Apparentemente sembra essere passata molta acqua sotto i ponti dalla definizione del dogma dell' Infallibilità del papa (1870) in occasione del Concilio Vaticano I (1868-1870), indetto da Pio IX, al papa, pardon ex papa, Benedetto XVI, che chiede scusa per lettera degli abusi sessuali pedofili (2022). “Il Mea Culpa di Ratzinger”, come oggi titola “Repubblica”, con grande soddisfazione ultrademocratica.
Sono trascorsi esattamente 152 anni. Poco più di un secolo e mezzo. Storicamente parlando, un tempo che rispetto ai duemila anni di vita sociale della Chiesa Cattolica, copre poco più di un valore temporale intorno al sette per cento. Ovviamente, il dato quantitativo in sé non spiega nulla. Mentre quello qualitativo, rinvia a un secolo e mezzo, tra i più tormentati della storia di una Chiesa che nella sua lunga storia ha comunque vissuto di tutto: periodi di persecuzioni e scismi, come pure di brillante egemonia politica e culturale.
Perciò parlare di crisi finale (espressione usata altre volte in passato, da ultimo sotto le truppe napoleoniche e italiane) sembra essere prematuro.
Però va segnalato un fatto, sociologicamente interessante, sul quale riflettere. La Chiesa, dal punto di vista del regime politico, una monarchia elettiva con decisi tratti aristocratici, non ha mai messo in discussione, come oggi, la sua costituzione politica.
Ci spieghiamo meglio. Che cos’è oggi la Chiesa Cattolica?
Cominciamo dal papa, vicario del “capo”, Cristo. Il papa parla troppo, fino al punto di somigliare, al presidente di una Repubblica populista, che tagli nastri, bacia bambini, dice quel che gli passa per la testa. Un papa ultrademocratico.
Quanto al resto delle “membra”, l’aristocrazia di alti prelati che circonda il papa, parla anch’essa troppo, si mostra divisa, ricorda i generali e i colonnelli che affiancano un caudillo, da lui promossi, da lui retrocessi.
Come si può capire, nel discorso pubblico della Chiesa, il trascendente e il sacro, elementi costituitivi di ogni aristocrazia religiosa, sembra abbiano ceduto il posto all’ immanente e al profano, elementi tipici del pensiero e dell’agire democratico.
Insomma, questa Chiesa fallibile, che straparla, si contraddice, chiede perdono, non pare differente da tante altre organizzazioni mondane e democratiche.
Non siamo davanti a una pura strategia comunicativa di conquista del potere, ma al crescente rifiuto di un approccio aristocratico alla realtà. Sembra essere venuta meno la costituzione politica della chiesa che da aristocratica si va facendo democratica, dai tratti, secondo alcuni, addirittura demagogici. Fugge il duello, chiede perdono.
Ovviamente, dal punto di vista della logica democratica, giustamente basata sul principio di fallibilità, si tratta di un traguardo importante. Come oggi del resto si può leggere, ripetiamo, sulle pagine di “Repubblica”. Anche se, spesso, i democratici, tipo “Repubblica, a differenza dei liberali che diffidano sanamente delle maggioranze, considerano la democrazia della metà più uno, come infallibile.
Non è invece un bel traguardo dal punto di vista della logica interna della Chiesa, logica un tempo aristocratica. Dal momento che, piegandosi all’infallibilità della democrazia la Chiesa cambia di natura, tramutandosi in una istituzione democratica tra le altre.
È vero che all’interno del cristianesimo, fin dall’ inizio, le due tendenze, democratica e aristocratica, sono sempre esistite, anzi coesistite: talvolta scontrandosi, talaltra cooperando. Ora però la tendenza democratica sembra prevalere.
Sembra… Perché dal punto di vista quantitativo, la tendenza aristocratica, dominante tra i due ultimi concili (1870-1962), quindi per quasi un secolo, sembra ora sostituita, da almeno cinquant’anni, da quella democratica, postconciliare ( dal 1962-65 a oggi).
Sotto questo aspetto, mezzo secolo di democrazia nella storia della Chiesa è poco più di niente. E’ presto per parlare di svolte definitive. Però resta compito dello storico e del sociologo individuare alcune linee prospettiche.
Linee di trasformazione che, ripetiamo, per il sentire democratico, sono di progresso, per quello aristocratico di regresso.
Il lettore scelga pure l’interpretazione che preferisce.
Carlo Gambescia
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