo un fatto: che Putin ha detto la cosa giusta nel momento sbagliato. Giusta perché tra l’arma nucleare e le altre armi c’è differenza di grado non di genere.
Inciso: il lettore non inorridisca, né perda la pazienza… Perché le critiche pacifiste all’agire di Putin (“è un criminale”) o alla sua salute mentale (“è un pazzo”), non aiutano a capire ciò che si sta scoprendo ora dopo ora: la mediocrità politica e militare del personaggio. Che come ogni mediocre dice le cose giuste nel momento sbagliato
Il che però non significa che i suoi limiti lo rendano inoffensivo. Al contrario la mediocrità può essere più pericolosa del talento.
E per quale ragione? Perché una carta, come la nucleare, è la classica carta di riserva: minacciare di usarla, ripetiamo, dopo neppure tre giorni di guerra, significa due cose: 1) non avere assolutamente le idee chiare sul piano strategico, per non parlare di quello tattico; 2) non saper controllare i propri nervi, cosa gravissima per un comandante in capo. Detto altrimenti: l’atteggiamento di Putin è come quello di chi siede al tavolo da gioco, smanioso di vincere, senza troppo badare a quel che rischia di perdere. Uno stile di gioco che può condurre alla rovina. Soprattutto quando le risorse sono limitate.
Putin si sta rivelando un politico e uno stratega militare non all’ altezza della situazione. Il che è molto pericoloso dal punto di vista della possibile escalation del conflitto. Perché Putin vuole vincere, ma non importa come. E soprattutto non capisce assolutamente l’importanza del passo indietro. Perché nel conflitto politico quanto più si alza la posta in gioco, tanto più è difficile tornare indietro senza perdere la faccia.
Di conseguenza, evocare lo spettro atomico dopo neppure settantadue ore di guerra significa scegliere la politica del vicolo cieco, della strada senza ritorno. E per giunta in tempi brevissimi, senza alcuna necessità vera.
Di qui la pericolosa impoliticità di Putin. Altro che grande statista…
Bismarck e Cavour furono grandi statisti. Come pure Churchill. E perché no? Stalin, pur con i suoi giganteschi limiti umani e ideologici.
Perché il grande politico, soprattutto se realista, lascia e si lascia sempre una porta aperta.
Qui l’errore di Putin, qui la sua pericolosa mediocrità.
Carlo Gambescia
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