domenica 13 febbraio 2022

LA CULTURA? SÌ, GENTILMENTE, SENZA STRAPPI AL MOTORE…

 


Le ragioni del titolo, il lettore le capirà alla fine. Quindi deve avere pazienza.

Cultura. L’uomo quando si interrogò per la prima volta sul significato del termine? Probabilmente, come insegnano nei licei con il pensiero sofista, che nella Grecia tra il V e il IV secolo, individuò nella cultura uno strumento, quindi un mezzo, di illuminazione e trasformazione razionale della realtà, a prescindere dai suoi fini che possono essere di qualsiasi tipo.

Insomma, la cultura come mezzo e non come fine. Idea ripresa dal moderno illuminismo nel XVIII secolo e disprezzata dai suoi nemici, gli eternisti (tradizionalisti, conservatori, reazionari).

Ma respinta in nome di che cosa? Di un’ idea di cultura come patrimonio di tradizioni, inalterabile nel tempo, che più che illuminare e trasformare deve rispecchiare l’adesione a valori eterni. Quindi si tratta di eternismo

Per fare un esempio, un illuminista si interroga sul perché dell’obbedienza umana, un eternista dà invece per scontata l’obbedienza. Il sofista insegna come si pongono le domande, il tradizionalista ha già tutte le risposte.

Queste le radici cognitive. E la pratica sociale, come funziona? Per un verso è trasformazione e illuminazione per l’altro conservazione. Quindi sofismo ed eternismo insieme.

Ci spieghiamo meglio.

Ad esempio, la cultura femminista si pone come la vera punta di lancia della modernità. La parità dei diritti è un valore tipicamente moderno, discende direttamente dall’illuminismo da un’idea della cultura come trasformazione (come transizione della società dai non diritti ai diritti) e illuminazione ( sulle ingiustizie della società dei non diritti). Tuttavia, la cultura femminista per imporsi ha necessità di sviluppare una sua propria tradizione, perciò di ricorrere a un’idea di cultura come patrimonio di tradizioni, in qualche misura eternista.

Di qui tutta una letteratura storica e filosofica sul femminismo, sulle passate ingiustizie, proprio per creare una “tradizione” femminista, eterna, che conservi e giustifichi tali valori.

Una tradizione – ecco l’anello di congiunzione sociologico con l’eternismo tradizionalista – che non necessiti di domande. Si dà per scontata l’obbedienza alla tradizione femminista. Che così, ripetiamo, si trasforma in eternista.

Cosa vogliamo dire? Che le società sono trasformazione e conservazione al tempo stesso. E che quindi illuminismo ed eternismo cognitivo sono il retto e il rovescio della stessa medaglia sociologica.

Sembra tutto molto facile e comprensibile. Eppure sul piano della realtà politica ci si divide in progressisti e conservatori, proprio sulle interpretazioni della cultura appena ricordate. Per quale ragione? Perché la politica, per essere tale, ha necessità di nemici e amici, e perciò le divisioni sono inevitabili.

Di qui, le polemiche della destra sulla cultura di genere e sulla cultura della cancellazione, e quelle della sinistra sul sessismo e sulla cultura patriarcale. In realtà, siamo davanti a due culture politiche che rinviano a tradizioni cognitive differenti. Tuttavia, come detto, l’ossatura sociologica è la stessa.

Naturalmente, se ci si rivolge al tradizionalista, ci si sentirà rispondere che il tradizionalismo è metastorico, e che quindi non esiste altra soluzione se non quella di affidarsi ai valori perenni. L’illuminista risponderà che l’uomo è una tabula rasa, cera da plasmare e che quindi non esistono, valori eterni, se non quello dell’uomo in sé, come entità sempre perfettibile.

Ricapitolando, esiste ( punto 1) un livello cognitivo, che rinvia a due approcci culturali, quello sofista-illuminista e quello eternista-tradizionalista. Approcci che quando però si passa ( punto 2) al livello sociologico non possono non mescolarsi perché le società funzionano così. Per poi tornare di nuovo a dividersi, (punto 3) quando si risale al livello politico.

Il livello politico, proprio perché tale, ha un importante versante coercitivo, perché necessita di obbedienza. Il che impone un processo di stabilizzazione che nelle nostre società rinvia al ruolo piuttosto spiccato dello stato e del diritto, che è diritto dello stato (mai dimenticarlo).

Sicché quanto più le divisioni sociali si estendono politicamente tanto più gli attori in conflitto tentano di usare lo stato come uno strumento per imporre la propria “ideologia” culturale, sofista o eternista che sia.

Ecco la fotografia della situazione in cui oggi ci troviamo. Il discorso pubblico liberale non è che un ricordo. Per ora vincono i sofisti. Il che non significa che gli eternisti siano migliori: se vincessero, si tornerebbe al “dio, patria e famiglia”.

Il punto è che tutti (sofisti ed eternisti) vogliono portare lo stato dalla propria parte, per usarlo contro avversari tramutati in nemici, puntando sulla crescita abnorme della legislazione politico-sociale.

Invece, dovrebbero fare tutti un passo indietro, lasciando alla società il compito di trovare da sola la sua strada, prendendo atto, seppure lentamente, delle trasformazioni come pure delle persistenze. Perché così funzionano le società: mescolando tradizione e innovazione.

Quanto più si legifera tanto più si riduce la sfera della libertà individuale, perché la legge pretende di fissare, talvolta per sempre, ciò che in realtà non si può immobilizzare. Cioè la dinamica sociologica tra tradizione e progresso, perché ciò che è progresso oggi, domani sarà tradizione, e così via. Come insegna la metapolitica esiste un sfasatura – questa sì perenne – tra stato e società.

Chiudiamo, citando, due grandi sociologi per caso del Novecento, Mogol e Battisti, che la sapevano così lunga, da riassumere in modo mirabile, poeticamente, i concetti qui esposti:

“Sì viaggiare/ Evitando le buche più dure/ Senza per questo cadere nelle tue paure/ Gentilmente senza fumo con amore/ Dolcemente viaggiare/ Rallentando per poi accelerare/ Con un ritmo fluente di vita nel cuore/ Gentilmente senza strappi al motore…”.

Buona domenica a tutti.

Carlo Gambescia

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