Vizi
privati, pubbliche virtù
Viva la Prima Repubblica !
di Teodoro
Klitsche de la Grange
Otto Dix, Großstadt
(Triptychon), 1928.
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C’è un ritornello, spesso ripetuto nella storia
dell’Italia contemporanea: “se l’economia langue, la causa ne sarebbe la
disonestà dei politici” o, più in generale, dei funzionari pubblici; dall’epoca
di Tangentopoli non si sente ripetere altro.
È piacevole pertanto leggere sulla stampa che è
stato pubblicato un libro da due autorevoli magistrati, Cantone (dell’Autorità
anti-corruzione) e Caringella (del Consiglio di Stato) in cui si sostiene che,
nell’Italia contemporanea (cioè della cosiddetta "Seconda Repubblica")
“assistiamo a una forma di corruzione certamente diffusa, ma qualitativamente e
quantitativamente non paragonabile alle vicende degli anni Novanta”.
Ma viene da pensare: se si condivide il giudizio
dei due autori la corruzione (e soprattutto la c.d. “Prima Repubblica”) ne
viene rivalutata; e così la tesi di Mandeville (e di tanti altri, tra cui
Pareto), che vizi privati divengono virtù pubbliche, confermata.
Perché se è vero, come risulta da tutti gli
indicatori economici che il PIL italiano dal ’94 in poi è cresciuto di soli due
punti (è il peggior risultato d’Europa) mentre la percentuale del prelievo
fiscale sul reddito nazionale (così immobile) è aumentata di diversi punti, non
sarà che era meglio la corruptissima
prima repubblica che la benintenzionata
seconda? Rimandiamo al nostro articolo “Parassitario o predatorio?” comparso
qualche tempo fa su “Rivoluzione Liberale” (*) dati (un po’ più diffusi, delle enormi
differenze – in termini di crescita del PIL e di moderazione fiscale tra le due “repubbliche”. La corruzione
maggiore dell’una era accompagnata da benefici tangibili e innegabili. La
(pretesa) morigeratezza dell’altra da decadenza politica ed economica.
Scriveva Mandeville: “il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è
necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda
mai una nazione celebre e gloriosa” (e infatti …).
Anche a non voler seguire (del tutto) la tesi
dell’olandese, è sicuro che tra corruzione e benessere non c’è quel rapporto di
proporzionalità inversa che spesso è accreditato. Probabilmente non c’è un
nesso eziologico (una “regolarità”) almeno in termini macroeconomici, ma una relazione che più, in taluni casi,
contribuisce ad aggravare situazioni di miseria e d’ingiustizia sociale, ma
nulla di costante.
Non si vede cioè una “legge bronzea” della
corruzione come vorrebbe una opinione forse più esternata che diffusa, dai dati
smentita, quanto è accreditata quella, inversa, di Mandeville.
In conclusione: si stava (economicamente) meglio
quando si stava (moralmente) peggio aridatece
er puzzone prima che ci diano da mangiare prediche al posto della minestra.
Teodoro Klitsche de la Grange
(*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2018/01/ilsistema-fiscale-italiano.html
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).