martedì 22 febbraio 2022

Putin e il baricentro russo

 


Putin, per dirla alla buona, non è un imbecille né un criminale. Putin, per alcuni addirittura con abilità, lavora intorno a uno dei due grandi baricentri della politica estera russa, almeno a far tempo da Pietro il Grande.

Il primo è rappresentato dall’espansione verso l’Occidente, il secondo da quella verso Oriente.

Se si osserva la carta geografica dello sviluppo politico della Russia negli ultimi tre secoli,si nota subito, come il punto di massima progressione egemonica, sia stato raggiunto a Oriente e Occidente, intorno agli Cinquanta del Novecento.

Per contro il punto di massima regressione risale agli Novanta sempre dell’altro secolo, durante la caotica dissoluzione del comunismo negli anni Novanta in Russia e negli stati satelliti.

Quindi cosa sta accadendo? Che Putin, dal momento che la strada verso Oriente è sbarrata dalla Cina, dall’India e dal caos islamista, sta tentando di risalire la corrente in Occidente.

Qual è invece il baricentro dell’Europa e degli Stati Uniti? L’Europa lo ha praticamente perduto nel 1945, dopo due tremende guerre civili. In precedenza, il suo baricentro era il mondo: alla fine del XIX secolo, gli stati europei erano ovunque, con forti presenze militari e navali: gli storici parlano di uno spazio geopolitico tra il settanta e il novanta per cento del globo terracqueo. La decolonizzazione mise fine a tutto questo.

Quanto agli Stati Uniti, si può osservare che il baricentro è tuttora rivolto al Pacifico e all’America Latina. Di conseguenza, il gigante Usa si è occupato e si occupa dell’Europa (e del resto del mondo) controvoglia, se ci si passa il termine.

Ora, da una parte abbiamo la Russia che non ha quasi mai perso di vista il suo baricentro storico, quello europeo; dall’altro l’Europa che vive alla giornata, senza alcun baricentro, illudendosi, come tutti i deboli, che il contratto possa sostituirsi alla spada, e per sempre addirittura.

Gli Stati Uniti, che invece avrebbero la forza necessaria, guardano altrove: al Pacifico, alla Cina, al Giappone. E questo, per inciso, è un altro motivo, che spinge la Russia, di rimbalzo, a rivolgersi verso Occidente.

Paradossalmente, come quando piomba in casa un ospite maleducato e sgradito, trent’anni fa, la dissoluzione dell’Unione Sovietica accrebbe i problemi europei invece di diminuirli. Perché all’improvviso mise l’Europa occidentale, che si cullava sugli allori pacifisti, davanti a una politica estera con il baricentro, per così dire, calamitato a Est.

Sicché l’Europa occidentale si ritrovò in mezzo ai campi minati di una nuova e burrascosa situazione, di popoli, usciti di prigione, quasi tutti digiuni di democrazia liberale, affamati di libertà ma incapaci di usarla.

Uno scenario impensabile fino a pochi anni prima. Una situazione che l’Europa, disabituata alla spada, continua tuttora ad affrontare con gli strumenti del contratto: blandisce, aiuta, conforta, talvolta rimprovera. L’Europa confida nel fascino dei buoni affari e nella misteriosa forza epocale e psicologica della democrazia. Si punta, ritenendole l’ultimo ritrovato della scienza politica, sulle purtroppo barcollanti istituzioni Ue e Nato: organismo, quest’ultimo, ormai più diplomatico che militare, ultima e pallida incarnazione di un famoso slogan sessantottino: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”.

Tuttavia, una volta riassestatasi, anche con l’aiuto europeo, la Russia putiniana, è tornata inevitabilmente all’antica politica del baricentro a Occidente. Come prova quel che è accaduto in Crimea e ieri in Ucraina.

In sintesi: la Russia non disdegna l’uso della spada, anzi. L’Europa gira disarmata, gli Stati Uniti riservano la spada per il Pacifico.

Questi sono i termini “reali” della questione. Perciò, anche questa volta, al di là delle proteste formali e di eventuali sanzioni, che non influiranno minimamente sulla Russia, l’ipotesi che Europa e Stati Uniti lascino fare sembra essere quella più probabile.

Del resto non è la prima volta  che  nei rapporti tra Europa e Russia  sembra vincere la logica dei fatti compiuti.

Si pensi alle tre, anzi quattro spartizioni della Polonia (l’ultima tra Hitler e Stalin). Oppure al triste destino della Cecoslovacchia (dei frutti avvelenati di Monaco, in seguito beneficiò nel 1945 anche l’Unione Sovietica), nonché alla malinconica sorte delle cosiddette democrazie popolari nel secondo dopoguerra.

L’Ucraina, perciò, non è che una tappa di quella marcia verso Occidente, che, ad esempio, già condusse alla fine delle guerre napoleoniche, le armate russe a occupare Parigi.

Ecco, Napoleone, per fare un contro-esempio, usò troppo la spada. E ne pagò le conseguenze. E lo stesso vale, al contrario, per la pretesa di usare troppo il contratto.

Serve equilibrio. E soprattutto non può, anzi non deve, mai mancare il baricentro.

Carlo Gambescia

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