Riflessioni
Perché agli italiani non piace la democrazia dei partiti
Perché agli italiani non piace la democrazia dei partiti
Il
partito è lo strumento moderno, con meno di due secoli di vita, per
rappresentare interessi, esprimere ideali, formare e selezionare la classe
politica. Non è un’ istituzione perfetta,
anzi spesso il contrario, ma è il solo strumento che consente, per ragioni
pratiche, la rappresentazione politica della volontà popolare, unico principio di legittimità delle democrazie moderne.
In
Italia, semplificando, il ruolo dei partiti non è mai stato metabolizzato, per almeno tre ragioni: il gusto della
fazione (del campanile, tipicamente italiano); il mancato consolidamento di una borghesia liberale e, più avanti, di un ceto medio, fedele alle istituzioni
rappresentative e non amante, come è stato, delle avventure autoritarie e totalitarie; la presenza storica di forze politiche
totalizzanti (cattolici, socialisti comunisti, fascisti), tese a idealizzare le "trasformazione epocali", puntando sulla democrazia totale (evangelica, utopica,
organica, plebiscitaria), ma ignorando la democrazia reale, quotidiana, necessariamente distinta da compromessi, fondata sull’arte
del possibile e dei piccoli passi.
Sicché
in Italia, la critica ai partiti, nella sua versione mainstream, ha sempre assunto il valore di una critica
alla democrazia in quanto tale (e non - attenzione - di critica alle sue disfunzioni):
o
in nome dell’antidemocrazia (si pensi a fascisti e reazionari), o in nome della
superdemocrazia (comunisti, socialisti, anarchici, populisti di varie tendenze). Di qui, le ricorrenti rappresentazioni a tinte fosche della situazione italiana (dal 1861 ad oggi), come di un paese sempre sull'orlo della rovina. Il catastrofismo - mai dimenticarlo - è parente stretto, non del riformismo, ma di un rivoluzionarismo da quattro soldi, che ignora le grandi trasformazioni sociali che, nonostante tutto, hanno cambiato l'Italia, da terra di mezzadri, braccianti e coloni, denutriti e senza scarpe, in paese di palestrati, turisti e vacanzieri muniti di regolamentare smartphone.
Il grillismo - l'ultimo venuto - non è che il portato della cultura della superdemocrazia immaginaria, che come storia e sociologia insegnano, rischia sempre di tradursi in antidemocrazia. O comunque, nell’antiporta della dittatura.
Il grillismo - l'ultimo venuto - non è che il portato della cultura della superdemocrazia immaginaria, che come storia e sociologia insegnano, rischia sempre di tradursi in antidemocrazia. O comunque, nell’antiporta della dittatura.
Ricapitolando,
in Italia è mancata una cultura della normalità democratica. O se si preferisce, una visione laica del ruolo dei partiti e del parlamento. Non per niente siamo
il paese, che ha inventato, quella, che per auto-definizione, si riteneva, una
visione religiosa della politica: il fascismo. Non
si definivano forse i fascisti, come
credenti nell’ “Idea”? Addirittura fondarono una Scuola di Mistica... Il “credente” in politica è pericolosissimo: si pensi al “confusionarismo” economico dei cattolici in politica, soprattutto di
sinistra; al romantico socialismo delle riforme di struttura; alla mitologica terza via, non socialdemocratica, tra
capitalismo e socialismo, vaticinata, in ultimo, persino da Berlinguer e Occhetto. E infine alle fosche pagine, sporche sangue, del terrorismo rosso e nero.
Il
Movimento Cinque Stelle, ripetiamo, non è che l’ultima
incarnazione del partito dei “credenti”: credono nella democrazia perfetta, dell’uno vale uno, sputano veleno sui partiti e sulle istituzioni parlamentari, vedono cospirazioni ovunque. E
intanto scalano il potere, con il consenso degli italiani, che come dicevamo,
non hanno mai metabolizzato la normalità democratica.
Gianfranco
Miglio, grandissimo politologo, ma anche amante delle boutade, nelle conversazioni postprandiali talvolta si lasciava andare, fino al punto di asserire che la normale dialettica partitica della democrazia rappresentativa non fosse nel Dna dei popoli mediterranei,
così amanti dei capi muscolosi e stregati dalla possibilità di cancellare, anche fisicamente, l’avversario
politico.
Il voto di domenica, dispiace ammetterlo, potrebbe confermare la sua tesi.
Carlo Gambescia