mercoledì 2 febbraio 2022

Che ci sarà da ridere?

 


Se si dovesse indicare un denominatore comune, culturale e sociale, per l’Occidente di oggi, si potrebbe trovare nella larghissima diffusione della satira.

Che cos’è la satira? È la critica del luogo comune, di ciò che viene condiviso, spesso superficialmente, dalle persone. Che può essere vero o falso, ma che comunque costituisce un pregiudizio, qualcosa che condiziona il giudizio delle persone.

Ad esempio, si dice che i militari debbano essere tutti coraggiosi, la satira invece mostra il contrario, provocando un mare si risate… Si dice che i politici debbano essere tutti onesti, la satira invece prova l’opposto, e così via, tra le risate generali.

In realtà, non tutti i militari sono vigliacchi, come non tutti i politici sono disonesti, però la satira non fa differenze, come ogni forma di pregiudizio. In questo modo, anche la satira si tramuta in qualcosa di scontato, se si vuole di luogo comune contro i luoghi comuni. Un atteggiamento “satirico” che a sua volta meriterebbe di essere oggetto di satira. Ma non sempre è così.

In questa contraddizione, gli storici dei generi letterari e artistici, hanno colto il limite della satira, che ride di tutto, ma non sempre di se stessa. Nelle epoche pre-democratiche, la vita di chi viveva di satira, letterati, attori, eccetera, non era facile. Per contro, nelle nostre società democratiche, è facilissima.

La satira è addirittura entrata a far parte del discorso politico. Di qui però, la sua strumentalizzazione ideologica, fenomeno amplificato dal carattere di massa della nostra società, carattere mimetico, emulativo, reiterativo.

Tradotto: tutto si trasmette facilmente, in particolare ai tempi di Internet, gli uni copiano gli altri, perfino nelle forme e nei contenuti delle battute e risate. Fermo restando che è la società di massa ad essere virale, non Internet, che, per quanto veloce, è un puro e semplice veicolo (come la televisione, il cinema, il teatro, eccetera).

Pertanto – concetto importantissimo da comprendere – il problema non è tanto quello della “direzione politica” della satira, sottomessa o meno al potere, quanto quello, ripetiamo, del diffuso ridere di ogni cosa senza badare al colore politico. In quel modo cinico-passivo, tipico delle “folle solitarie”, al fondo apolitiche o impolitiche, per usare una celebre espressione.

Oggi, in ogni paese dell’ Occidente, sono particolarmente apprezzati quei comici capaci di imitare politici e persone famose. E quindi suscitare le fragorose risate di un pubblico, ormai abituato a non aver rispetto per alcuno, “tanto sono tutti uguali”, come si sente ripetere.

Tutto questo ridere fa bene o male alla struttura della società? Indubbiamente nuoce al principio di autorità ( già in crisi anche per altre ragioni). Come pure influisce sulla pura e semplice deferenza sociale, non tanto verso il potere, quanto nelle relazioni tra i singoli, che abituati a ridere di tutto, non prendono nulla sul serio.

La società della satira e della risata indebolisce il contegno sociale: il come comportarsi in società senza offendere gli altri.

Si tenga presente che il contegno sociale, non appare come per incanto, ma è frutto di quell’autodisciplina che si fonda sulla credenza che un militare è coraggioso, un politico onesto, un professore diligente, eccetera.

Ovviamente, anche queste credenze sono pregiudizi, però utili, perché garantiscono il normale funzionamento della vita sociale. Riderne, soprattutto senza alcuna remora, rimanda sempre a pregiudizi, però dannosi dal punto di vista del funzionamento sociale.

Il punto sul quale meditare, non è tanto quello della satira in sé, che è sempre esistita, quanto quello del rapporto tra satira e società di massa: quanto più tutti ridono di tutto – il che in una società di massa è inevitabile – tanto più le vertebre – insomma, lo scheletro formale dei comportamenti sociali – rischia di corrompersi e spezzarsi.

Va però sottolineato che la crisi epidemica, pardon pandemica, ha visto, con pochissime eccezioni, comici, attori e artisti, soprattutto nelle prime fasi, autolimitarsi. Insomma, non esercitare il “diritto di satira”. Ora, però la situazione sembra essere quasi tornata alla normalità, diciamo di “satira”.

Ciò significa che attendere che la satira limiti se stessa, se non nel quadro percettivo di una catastrofe vera o presunta che sia, è impossibile. Come del resto è impossibile limitarla, in una società che la considera un valore politico.

Si potrebbe parlare di un vero e proprio vicolo cieco.

Perciò che ci sarà da ridere?

Carlo Gambescia

Nessun commento: