martedì 8 febbraio 2022

Come ragiona l’ecologista medio? Male, purtroppo...

 


Se i lettori avranno tempo e voglia, suggeriamo di dare almeno una scorsa  all’editoriale di Fabio Ciconte sul “Domani” (*). Perché aiuta capire la mentalità, al tempo stesso, retrograda e statalista, e in fondo stupida (intellettualmente, per carità, nulla di personale), dell’ intellettuale ecologista medio, per così dire.

Il succo dell’articolo, è che produrre cibo costa energia, e che quindi è sbagliato, come stanno facendo alcune catene di supermercati, di tenere basso il prezzo dei prodotti per accontentare i consumatori, abituati da decenni, anzi “educati” , e male, secondo Ciconte, “all’idea che il cibo non valga nulla e che quindi possa essere pagato il meno possibile”.

Ciconte non vuole rendersi conto, non sappiamo se in buona o cattiva fede (ma forse in cattiva, perché l’ecologismo e la prosecuzione del comunismo con altri mezzi), che inferno era la vita degli esseri umani quando il cibo, non solo costava troppo, ma neppure era prodotto in quantità e varietà sufficienti per arrivare a tavola.

Sul punto lo rinviamo agli studi, non politicamente sospetti di filocapitalismo, della scuola storiografica francese delle “Annales” sull’economia della prima età moderna. Quando, a parte pochi privilegiati, la gente comune moriva di fame, nelle campagne come in città. Se andava bene sopravviveva. Insomma, bastava un cattivo raccolto. Sul punto leggere Labrousse e Mousnier. Il primo per lo studio dei trend, il secondo per quelli sulla ricaduta delle crisi sui quadri sociali. Poi per fortuna vennero i fisiocratici e dopo la scuola di Manchester. Ma questa è un’altra storia…

Qual è invece la proposta di Ciconte ? Quella di caricare i costi, di una crisi energetica causata dall’isteria del blackout sommatasi alle “fregnacce” (pardon) sulla necessità della “transizione ecologica”, sulle compagnie energetiche… Altri tributi, insomma. Che poi, inevitabilmente, le compagnie scaricheranno sui consumatori.

Risultato prevedibile? Catene di distribuzione dai prezzi finali elevati, bollette salate per i consumatori. E quindi meno cibo sulle tavole… Certo – già ci sembra di sentirlo Ciconte – può sempre intervenire lo stato, colmando, come si legge in questi giorni, le “differenze in bolletta” in favore del consumatore.

Che furbata! Ma lo stato dove trova i soldi? Sugli alberi? No. Indebitandosi sul mercato dei titoli e dei prestiti. Oppure imponendo altri tributi. Quindi altro ricarico, altre provvidenze, altro debito pubblico… E alla fine della corsa: prima l’inflazione poi la deflazione. Ergo, meno cibo sulle tavole di tutti.

Ma si può essere più stupidi di così.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.editorialedomani.it/politica/italia/inflazione-chi-paga-davvero-il-costo-dei-rincari-se-al-supermercato-i-prezzi-scendono-cu0f0rfq

Nessun commento: